ANGINA
     PECTORIS


ANGINA
     PECTORIS

Perché scrivo questo libro.
Ho sessantacinque anni. Sono sempre stata una persona attiva, sana, uno sportivo. Difficilmente sono ricorso ai medici, se non per condividere l’allegria nelle consuete cene tra amici. In piscina mi chiamano “il signor 100 vasche” e si possono intuire le ragioni. Improvvisamente provo una strana stanchezza, una mancanza di fiato, altro che 100 vasche, ne bastano 20 per sfiancarmi. Suggerisco al mio amico medico di prescrivermi una “prova da sforzo”. Si tratta di pedalare su una bicicletta fissa, collegata ad una serie d’apparecchiature, che registrano gli effetti della prova sul cuore. La bici è la mia passione ed io nel passato ho già fatto questa prova, con grandi risultati, del tipo “vi faccio vedere come pedalo io………………”. Seguo l’iter burocratico, mi presento alla prova ed inizio la mia pedalata. Dopo un po’ mi si fa interrompere la prova. Diagnosi immediata: “ANGINA PECTORIS” - “ma…………….. io…….… …come……” – “ Si, fermi tutti, lei ha un’angina.”
Così in pochi minuti crolla il mio mondo ! D’ora in poi, io non posso più nuotare liberamente in piscina, sarebbe anche meglio evitare di andare in bicicletta, sarebbe opportuno salire adagio le scale e forse dovrò evitarle, probabilmente occorrerà un intervento chirurgico…….
Per restare in tema, come un ciclista che è arrivato in cima alla salita ed ha scollinato : io lascio alle spalle la giovinezza, la forza, l’irruenza di un Ariete; davanti ho la discesa, la vecchiaia, la prudenza, la rinuncia.
Non ricordo dove ho sentito il detto che “i guai vengono a coppie”. Nel mio caso il detto calza a pennello. Al mattino apprendo la diagnosi della mia angina pectoris, soglia dell’infarto; nel pomeriggio mi comunicano una notizia ancora più irrimediabile: un mio carissimo amico, bravo, allegro, dinamico, di soli 52 anni, è deceduto per infarto! Leonardo, ci mancherai.
Ma come si può non fermarsi a pensare ? Come si può non sentire il bisogno di un bilancio della propria vita ? Scherzare va bene, ma
contemporaneamente mi tocco le parti “intime basse”, poste anteriormente, mentre “ l’altra parte intima“ posta in basso, ma posteriormente, incomincia a tremare !
So che è da manuale di psicologia, ma i pensieri partono verso i circuiti dei ricordi, si soprammettono, si dipartono, si ramificano. Il meccanismo ricorda la corrente elettrica, che partendo dal contatore, sfreccia sul filo principale, poi si dirama su tutta la rete di fili derivanti e va e va: io bambino, io giovinetto, le scuole, gli amici, i nonni, la casa, i genitori, gli amori, le gioie …………e via con gli impulsi elettrici.
E’ così che decido di mettere ordine ai ricordi e di prendere qualche appunto. L’idea successiva è di farne un libro. Il libro necessita di un titolo ed il primo impulso corre alla “Angina Pectoris”, origine delle mie preoccupazioni e pensieri conseguenti. C’è un però: quando parlo di Angina Pectoris, mi viene da toccarmi so io dove e si dice, che toccarsi troppo spesso, faccia male agli occhi. Quale altra formula, potrebbe essere adottata, per fare ugualmente gli scongiuri? Mi viene a mente una fotografia, scattatami su una spiaggia greca, da un carissimo amico, Gino. Avendo io trovato un sasso, di forma fallica, di lunghezza cm 40 e diametro cm 10, avendolo io scherzosamente posto nel punto giusto, l’amico mi ritrae, in un atteggiamento…...…… di scarico molto naturale. Abbinando la foto al titolo, graficamente risulta, che “ io, all’Angina Pectoris, ci piscio su”. Ecco il simbolo scaramantico.
I nonni.
Carlo, il nonno paterno, è sempre stato un mito per me. Forse perché ho preso molto da lui, dal suo comportamento, dall’aspetto fisico, dalla voglia di fare di tutto. Il suo capolavoro rimane la casa da lui progettata e fatta costruire sotto la sua direzione, nel 1929, ad Alessandria in Egitto. E’ un edificio di quattro appartamenti, uno per piano, uno per ogni figlio maschio, uno per i nonni con la figlia, ancora “signorina”…..……………………………………….…………………
Lezioni – Oggi ho visto due “nomadi” fare l’elemosina ad un “barbone”. Tre anni fa ho visto un “barbone” dividere il suo unico piatto di pasta regalatogli, con i piccioni della piazza.
 ……………………………………….Il nonno è magazziniere presso la “Compagnia delle acque”. Questa è un’importante Azienda a capitale inglese, incaricata di purificare e rendere potabile l’acqua del Nilo. Il nonno verso il 1938 entra in conflitto con la dirigenza inglese, in difesa degli operai indigeni, fondando il primo sindacato in Egitto. Rimane fermo nei suoi propositi, anche quando gli offrono grandi possibilità d’avanzamento e di guadagni, in cambio della rinuncia alla lotta. Sceglie di non rinunciare e ciò gli sarà fatale. Infatti poco dopo, l’Italia entra in guerra contro l’Inghilterra ed il nonno, con il figlio maggiore, hanno un triste primato: sono i primi due prigionieri civili in Egitto. Più tardi, anche gli altri due figli maschi del nonno, saranno inviati nei campi di prigionia, nel deserto, come tutti gli italiani residenti in Egitto. Il nonno regge poco a quest’umiliazione e dopo circa un anno, muore.
Però, anche in questo breve periodo, riesce a dare la sua impronta al campo: progetta, realizza ed organizza la tenda di famiglia, mette su la latrina, arrabatta un “aggeggio” per l’ascolto clandestino di radio Londra, si costruisce una seggiola del tipo “da regista”, con un ripiano laterale. La tenda, in modo particolare, è ammirata da tutti gli altri prigionieri, che ne imitano presto le fattezze. E’ scavata in profondità nel terreno desertico, in modo da ripararsi sia dal freddo notturno, spesso sotto zero, che dal caldo diurno (40-50 gradi) e dal vento sabbioso. La tenda vera e propria, è rialzata rispetto il livello del terreno, per consentire il passaggio dell’aria quando è opportuno, ma con la possibilità di essere chiusa all’occorrenza. I quattro letti sono realizzati a branda fissa, con possibile rotazione a rientrare, in modo da lasciare spazio, all’uso diurno della tenda. Qualcuno penserà che se la stiano passando bene, difatti non hanno neanche le zanzare…………...……………………………………………………………..
Oggi, andando a trovare mio padre, ho avvertito una strana sensazione al cuore. E’ indefinibile, ma c’è. Mi sono guardato intorno chiedendomi: se cascassi in terra chi dei presenti mi aiuterebbe ? Ebbene lo ammetto, è “frutto di fifa”,
……………………………Questo è il nonno Carlo. Tra le varie cose tramandate dai ricordi: realizza una scrivania con cassetti a chiusura segreta; compera all’asta, dall’esercito, tre rottami di motocicletta in disfacimento e ne rimonta due, perfettamente funzionanti, lavorando, con grande gioia della nonna, nel salotto buono di casa. Con uguale metodo compera tre auto in disfacimento, le smonta, le rimonta, le fa funzionare, fondando la prima società di “TAXI” in Egitto. Tutto per dare lavoro ai suoi cugini. Purtroppo la tradizione non tramanda altre cose sue, ma deve averne fatte di belle. Questo tizio mi piace.
La nonna Clotilde è accanto al nonno con dolcezza, in contrapposizione al suo carattere forte e deciso, verso gli estranei. La ricordo attenta a tutto, premurosa, cuoca eccellente. Ha una predilezione per me e conoscendomi per un gran mangione, si preoccupa sempre del mio nutrimento. Mi rincorre con il panino, con il boccone di lasagne avanzate per me. Le sue specialità sono le piccole e croccanti patate tonde, prima lessate nel brodo e poi fritte; le foglie di vite ripiene; la marmellata di datteri con la mandorla dentro; l’orzata ricavata dal nocciolo delle albicocche; eccetera, eccetera.
La nonna ha invece una particolare repulsione verso la tristezza. Un pomeriggio, prima di andare da lei, mi fermo a comprare lo spartito per pianoforte, della celebre “marcia funebre di Chopin”. Appena arrivo a casa sua, lei mi chiede cosa c’è dentro il rotolo, che tengo in mano. Raggiante le spiego cosa ho comprato e subito mi dice : “Ma se i soldi spesi tu li avessi impiegati per comprarti un bel panino, ora non saresti più allegro ? “
Non ho molti altri ricordi della nonna, ma riconosco, che dietro ad ogni grande uomo, c’è sempre una grande donna e LEI lo è stata………………………………………………………………………………..
Oggi sono passato da Pontedèra. Poco fuori della città c’è il cimitero e cinquanta metri prima c’è il ricovero per anziani “Sorriso”. Mi sono chiesto se questa scelta sia dovuta al risparmio sul costo del terreno, o se sia stato un calcolo di avvicinamento alla meta.
……………………...…Il nonno Oliva, è il padre di mia madre. E’ chiamato per cognome anziché per nome. E’ la classica autorità costituita, anche in famiglia. E’ stato carabiniere e congedatosi è venuto ad Alessandria entrando in “polizia”. E’ per carattere un “carabiniere – poliziotto”, nel senso migliore della definizione. Tutto d’un pezzo, ligio al dovere, inflessibile, pretende che le sue due figlie gli diano del “Lei”. Nei miei confronti c’è intolleranza, anche perché io, a sei anni, sono una carogna e faccio di tutto per stuzzicarlo. Farlo arrabbiare mi diverte. Siamo nel periodo della guerra ed a lui, per limiti d’età, anziché essere deportato nei campi di concentra - mento, è concesso l’arresto domiciliare, con l’obbligo di non uscire. Io, protetto dagli altri adulti presenti nella casa, passo con le mie automobiline sul suo libro, mentre lui legge; gli nascondo le pantofole, gli faccio sparire il segnalibro, appena lui abbandona per un attimo la sua lettura ed altre piccole amenità. Mi diventa improv -visamente simpatico, quando sento alcuni aneddoti sul suo conto, ma ormai è troppo tardi, io non riprendo la sua stima. Pare che una notte, in caserma si dia l’allarme, per un incendio grave, scoppiato nel paese. Tocca a mio nonno dover svegliare il suo superiore, profondamente addormentato, e lo fa dicendo: “Capitano, c’è il fuoco”. Questo superiore, svegliatosi improvvisamente, chiede:“a fuoco o ad acqua?” La risposta immediata del nonno è: “ad acqua signore”. Ovviamente al nonno è riservato un trattamento …………..di favore, ma a me fa tanto ridere.
Altro episodio narrato, è quello di quando, durante un’esercitazione in montagna, la compagnia di Carabinieri, rimasti bloccati dalla neve, nel rifugio, hanno da mangiare solo fave. A cena il Capitano chiede cosa è stato preparato da mangiare e gli rispondono: “Fave, signor Capitano”. Lui indignato si ritira nel suo alloggio senza mangiare. Al pranzo del giorno dopo la scena si ripete. A cena il Capitano si siede a tavola e senza parlare, si fa servire e mangia le sdegnate fave. Quest’episodio mi fa ridere meno, perché mi dà la sensazione di una morale diretta ai miei capricci…………………………………………………
Oggi, camminando per la strada, ho sentito una strana fitta al petto. Dopo un po’ s’è ripetuta, ma m’è sembrata più esterna e superficiale. Ho infilato una mano sotto la maglia…………...…Si trattava di un pelo arricciato che s’impigliava nel tessuto.
……………….Ho ancora qualche lampo di ricordi sul nonno Oliva: lui di notte al buio, che aiuta a vuotare il pozzo nero in giardino, oppure l’allarme notturno per le solite incursioni aeree su Alessandria ed il nonno, che rifiuta di trasferirsi nel rifugio antiaereo.
Tutto il suo burbero essere si trasforma con la nascita di mio fratello Lucio. Il nonno così diventa un “micione”. La guerra è appena finita e lui ora può finalmente uscire da casa, quindi prende il passeggino con dentro Lucio e sparisce per tutta la mattina, poi per l’intero pomeriggio. Al tramonto rientra a casa, perché “ l’umido fa male al bimbo”, come dice lui. Muore sereno nel suo letto, alla veneranda età di 82 anni.
Non conosco la nonna Ida, moglie del nonno Oliva, perché è già morta quando io nasco. Dalle fotografie si deduce che fosse bellissima. Dalla tradizione di famiglia apprendo, che la sua mamma, la mia bisnonna, era una baronessa austriaca, diseredata per essersi sposata con un ingegnere. Quest’ultimo era colpevole di amare la bisnonna, senza essere un nobile. La cosa allora era grave e…...……....forse io, in veste di discendente, dovrei vergognarmene ?
La nonna Ida dà alla luce due bellissime bambine: Iris, la mia mamma e la zia Elda; poi esce dalla scena in punta di piedi. Così, mentre tutti i bambini hanno abitualmente quattro nonni, io, solito privilegiato, ne ho cinque. Si, il nonno si risposa, dopo molti anni di vedovanza, con una signora. A sua volta questa signora è vedova e con due figli da accudire. Anche se la storia è da libro “Cuore” ( quattro orfani e due vedovi tutti insieme ) credo, che sia stato un matrimonio molto opportuno per tutti e ben riuscito nel tempo……………………………….
Mi ha appena telefonato da Roma mio cugino Alfeo. E’ medico ed è al corrente delle mie preoccupazioni fisiche. Voleva conoscere gli ultimi sviluppi delle ricerche cliniche. Gli ho detto, che se avrò buone notizie lo richiamerò io; se la situazione dovesse………………. precipitare…………………lo richiamerà qualcun altro.
…………………………La “nonnastra”, o quinta nonna, io la chiamo sempre zia Tina, ma per me è una seconda mamma. Per buona parte degli anni trascorsi in guerra, io e la mia mamma viviamo nella casa del nonno Oliva e di zia Tina. Lei si occupa di far moltiplicare i pani ed i pesci, in un periodo di grossi stenti. Lei procura il lavoro a maglia, da realizzare a casa con la mia mamma ed a racimolare così il “sottonecessario”, che in buona parte serve al mio sostentamento. La mia mamma è relegata alle faccende di casa ed all’orto, perché una giovane e bella donna, con il marito prigioniero e lontano, sarebbe un bersaglio facile di certa gente senza scrupoli, circolante per la città. La sera, dopo cena, o quella che così è chiamata, prima del tramonto, si mettono le coperte alle finestre. Si deve evitare l’avvistamento delle luci dagli aerei in ricognizione bellica, che passano a bombardare la città. Il nonno legge, la mia mamma e zia Tina incominciano il loro lavoro notturno a maglia. Io a questo punto, chiedo due coccole e zia Tina mi mette sdraiato a faccia in giù, sulle sue gambe. Tra una grattatina alla schiena e due punti a maglia, io mi addormento, ma non mi mettono a letto, perché i bombardamenti improvvisi potrebbero spaventarmi ed io approfitto della situazione. La domenica pomeriggio altre signore, vicine di casa, vengono da noi, così, intorno ad un tavolo, chiacchierando, lavorano a maglia. Qua ho le mie prime esperienze sessuali. Giuoco con le mie automobiline sul tappeto, sotto il tavolo. Così guardo le mutande alle signore e scopro, che loro hanno una conformazione anatomica diversa dalla mia..………………………………………………………………..
Oggi sono entrato con un amico in una pasticceria famosa. Mi sono fatto servire una pasta e dopo tre morsi, ho chiesto alla commessa di cambiarmela, perché preferivo un altro tipo di pasta. La commessa, probabilmente senza alcuna stima del mio intelletto, si è prodigata a spiegarmi perché non poteva esaudire la mia richiesta. Il mio amico è uscito alla chetichella dal locale, sbellicandosi dalle risate………e lasciando a me l’onere di pagare il conto.
Mia mamma.
Si chiama Iris. Sue caratteristiche sono: l’attenzione per tutti, scrivere e tenere le relazioni con i vari parenti ed amici, sparsi per il mondo. Morta lei le notizie, le relazioni s’interrompono.
Rimasta orfana in giovane età, fa da mamma alla sorella, nata dopo. Compie studi classici ed avendole scoperta una bellissima voce di soprano lirico, s’iscrive al Conservatorio musicale. Durante un viaggio in Italia, dopo un’audizione fatta con un importante maestro dell’epoca, le propongono di debuttare al Teatro Massimo di Palermo, con l’opera “Madama Butterfly” di Puccini e l’anno seguente, con la stessa opera, alla Scala di Milano. La carriera brillante della mamma, inizierebbe con facilità impensabili, dato, che le è offerto di entrare subito nell’ambiente, dalla porta principale. Suo padre non vuole nemmeno soffermarsi sull’argomento, commentando che “le cantanti sono tutte poco di buono”. Siamo nel 1932 e questa è la mentalità. Così finisce una carriera brillante, neanche iniziata. Più avanti nel tempo, Iris si toglie qualche soddisfazione, cantando in vari teatri, con l’unanime plauso della critica intellettuale, ma il tutto è ben poca cosa, rispetto a quello che il futuro le prospettava. Nel mio piccolo, anch’io ho studiato musica classica e credo di poter confermare, senza partitismi, che Iris ha una voce splendida. Possiamo immaginare, come per tutta la sua vita si porti dietro questa mancata occasione. La musica rimane la sua passione, coadiuvata prima da mio padre, conosciuto al Conservatorio e poi da me, diventato, nei concerti, suo accompagnatore ufficiale al pianoforte. Partecipo anch’io più volte, quale ragazzino/comparsa, o membro del coro, alle opere nelle quali la mamma è la protagonista : Madama Butterfly, Bohème, Tosca, Aida, eccetera. All’opera del Cairo, tra un atto e l’altro del “Trovatore” di Verdi, la mamma allatta al seno mio fratello Lucio, nato da poche settimane, mentre il Re Farouk e la Regina Farida attendono con pazienza, l’inizio dell’atto successivo………………………………………………………………………..
Oggi ho passato un’ora a pensare, guardando Mattia, il figlio del mio primogenito e di sua moglie, la dolcissima Silvana. Mattia ha 28 giorni di vita, o meglio, ha 847 volte meno della mia età. Quanta strada ha da fare.
……………………………..La mamma e mio padre si conoscono al Conservatorio musicale d’Alessandria. La mamma è la “diva” osannata da tutti, mentre mio padre è come il famoso “mohicano” : l’ultimo arrivato. Mio padre ha una vocina discreta da tenore, ma è privo di studi …….e poi è un corista. S’aggiungiamo, che il direttore del Conservatorio lo presenta come “un pugile”, si possono immaginare gli sguardi di commiserazione ! Io non ho niente contro la categoria dei pugili, ma descrivo solo i racconti della mamma, che per natura, è molto delicata d’animo e contro qualsiasi tipo di violenza corporale. All’inizio questa presentazione è molto sfavorevole a mio padre, ma quando poi si viene a sapere la sua estraneità con il pugilato, è guardato con occhi più benevoli. La mamma racconta, che guardandolo più attentamente, nota il naso non schiacciato d’Edoardo. Per la verità mio padre è uno sportivo, che pratica la corsa podistica, il calcio, la cultura fisica, ma un maestro direttore di Conservatorio musicale, non sa distinguere le differenze, perciò nasce la definizione di pugile. Superato l’equivoco, non si può trascurare il fatto, che mio padre all’epoca sia “belloccio” e con un certo fascino, quindi la conquista della “diva” non è una cosa impossibile. Non conosco gli approcci e le loro prime intimità, perché, nessuno dei due protagonisti, fa mai confessioni in merito. Pare che dopo le presentazioni in casa, il nonno Carlo faccia di tutto, perché si sposino e da quel momento, la mamma diventa la sua pupilla. Sarebbero guai per chi osasse, anche solo accennare, contro Iris, la benché minima osservazione. Si può immaginare la gioia di questo signore, quando Iris ed Edoardo gli regalano il primo nipotino, al quale, per giunta, è dato il suo nome: Carlo. Un po’ più di un anno dopo, nasco io. Di questa nascita, di quella precedente, delle poppate, del peso crescente, di quante volte ci viene cambiato il pannolino, delle prime parole balbettate da mio fratello Carletto, delle sue tenerezze nei miei confronti, io l’apprendo dai diari della mamma. Sempre da questi diari so che, mezz’ora prima di nascere, io sono portato in giro per la tradizionale visita pre-Pasquale, alle sette chiese e poi però scherzosamente si lamentano perché io “esco” con i piedi, parto podalico. Più avanti dirò, come purtroppo terminano questi diari…………………………..………………...
                                   Oggi è il “complimese” di Mattia. .
………………………………Il periodo di felicità per i due sposini, con i loro nuovi marmocchi, è piuttosto breve. L’Italia entra in guerra contro l’Inghilterra. L’Egitto è un protettorato inglese, gli italiani sono dei nemici da arrestare ed internare. Il nonno e mio padre, che sono iscritti nella lista nera dei nemici, sono i primi ad essere arrestati e rinchiusi nell’edificio delle scuole italiane, per l’occasione diventate prigione. Si trovano ad un chilometro di distanza, in linea d’aria, da casa nostra. Il nonno per consolare mia mamma le dice : “ Iris non piangere. Tra quindici giorni saremo liberi. Appena tu sentirai che le truppe italiane hanno preso il porto d’Alessandria, esponi alla finestra la coperta rossa, così sapremo d’essere nuovamente liberi”. Lui non ha mai più visto né la coperta rossa, né la sua casa. Dopo poche settimane, anche gli altri italiani sono arrestati e portati nel deserto di Suez, nei campi di concentramento. Tutte le donne della famiglia, ossia, la nonna, la mia mamma, le zie, si trovano improvvisamente sole, a vivere con pochi soldi ed a nascondersi nei rifugi, con i figli piccoli, durante i bombardamenti d’Alessandria. Le incursioni si ripetono per tre o quattro volte a notte. Io sono piccolo, ma ricordo i lampi artificiali lanciati per illuminare la città, il frastuono delle bombe che cadono, la mia maschera antigas pronta all’uso, il pane bianco mangiato dalla vicina, moglie di un ufficiale inglese, il fatto che a bombardarci siano proprio i nostri fratelli italiani. Tutto questo fino a che, di notte, una bomba colpisce il circolo degli ufficiali inglesi, ubicato a cento metri di distanza dalla nostra casa. Tutti i vetri della casa si rompono; per l’occasione il nonno è osannato, quale progettista e costruttore di una casa robusta e resistente, ma la paura è, a dir poco, tanta. Questo è il segnale, che Alessandria ormai sia una città ambita da tutti i contendenti e quindi abitarla diventa pericoloso. Così le donne di casa prendono la decisione di trasferirsi in un villaggio agricolo, vicino al Cairo: “ Ezbet el nahl “, che traducendo diventa “oasi dei datteri”. L’oasi è molto lontana da casa nostra, da Alessandria, ma ha il pregio di essere a soli duecento chilometri dai campi di prigionia dei padri e mariti. Due volte l’anno i parenti stretti possono visitare gli internati, previo permesso speciale, per lasciare la propria abitazione e compiere, un percorso ben preciso, con la scorta. Il periodo trascorso in quest’oasi non m’impressiona molto la memoria. Ricordo: l’albero del gelso, per le sue squisite more bianche, che noi ragazzi raccogliamo; l’albero del mango, per il suo profumo intenso e per i frutti particolari; l’asinello con gli occhi bendati, che gira in cerchio, trascinando l’asta per portare su l’acqua del pozzo; le polverose stradine di campagna; la stazione, consistente in un unico marciapiede rialzato, completamente vuoto e molto assolato; il piccolo treno a vapore, con due soli vagoni……….……………………….
Silvana, la mia compagna, riferendosi alle provocazioni, oggi ha detto, che la faranno Santa, ma che sarebbe giusto farla subito, in vita, perché dopo morta, non godrebbe i privilegi della santità. Le ho fatto notare che la santità nasce dalla sofferenza e non ci sarebbe sofferenza se incominciasse a godere subito i privilegi dei Santi !
………………...…Nell’oasi tutto sembra andare avanti senza scossoni. I bombardamenti qua non ci sono, da mangiare c’è quanto basta per non morire di fame, le donne di casa, sotto la direzione della nonna, vanno d’accordo tra loro, i mariti e padri sono lontani, ma si confida nel trascorrere veloce del tempo, per riunire nuovamente l’intera famiglia.
Purtroppo questo lento trascorrere del tempo, con serena rassegnazione dell’intero gruppo, è rotto da una ferale notizia: il nonno Carlo, “ in seguito ad un attacco di Angina Pectoris è stato trasferito dal campo d’internamento situato nel deserto di Suez, all’ospedale del Cairo, dove, dopo 200 chilometri di percorso è giunto cadavere. La salma sarà trasferita ad Alessandria, città d’origine del defunto.“ Questo è il laconico messaggio inviato alla nonna, dalle autorità consolari.
Non c’è molto tempo da dedicare a questo dolore, perché sia io, che il mio fratellino maggiore, Carletto, da qualche giorno, abbiamo la febbre molto alta. Sono tutti preoccupati, ma il medico è irreperibile nell’oasi dove abitiamo. Si ricorre ad un medico del Cairo, con grandi sacrifici economici e la sua diagnosi è immediata, ma spietata: si parla di Tifo per mio fratello, di Paratifo per me. Siamo nel 1941 e queste due malattie infettive, sono sinonimo di morte. Le autorità sono tenute ad isolare le persone infette, con il trasferimento al “lazzaretto” e le nozioni mediche dell’epoca nulla possono fare contro queste due malattie. Il medico commosso dalla situazione, accetta di rinviare la sua denuncia alle autorità, il giorno successivo, per consentire alla mamma di programmare un’eventuale fuga verso Alessandria. Si, dobbiamo scappare dall’oasi per non farsi portare via i due figli ammalati, almeno per fare qualche tentativo di salvarli. Siamo in pieno periodo bellico, in un paese nemico, dove ogni spostamento degli italiani, deve essere autorizzato dal Governatore inglese. Nessun’autorità consentirebbe il trasferimento di due persone ammalate, con l’obbligo dell’isolamento. La mamma decide velocemente di scappare per Alessandria, dove può avere una migliore assistenza e gli avvenimenti seguenti le daranno, in buona parte, ragione. Questa fuga le fa rischiare pene gravissime, non esclusa l’imputazione di spionaggio a favore del nemico, ma tutto ciò non passa neanche per la testa alla mamma, che vuole salvare i figli a qualsiasi prezzo. Il viaggio verso Alessandria è drammatico. I bambini sono febbricitanti, si deve andare verso il Cairo con un trenino, poi cambiare ferrovia, passando per un’altra stazione. Il tutto evitando i numerosi posti di blocco della Polizia Militare, che porterebbe al sicuro arresto della mamma ed al ricovero forzato di noi due bambini, al “lazzaretto”. La mamma ha continuato a ricordare nel tempo quella giornata, il viaggio, come in un incubo e sempre con un pianto in gola, che le impedisce di finire il racconto. Si arriva ad Alessandria e si raggiunge l’abitazione del nonno materno, che ancora non sa nulla. Il nostro vecchio pediatra, il Dottor Ziwar, è avvertito e giunge velocemente in soccorso. Il dottore è egiziano con passaporto greco e quindi può circolare liberamente su tutto il territorio. Con la mamma stabiliscono di curare me a casa del nonno e di portare mio fratello, che appare più grave, all’ospedale greco. Più tardi lo stesso medico si prodigherà ancora, per trovare una soluzione, quando la mamma è convocata dalle autorità, a rispondere della sua fuga dall’oasi. Io ho solo quattro anni, ma moltissimi episodi sono chiarissimi nel ricordo, anche nei minimi particolari. Ricordo le visite quotidiane del medico, la febbre alta combattuta con le pezzuole d’acqua e aceto in testa, le continue assenze della mamma, che va all’ospedale dal fratellino, la zia Tina, che non mi lascia mai, le prime zucchine lesse, condite con il limone, dopo la fase critica della malattia. Dall’altra parte, all’ospedale, mio fratello lotta contro la malattia, con le sue sole forze. Le conoscenze mediche sono arretrate e non si sa ancora come combattere questo male. Tutto è documentato dalla mamma, che trova sfogo nello scrivere sui suoi diari. E’ riportata la febbre, nei suoi valori oscillanti, ma sempre alti, la gioia del bambino, che riceve in dono un piccolo carro armato, di un amichetto, le notti insonni del bambino, sempre più stremato, la presenza degli infermieri, che non possono fare nulla, la preziosa aranciata, bevuta dal bambino, l’acqua di riso molto gradita, l’assopimento riposante, dopo i dolori tormentanti, i colloqui con i medici, sempre più sfiduciati. Il diario continua: “-10 Dicembre. Ieri sera la febbre è arrivata ancora a 40 gradi, poi è scesa a 39 e 2, ma stamattina Carluccio è più sveglio. Gli ho portato due mele e le ha volute tenere per giocare. Il medico dice, che il cuore è affaticato e poi ha nuovamente il gonfiore all’orecchio destro, ma è meno giallo. Ha bevuto con me dell’acqua di riso. - 11 Dicembre. Stamattina ha 38 e 1, le pulsazioni sono regolari, ma ha il viso gonfio sui due orecchi. - 12 Dicembre. Oggi è arrivato Eddy dal campo di prigionia. Carlino ha 39 di temperatura. Nel pomeriggio è salita a 40 ed il gonfiore agli orecchi è più accentuato. Il cuore è debole, lo stato è grave.”
Il diario per quattro giorni non riporta più nulla…………………….poi la mamma scrive :
 “ - 16 Dicembre. E’ morto Carlino mio. “
Dal diario si deduce, che nostro padre sia arrivato, appena in tempo, per vedere il mio fratellino vivo. Non so come gli sia stata concessa la possibilità di lasciare momentaneamente il campo di prigionia. Io ho la visione di me, che dal lettone, vedo mio padre, seduto sulla poltrona, nel corridoio. In piedi, ai lati della poltrona, ci sono due guardie e mio padre, con la testa tra le mani, singhiozza. E’ la prima volta, che io ricordi mio padre, dalla nascita in poi. Non capisco perché stia piangendo quel signore, credevo che solo i bambini piangessero. Più avanti, con il passare degli anni e con i racconti della mamma, ricollegherò questo pianto alla morte di Carletto.
Rivedo mio padre molto tempo dopo, in occasione di una visita al campo di prigionia, concessa alla mamma ed a me. Ricordo un paio di queste visite fatte a mio padre, ma non ho memoria d’affettuosità, o particolari attenzioni da parte sua, nei miei confronti. Lasciando il campo per fare il lungo viaggio del ritorno a casa, non ho nostalgie, anzi, m’infastidisce il fatto, che la mamma sia molto triste. Oggi capisco il perché di quella tristezza.
Ad Alessandria la vita di guerra, continua per gli adulti e nella totale incoscienza, per noi bambini. Dico noi bambini, perché nel frattempo ho stretto le mie amicizie con i bambini del vicinato. Io sono il più piccolo e cerco in tutto d’imitare gli altri.
Tutti i giorni nel pomeriggio viene il lattaio, a distribuire il latte. In bicicletta trasporta numerosi grossi recipienti di latta, appesi qua e là con ganci. Questi recipienti hanno la forma di grossi bottiglioni in lamiera zincata, con il relativo tappo. Io ho imparato a misurare i tempi: il lattaio arriva, si assenta per salire ai vari piani e consegnare il latte a tutti gli inquilini dell’immobile. A me questo tempo è sufficiente, per le mie malefatte. Tolgo con frenetica cura il tappo, uno per volta, a tutti i recipienti, infilo dentro il mio dito malefico, lo passo sul bordo, al livello del latte, raschio la panna formatasi con le scosse del trasporto. Ovviamente succhio il dito pieno di panna, ogni volta che lo estraggo dal recipiente. L’azione si ripete tutti i giorni e sono diventato talmente bravo, che, credo, l’interessato non se ne sia mai accorto. Oggi la vista della panna suscita ancora in me questa squisita memoria.
Il lattaio passa abitualmente mezz’ora prima dell’autobotte, che viene ad annaffiare le strade sterrate. Si tratta di un camion con una botte colma d’acqua ed un tubo di ferro sforacchiato posto frontalmente, in modo da lasciar passare l’acqua spinta a pressione da una pompa. Regolarmente noi ragazzi l’aspettiamo ai bordi della strada e fingendo noncuranza, ci lasciamo spruzzare abbondantemente, per poi imprecare contro l’autista. Quest’ultimo finge altrettanta noncuranza e quando arriva alla nostra altezza, aumenta il getto della acqua e prosegue per la sua strada, senza badare alle nostre finte invettive, ma sorridendo. Così ci divertiamo tutti.
Un pomeriggio, dopo il passaggio dell’autobotte, non so per quale banale disputa, ricevo un pugno sullo stomaco, regalatomi dal mio amico preferito, Armando, di due anni più anziano di me. Non ricordo di aver patito dolore, ma ricordo lo smacco, per aver preso un pugno dal mio idolo. Più tardi passa, come sempre, il venditore di “tarabucche” ( tamburelli in coccio, con la pelle d’asino ), che in pagamento non vuole soldi, ma pattuisce il prezzo in bottiglie: quattro per una piccola, otto per una media, quindici per la grande. Zia Tina per calmare la mia rabbia verso Armando, mi consegna qualche bottiglia ed io riesco a comprarmi una tarabucca piccola…………………………………………………………….………………
Oggi sono andato a prendere il caffè in compagnia di un’amica. Ho lasciato la bicicletta fuori, davanti al bar. Improvvisamente si sono sentiti i fischi dei vigili urbani per segnalare la loro presenza agli automobilisti in divieto di sosta. Qualche avventore si è precipitato fuori dal bar, per spostare l’auto. Io mi sono affacciato sulla porta, con la tazzina in mano ed al vigile ho detto: “vado via subito”. Il vigile mi ha chiesto quale fosse la mia ed io con molta dignità, ho indicato la mia bicicletta. Il seguente gesto del vigile voleva indicare un “vaff…..” represso.
……………La macchina del vicino, signore inglese, è la passione della nostra banda, perché regolarmente, con i ditini angelici, gli sgonfiamo le gomme. E’ bello sentire l’aria, che esce con forte pressione e poi sempre meno, mentre la gomma si affloscia. Un pomeriggio, durante una di queste operazioni di gruppo, vedo i compagni dare l’allarme e scappare di corsa, ma io non mi rendo conto del perché, fino a che non mi trovo un omone minaccioso davanti: è l’inglese. Non so come, ma riesco a scappare anch’io, o meglio credo che lui abbia voluto lasciarmi scappare, con una fine lezione all’inglese. Resta il fatto, che da questo momento, mi rifiuto di passare davanti all’abitazione dell’inglese e per noi diventa “la casa del mostro”. E’ sott’inteso, che le gomme, miracolosamente non si sgonfiano più.
Un triste giorno, durante una scorribanda, bighelloniamo e passiamo per il nostro solito percorso. Davanti ad una villetta a due piani, improvvisamente uno dei compagni, rimasto indietro, lancia un grido: “ Si è impiccata” ! Accorriamo tutti indietro e attraverso il vetro di una finestra, vediamo una giovane donna appesa al soffitto, con una corda al collo ! Passato il primo momento di terrore urliamo disperati, fino a che gli adulti ci allontanano e danno a loro volta l’allarme. Pare che per la poveretta non ci sia niente da fare. Da quel momento per noi è “la casa dell’impiccata”. Non passiamo più da quella casa, se non per bravata, sfidando la paura del fantasma. Il giorno dopo, uno dei miei compagni più grandi, vuole ripetere l’esperimento, impiccando un gattino. Per fortuna del gatto, un signore di passaggio se n’accorge in tempo, salvando il gattino dalle nostre grinfie e malmenando noi.
Stando sul tema di sadismo infantile, un altro esperimento tentato dal gruppo, di cui mi ricordo con vergogna, è il tentativo di spennare vivo un passerotto catturato, per vederlo nudo. Anche in questo caso, la nostra malefatta non si compie. Il povero uccellino riesce a svincolarsi ed a volare via, dopo avergli strappato solo una piuma. Racconto il fatto a zia Tina, che amorevolmente mi rimbrotta, facendomi capire, che i passerotti si vergognano a stare nudi………... …………………..………………………………………………………………….
Oggi Mattia compie 32 giorni. Si è messo nel naso il dito anulare, allora gli ho insegnato che è il dito sbagliato: va infilato l’indice.
………………………………Il nostro gruppo è formato da soli “uomini”, di 5, 6, 8 anni al massimo, perciò le bambine sono guardate, solo da lontano ed allora cominciano i primi innamoramenti. Due sorelle di nazionalità greca, sono le più ammirate, anzi una in modo particolare ha due occhi grigi fulminanti, incorniciati dai capelli bruni molto ricci: è irresistibile. Lei sa di essere desiderata e mentre da una parte finge di ignorarci, dall’altra ci provoca, affacciandosi mezza nuda, dalla terrazza di casa sua, al secondo piano. La sorella è carina, ma noi “uomini” non la vediamo. C’è una terza “donna” che ruota intorno al gruppo, Enza, ma è trasandata, sciatta, sporca; non è attraente…………………………………………………………………………..
Oggi Silvana ha messo ordine nella nostra biblioteca. Le è capitato tra le mani “Il Gattopardo” e vista in lei qualche incertezza nel catalogare il romanzo, le ho consigliato di riporlo tra i libri sugli animali.
……………………..Nel frattempo mia mamma è chiamata dalla polizia, che ha scoperto i ladri, negli appartamenti abbandonati delle nostre case. L’edificio costruito dal nonno Carlo è diventato dimora fissa di una banda. E’ così che inizia un altro periodo di tribolazioni, per la mamma. E’ costretta a visitare spesso questi appartamenti vuoti, per far sentire la nostra presenza, pur abitando noi nella casa del nonno Oliva. La nonna e le zie sono rimaste con i cugini all’ Esbet El Nahl. Quotidianamente io e la mamma andiamo a pulire, a chiudere con catene le finestre e le porte, a mettere ordine negli appartamenti, visitati nottetempo dai ladri. La tristezza sta nello spregio di questi ladri, che non si limitano a portare via, o a rompere le cose non volute, o a segare le persiane danneggiandole, ma fanno anche i loro bisogni, in terra nelle varie stanze. A tutto ciò si aggiunga che, l’autobus nel suo percorso passa obbligatoriamente dall’ospedale, dove è morto mio fratello. Regolarmente a me viene un nodo alla gola, perché vedo la mamma con le lacrime agli occhi e lei mi abbraccia. La scena si ripete tutti i giorni. Un giorno, dopo essere entrati in uno degli appartamenti spregiati, la mamma trova in terra un passaporto di nazionalità italiana, rilasciato ad un certo Signor Fortunato Tr….. (ometto il cognome, che però ricordo perfettamente) Evidentemente uno dei ladri, nella sua scorribanda notturna, al buio ha perso il documento d’identità. Portiamo questo documento alla polizia ed il discorso sembrerebbe chiuso qua, anche se è inspiegabile come possa un italiano essere in libertà, in giro per la città, con il passaporto non requisito. Qualche giorno dopo, di pomeriggio, sentiamo bussare ai vetri della nostra camera, posta al piano terra. E’ il signor Fortunato Tr…., che sfacciatamente si presenta, per riavere il suo passaporto. La mamma caccia un urlo, facendo accorrere il nonno, ma il signor F. T. scappa. Altra denuncia alla polizia, altri sopralluoghi, altre consultazioni di foto per il riconoscimento, eccetera. Finalmente si decide di mettere un portiere/guardiano, che con la sua famiglia viene ad abitare al piano terra dell’immobile. Si chiama Taha, è imponente con il suo aspetto……….....è alto circa un metro e venti. Il turbante, che ormai fa parte della sua persona, quasi lo nasconde. Oltre alla moglie, sempre velata e vergognosa, ha due figlie piccole. Anche per Taha i primi tempi sono duri: si catturano due ladri e viene portato anche lui al posto di polizia. Non si sa perché, ma anche Taha è malmenato dai poliziotti. Pensano sia complice dei ladri e a suon di bastonate, vorrebbero fargli confessare, chissà quali colpe. Finalmente arriviamo noi, la coppia vincente, ossia io alto la metà di Taha e la mamma, per salvare il nostro poveraccio, ormai tumefatto dalle botte. Per me è un ennesimo brutto ricordo: quest’uomo piccoletto, mite e buono, seduto in terra, nella cella con le sbarre, pieno di lividi. Non riesco a capire i motivi e non li capirò mai più. Taha è fatto uscire dalla mamma, che, malgrado la sua femminilità, interviene con fermezza.
Per associazione di idee ricordo il matrimonio della figlia più grande di Taha, 13 anni, con il promesso sposo di 45 anni…..E’ l’usanza di promettere e concordare tra le famiglie il matrimonio della figlia, già nel giorno della sua nascita…….……………………………………..………
Oggi ho pagato 15 Euro alla Confraternita della Misericordia, per la quota associativa annuale, altrimenti perdo il diritto al “forno” o “loculo”, che dir si voglia, nel cimitero di Soffiano. Non voglio
essere sfrattato anzitempo.
…………………………….Nel frattempo la guerra è finita e di ciò non parlo, perché è storia. Tutti gli uomini tornano a casa, ma la vita è dura: non ci sono possibilità di lavorare, c’è tanta miseria in giro. Mi dilungherò poi, parlando di mio padre, ma ora dico che Edoardo è stato il primo ad essere internato ed è l’ultimo a tornare a casa. La famiglia ritorna ad abitare negli appartamenti voluti e costruiti dal nonno. Due membri del gruppo mancano all’appello: il nonno Carlo e mio fratello Carletto, contributo della famiglia alla guerra.
Mio padre tarda a rientrare, oltre i tempi della detenzione, perché parlando bene sia l’inglese che il tedesco, gli è offerto un impiego di interprete, presso i campi di prigionia dei tedeschi, gestiti dagli inglesi. I dirigenti del campo lo convincono, dicendo che ad Alessandria si patisce la fame, mentre la loro offerta è un buon salario, un trattamento da libero cittadino, anche se con le limitazioni dell’ambiente, cibo in abbondanza, di prima qualità e con la possibilità di fare riunire mio padre con me e la mamma. Edoardo accetta e per un anno ci trasferiamo a vivere ad Ismailia, vicino il canale di Suez. Io sono ancora piccolo, ma di questo periodo ho distintamente chiare alla mente due cose: 1° - ad Ismailia ho imparato le tabelline aritmetiche, che ricordo tutt’ora; 2° - le chiuse a diga sul canale, per far superare alle navi il dislivello del corso d’acqua e che questo metodo impiegato è una delle numerosissime importanti invenzioni di Leonardo Da Vinci. E’ da questo momento che nasce la mia ammirazione per Leonardo e la mia fissazione di voler sapere tutto di “Lui”. Scoprirò più tardi che sono anche opere sue: la vite senza fine dentro al cilindro, usata a pedali dai contadini per portare l’acqua del Nilo sui loro campi; la ruota a pale che trainata dall’asinello bendato, porta su l’acqua dai pozzi, eccetera.
La mamma e mio padre si riuniscono e dal loro amore nasce il mio nuovo fratellino: Lucio. Come tutti i membri della nostra famiglia, anche lui nasce nella nostra maternità, che è un edificio separato dal nostro, solo da un giardinetto di casa. In pratica ci si parla dalle finestre. Infatti, la notizia della nuova nascita ci è comunicata dalla levatrice, che si affaccia alla finestra chiamandoci. Io ho otto anni e sto giocando con i cuginetti al montaggio del “Meccano”. Sono proprio io che mi affaccio ed apprendo la notizia. Sono raggiante e commosso. Non so quali siano i miei compiti verso questo nuovo arrivato e sono imbarazzato, ma orgoglioso, perché io ho un fratellino ed i cuginetti ancora non lo hanno. Nel pomeriggio gli zii accompagnano tutti noi bambini a vedere il film “Buffalo Bill”. Io mi preparo da solo per andare al cinema, perché ormai sono grande ! Pulisco le mie scarpe da ginnastica, le preferite ed uniche che ho, passandoci sopra la pietra umida del bianchetto, proprio come ho visto fare la mamma. Gli otto giorni di degenza della mamma alla maternità, li passo a casa dei cugini………………………………………...
Oggi mi ha telefonato Imelda, la ragazza badante di 23 anni che accudisce ed assiste mio padre, vivendo in casa con lui. Con ansia mi ha detto, che vuole parlarmi. Con altrettanta ansia la raggiungo. Tra le lacrime mi riferisce, che mio padre, 93 anni, le salta addosso. Non sa più cosa fare, perché la storia si sta ripetendo.
………………Tutti i pomeriggi, subito dopo il pranzo, andiamo a fare la “siesta” nel lettone degli zii. Dopo il pisolino, abbiamo lo spettacolo cinematografico in casa. A quell’ora passano quotidianamente centinaia di cavalli da corsa, in fila indiana, che tenuti ciascuno da due uomini a piedi, vanno a fare il passeggio. Per un giuoco di luci, noi stando a letto, attraverso le feritoie delle persiane chiuse, vediamo distintamente tutte le ombre dei cavalli e degli uomini passare sul soffitto. E’ facilmente immaginabile il divertimento di tre bambini di otto anni, alla presenza di questo spettacolo. La ripetizione del fatto nei giorni, ci dà l’idea di costruire un apparecchio di proiezione cinematografica. Abbiamo molti fotogrammi di pellicole da film, che abitualmente ci scambiamo a scuola; disponiamo di una grossa lente che era del nonno e che io posseggo tutt’ora; dalla nonna prendiamo una scatola da scarpe rettangolare; lo zio ci presta la lampada della sua scrivania; la zia ci sistema un lenzuolo sulla parete……..la “ lanterna magica” è fatta. Quando lo spettacolo è allestito invitiamo gli adulti a sedersi sulle sedie disposte per l’occorrenza, dietro pagamento di un regolare biglietto d’ingresso. Il primo giorno, la nonna, gli zii pagano, ma data la brevità dello spettacolo, il giorno seguente si rifiutano di prendervi parte, con conseguente bancarotta della nostra impresa cinematografica……………………………………………...………………….
Qualche settimana fa ho sotterrato una patata in un vaso sulla nostra terrazza, tra le intoccabili piante di Silvana. Ieri lei ha trovato una nuova pianta verde e rigogliosa, ma non conoscendone l’origine, l’ha sradicata scoprendo così la mia patata e chiedendosi come ci fosse arrivata. Le ho spiegato trattarsi della classica seminazione naturale………………portata dal vento.
………………………………………………………..Al pomeriggio passa un mendicante non vedente. Noi ragazzi lo chiamiamo il “santone”, perché pare che, si sia fatto accecare di propria volontà, dopo aver visto la “Pietra Nera” della Mecca. Ora vive d’elemosine, girando per la città con un percorso sempre uguale. Quando arriva da noi, gli facciamo sempre festa, perché in cambio dei nostri soldini ci facciamo dire l’ora esatta. Tutti i giorni l’ora cambia, anche se solo di pochi minuti, ma regolarmente il “santone” l’indovina. Noi possiamo controllare con l’orologio, sulla torre della fabbrica di Coca Cola, che per noi è bene in vista. La sua precisione ci stupisce sempre. Le proviamo tutte, per smascherare un suo ipotetico imbroglio. Pensiamo che non sia cieco, o non del tutto, mettendolo alla prova, ma il risultato è che non vede neanche le ombre. Pensiamo che in preparazione alla nostra domanda si faccia dire l’ora da qualcuno, poco prima di raggiungerci. Con questo dubbio lo precediamo nel suo percorso, facendo con lui, non visti, un lungo tratto di strada. Ma non è avvicinato da nessuno e così ci convinciamo, che il “santone” ha un suo orologio biologico. Oggi ne sono più convinto, perché ho sperimentato su me questa capacità umana. Io, molto spesso, mi metto alla prova, cercando di indovinare l’ora, durante le varie fasi della giornata ed il più delle volte mi avvicino molto. Non solo, ma io ho l’abitudine di fare un pisolino dopo il pranzo. Regolando la sveglia sull’ora voluta, io apro gli occhi, pochi secondi prima del suono. Ho provato anche con l’ipnosi, capitolo a sé stante, di cui parlerò poi. Dandogli l’ordine di risvegliarsi dopo uno spazio di tempo esatto, un soggetto sottoposto ad ipnosi, obbedisce all’ordine autonomamente, con grande precisione…………...………………………………………...………………….
Qualcuno leggendo questi miei ricordi, si ritroverà tra i personaggi descritti: ma è storia vera. Spero solo di averne parlato bene.
…………………………Lucio, con la sua nascita, completa il nucleo familiare. Non che Carletto sia dimenticato, tutt’altro. Le nostre visite al cimitero sono molto frequenti, ma finalmente Iris si rasserena dopo tante traversie subite.
Edoardo è ancora alla ricerca del suo futuro, però gradatamente anche gli stenti cessano, per fare posto ad una vita più agiata, come dirò più avanti con dettagli, parlando di mio padre.
Iris ricomincia a cantare nei concerti, è richiamata, con Edoardo, nei nuovi allestimenti delle opere liriche. In casa nostra si sente ancora musica e canto, la guerra sembra essere lontana. Iris riprende il lavoro a maglia, ma non è più per necessità o peggio per fame: fa maglioni per mio padre, per me, per Lucio, per tutta la famiglia; fa calzini e vestitini per i neonati dei parenti e degli amici; fa una vestaglia intera di lana per sé.
Questo periodo felice si rannuvola brevemente. Mio padre, in accordo con uno dei suoi fratelli, constatando che in Alessandria non c’è più futuro, né per i genitori, né per i figli, incomincia ad interessarsi dell’Argentina, del Brasile, dell’Australia, per una eventuale emigrazione. Dopo attento esame, la scelta cade sull’Australia. Ci sono alcuni amici di famiglia e dei cugini di Edoardo, che già da laggiù scrivono con tanto entusiasmo. Ci consigliano come procedere per ottenere il visto d’ingresso. Ci sottoponiamo a tutte le richieste consolari e si fanno tutte le analisi cliniche, per l’idoneità fisica dell’intero gruppo.
Infine le autorità concedono l’insperato visto. Ora, prima di partire, si deve vendere l’immobile costruito dal nonno Carlo e la casa di proprietà del nonno Oliva, passata per eredità alle due figlie. Si tratta di rompere una tradizione, dei legami familiari, fin qua molto sentiti. Incominciano gli screzi tra i fratelli per come vendere e perché vendere le proprietà. La mamma, che sperava in un rifiuto dei visti consolari, è tristissima, perché non vuole lasciare la famiglia, gli amici, le abitudini, per andare in una terra sconosciuta e con tante incertezze. Dopo numerose riunioni tempestose tra fratelli, la casa patriarcale è venduta. Il pensiero di separarci mette nel panico anche noi cugini, fin qua abituati a stare sempre insieme. Ci facciamo le grandi promesse di non perdere i contatti tra noi, di rincontrarci. Incomincia il peregrinare di Iris, Edoardo, Lucio ed io, da una casa all’altra, iniziando provvisoriamente con un appartamento in affitto.
Passato poco tempo, dopo aver venduto l’immobile della nostra infanzia, c’è una svolta improvvisa. Nel lungo periodo d’attesa per i preparativi alla partenza verso l’Australia, Edoardo è richiamato a lavorare per la “Compagnia delle acque”. Anche il fratello, promotore dell’emigrazione programmata, è chiamato a dirigere una importante officina meccanica. Il futuro ora è più roseo per tutti ed i programmi d’emigrazione sono abbandonati definitivamente…………
Oggi ho parcheggiato la mia bicicletta, legandola con la catena ad un parapedonale, come faccio di solito. Ritornando a prenderla, con le chiavi del lucchetto in mano, un signore in cerca di parcheggio per la sua auto, affacciandosi al finestrino mi ha chiesto: “Va via ?“ Io senza esitazioni ho risposto: “Si”, avviandomi a slegare la bici. Non ho visto l’espressione del signore, ma ho sentito quello che ha detto.
……………………….La vita procede serenamente per i miei genitori, che vedono crescere me e Lucio. Tutto va avanti senza scosse fino al 1953, quando in Egitto scoppia la rivoluzione. E’ capeggiata da Naguib, ma presto anch’egli è deposto, con il colpo di mano del suo Luogotenente Nasser. Il Re Farouk è detronizzato e scappa in Italia; i suoi nobili, i ministri, sono condannati ai lavori forzati. Agli stranieri, proprietari delle grandi industrie, si requisiscono le imprese e si costringono alla fuga dal paese. Gli stranieri come noi, con medio tenore di vita, sono tollerati, ma non ben visti. Dopo tutti i soprusi fin qua subiti dalla popolazione indigena, per mano nostra, c’è una giusta rivalsa con la caccia allo straniero. Regna la più completa anarchia, come quasi in tutte le rivoluzioni. Ci si aspetta da un momento all’altro, nuovi passaggi di potere. Si teme il peggio. Ora Alessandria non offre più un futuro a noi stranieri. Si programma così un graduale rimpatrio verso la nostra tanto amata Italia. Io frequento l’ultimo anno al Conservatorio musicale, quindi sarei pronto per dare l’esame di diploma in Italia. Mio fratello Lucio ed i cugini della sua generazione, sono ancora piccoli e potrebbero facilmente inserirsi negli studi in Italia. Mio cugino Alfeo, della mia stessa generazione, è iscritto all’Università di medicina di Alessandria e la sua preparazione gli consentirebbe di inserirsi brillantemente in Italia; di fatto qua diventerà un apprezzato medico, con una brillante carriera. L’altro cugino, Roberto, nel frattempo si è inserito nel mondo del lavoro e potrebbe avere degli agganci per trasferirsi professionalmente in Svizzera, ma poi andrà come tecnico in Colombia. L’incertezza del rimpatrio riguarda gli zii e mio padre, che essendo circa cinquantenni, potrebbero trovare difficoltà ad inserirsi in un’attività. Esaminati i pro ed i contro, io parto per primo, accompagnato dalla mamma e da Lucio, che vengono per affidarmi, dietro presentazione, ad una signora di Milano……………………………
Oggi sono andato in Tribunale per assistere ad una delle cause che ho in corso. L’avvocato avversario è giovane ed appena mi scorge nel corridoio, mi viene incontro salutandomi e dicendomi: “ La vedo con grande piacere, anche se poi sono combattuto nel leggere le sue micidiali relazioni “. Sono rimasto favorevolmente colpito da questa nostra gradevole convivenza.
…………………………………Siamo nel Luglio del 1956. Con una nave turca, diretta a Napoli tentiamo di lasciare il porto d’Alessandria. Dico tentiamo, perché c’è in corso una burrasca ed un mare grosso tali, che il pilota del porto non riesce ad abbandonare la nostra nave per salire sul suo rimorchiatore. Siamo solo all’imboccatura del porto, ma il pilota fa diversi vani tentativi. Il rimorchiatore a tratti è sbattuto sul fianco della nave, poi è allontanato dalle onde altissime. I tentativi si ripetono per circa mezz’ora e quando finalmente il pilota mette piede sul suo rimorchiatore, scoppia naturale l’applauso di tutti noi passeggeri, che dal ponte, assistiamo all’evento. La nostra nave riparte verso il largo, ma sembra che non riesca a procedere. Si arrampica con la prua in verticale sulle onde ed al culmine sta un attimo in equilibrio……….trova il vuoto sotto di sé e con un pauroso colpo sotto alla chiglia, fragorosamente e scricchiolando, si rituffa sull’acqua, poi giù ancora in verticale per la china dell’onda. A questo punto sembra scendere direttamente verso il fondo del mare, ma s’immerge brevemente e come per miracolo, la nave si raddrizza, si rialza di prua e riprende la risalita della nuova onda. Si ha la sensazione di essere sulle montagne russe, al “Lunapark” e di non fare nessun progresso in avanti. I marinai hanno subito un gran da fare per distribuire sacchetti di plastica e limoni. I passeggeri, alcuni sono rivolti verso il mare ad alleggerirsi, altri sono già scesi nelle cuccette. Presto rimaniamo sulla tolda della nave solo la mamma, io e mio fratello. Lucio resiste un po’, ma è pallido e preferisce farsi accompagnare da me nella sua cuccetta. Io ho molta paura, perché scricchiola tutto ed il ballo non cessa, ma ritorno da Iris. Presto si fa buio, s’intravede solo la schiuma delle onde, tutto il resto è nero. L’atmosfera non è piacevole, ma ci avvertono che la cena sarebbe pronta. Scesi al ristorante troviamo la sala vuota. Tutti i camerieri si mettono a nostra disposizione. C’imbandiscono la tavola fino a farci scoppiare. E’ tutto buono e curato ed io non posso, non voglio rinunciare a nulla. Ricorderò per sempre questa cena. Dimentico il mare in burrasca, anche se i piatti vagano sul tavolo e si fermano sul bordo rialzato, per contrastare le scivolate. Dopo cena, io ed Iris andiamo ancora un po’ sul ponte, aggrappandoci qua e là, per non finire in mare, poi la pancia piena concilia il sonno ed andiamo a dormire. Non saprei dire nulla sulla notte, perché messo un piede sul letto, io non ricordo di aver messo il secondo, che sono già addormentato. Mi sveglio che è giorno e la nave, questa volta, procede diritta: la tempesta è cessata. Fatta la colazione, ancora abbondante, il mare, dal ponte, ha tutt’altro aspetto, rispetto la sera precedente. Ora incomincia il vero godimento della traversata………
Giro sempre in bicicletta per le strade strette del centro di Firenze. Mi capita spesso di incrociare persone che parlano tra loro ad alta voce. A me viene istintivo di partecipare alla loro conversazione e rispondo con le mie osservazioni ad alta voce, senza fermarmi. Silvana, quando è con me, fa finta di non conoscermi e più avanti mi dice che prima o poi qualcuno m’inseguirà. Io spero che sia “poi”, perché “prima” mi diverto.
…………...………………….Il giorno del nostro previsto arrivo è emozionante. All’alba è annunciato, che stiamo per passare dallo stretto di Messina. Sto per vedere l’Italia. Mi alzo alla svelta dalla cuccetta, non ricordo di essermi lavato, ma so di essere sul ponte in prima fila a godermi lo spettacolo. Per un po’ aspetto impaziente, guardando l’orizzonte, come un vecchio lupo di mare, fino a che qualcuno mi avverte: “ se vuole vedere l’Italia, deve andare dall’altra parte della nave”. Ho sbagliato lato ! Corro dall’altra parte e mi si presenta uno spettacolo, che non dimenticherò mai: vedo per la prima volta nella mia vita, le montagne vere, non quelle di carta da pacchi, che mia mamma faceva per il Presepio. Tutta la mattina la passo a guardare la costa italiana, le sue isole, le montagne. Confesso che sono emozionato, ma anche un po’ intimorito. Sto arrivando alla meta, non è più solo un programma, è una realtà. Si realizzeranno i miei sogni? Che difficoltà io incontrerò ? A quest’età sono anche un po’ timido e penso, con chi dovrò parlare ? A chi dovrò presentarmi ? La mattina è lunga ed i pensieri sono tanti. Oggi so come sono andate le cose, i sogni che si sono avverati, quali no, com’è cambiata la mia vita, rispetto ai programmi giovanili. Tutto sommato devo dire, che il mio bilancio è positivo, se lo paragonassi ai pensieri di quel lontano giorno, sul ponte della nave……………………………….……………………………….………………
Oggi mio nipote Mattia, 58 giorni di vita, ha poppato e poi, sdraiato sul divano, si è stiracchiato, alzando al cielo le braccine……….ed ha vuotato nel pannolone, buona parte di quello che aveva ingerito. Contemporaneamente, davanti a lui, suo padre, che è mio figlio, ha fatto colazione, poi ha alzato le braccia al cielo stiracchiandosi anche lui……..e qua l’ho fermato spiegandogli, da buon padre, che lui ha un’altra età e non può fare proprio tutto quello che fa suo figlio……..
……………………………….Al porto di Napoli ci aspetta Emilia, un’amica d’infanzia di Iris. Tra loro si riconoscono a fatica, dopo tanti anni di separazione, con in mezzo una guerra e tante vicissitudini. Lei, tra l’altro, ha recentemente perso il marito, per un banale errore di un farmacista, che lo ha avvelenato, sbagliando una prescrizione medica. E’ sconcertante per me vedere questa signora parlare dei suoi guai grossi, con il sorriso sulle labbra, con un’ironia da commedia, quasi non parlasse di sé. Ci racconta della sua vita di partigiana, di quando per scappare dall’inseguimento dei tedeschi, fanno calare il sipario antifuoco del teatro San Carlo, eccetera. Io ascolto, entusiasta di tutto: della parlata napoletana, l’allegria delle strade, la dignitosa povertà dell’epoca, le uniformi dei Carabinieri, i canti in sottofondo, la comunicabilità della gente, che si chiama e si cerca. E’ tutta una poesia. Ero stato preparato dai racconti della mamma, ma la realtà supera ogni immaginazione. Passiamo a Napoli due giorni, ma sembrano solo poche ore. Purtroppo il nostro programma non prevede di più, siamo diretti a Milano, che è la nostra meta principale.
Qua prendiamo contatto con quella che sarà la mia “guardiana” e con quello che sarà, per diversi anni, il mio mondo, ma di ciò dirò altrove, più avanti. La mamma e Lucio tornano ad Alessandria e subito dopo, scoppia la guerra dei sei giorni, tra Israele e l’Egitto. Le notizie che mi giungono non sono certo belle. Da Alessandria ogni comunicazione è chiusa. Io sono da solo in Italia, a diciannove anni, senza nessun’esperienza di vita, con pochi soldi. Per fortuna mi segnalano la presenza di un Ingegnere, amico di mio padre, che con la famiglia vive a Milano. Queste persone si rivelano degli angeli custodi per me, dandomi tutta l’assistenza morale e materiale possibile. Con loro mi sento a casa mia. Sono sempre da loro, con i loro due figli della mia stessa generazione……………………………….
Oggi ho incominciato a parlare con il mio cuore. Mentre attirava l’attenzione su di sé, l’ho accarezzato, da fuori, dicendogli : “ O te, non fare il bischero “.
…………………………………….Un anno dopo il loro rientro ad Alessandria, Lucio e la mamma ritornano a Milano, per stare definitivamente con me. Mio padre ci raggiungerà dopo un altro anno, il tempo necessario ai preparativi, per il definitivo abbandono dell’Egitto (mi consta che la “Sacra Famiglia” ci abbia messo meno). Lucio è ancora piccolo e chiede alla mamma se, essendo tanto tempo che non mi vede, debba darmi del “lei” o può ancora darmi del tu.
Nel frattempo io ho un’audizione con il maestro Pietro Montani di Casa Ricordi, il quale dopo i complimenti, mi comunica la prima doccia fredda. Gli studi da me portati avanti, pur avendo passato l’ultimo esame con Francis Poulenc, non sono parificati con l’Italia. Ergo, devo sottopormi nuovamente a tutti gli esami, lasciando intercorrere un tempo prestabilito tra uno e l’altro. Insomma, io, che ho già in repertorio il Concerto per pianoforte ed orchestra di Listz, dovrei perdere circa cinque preziosi anni di parcheggio, per l’esame del quinto corso, solfeggio, ottavo anno, eccetera. Il colpo psicologico è grosso. Per farmi consolare, vado a trovare un famoso concertista del passato, con una lettera di presentazione del Professore Domenico De Polis, mio insegnante di Storia della musica. Questo ex-grande lavora all’archivio di Casa Ricordi. E’ un signore molto anziano, piccoletto, veste in maniera molto dimessa e porta le classiche maniche nere dell’archivista. In un attimo vedo il mio futuro con pessimismo. Se perdessi i cinque anni preventivati, se riuscissi a diventare un concertista famoso, come pare che questo signore fosse, la mia vita futura è di fare al massimo l’archivista in Casa Ricordi ? E tutti i miei sogni ? Dopo un breve colloquio con l’ex-concertista, scappo a casa dell’ingegnere, amico di mio padre. Il mio problema è grandissimo: cosa posso fare nella vita ? Salvo qualche consiglio, devo decidere da solo.
Qua l’Ingegnere mi spiega quali siano le possibilità di lavoro, che offrono gli studi tecnici . Mi spiega con molta convinzione, il fascino
di questo settore e la relativa brevità di giungere alla autosufficienza economica. In poche parole l’Ingegnere mi fa capire, che anche se i sogni di diventare concertista si sono dissolti, occorre programmarsi nuovamente e qualcosa di buono verrà fuori. Quindi io devo dare un grosso colpo di spugna e ricominciamo tutto da capo………….…...
Due giorni fa mi hanno praticato l’intervento della coronarografia e successiva immissione del “palloncino e stent”, come gli addetti ai lavori chiamano il tubicino inserito. Non è andato tutto come speravo, ma mi devo accontentare. Passerò dai controlli aeroportuali senza fare “bip” ?
………………………….A compimento di questi nuovi studi intrapresi, sarò un Perito Elettrotecnico, con tendenza pianistica, atto a riparare gli ombrelli, cantando e suonando, ma senza prendere la scossa……..
Per prima cosa scrivo due lettere importanti, comunicando le mie irrevocabili decisioni. La prima è diretta ai miei genitori, che mi spediscono in Italia a diventare ufficialmente e in breve tempo, un pianista e mi ritrovano a carico per altri cinque anni e per di più Perito Tecnico, di cui non sanno neanche il significato. La seconda è per me la più difficile ed impegnativa delle due lettere. Si tratta di comunicare al maestro Guarino, che il nostro lavoro è stato un fallimento. Il Maestro aveva riposto in me molta fiducia. Forse contava su me anche quale precursore di una certa strada da percorrere, per i miei compagni ad Alessandria. Non trovo le parole per scrivere questa lettera. Poi finalmente vado di getto, spiego i fatti, le sensazioni, gli incontri, le delusioni. Ne viene fuori una lunga lettera, che leggo, e rileggo, poi io decido di tenere per qualche giorno di meditazione. Alla fine la spedisco, con un ultimo attimo di esitazione, davanti alla buca delle lettere. Questa lettera, per me rappresenta il simbolo della rottura con un mondo tanto sognato.
A questa lettera non ho mai avuto alcuna risposta del maestro Guarino, né ho mai più avuti altri contatti con lui. So per certo, da persone vicine ad entrambi, che Guarino legge molte volte la mia lettera, tenendola sul suo tavolo da lavoro per parecchio tempo, ma non esprimendo mai il suo parere, né comunicando mai all’ambiente il succo della mia lettera e delle mie decisioni.
Al contrario, io seguo da lontano la sua brillante carriera di insegnante. Prima quale direttore del Conservatorio di Parma e poi come titolare della cattedra di perfezionamento pianistico, prepara nomi importanti della nostra attuale gamma di concertisti e direttori d’orchestra. Il mio rimpianto di non averlo potuto riabbracciare e parlargli, si è concluso qualche anno fa, con la notizia della sua scomparsa………………………………………………………………………...
Hanno regalato a Silvana un olio balsamico, ma lei non sa a cosa serva. Le ho detto: “ Spalmalo su tutto il corpo e guarda cosa ti passa “.
………………………………A mia madre la decisione di troncare la carriera pianistica dispiace, ma non più di tanto. Avendo molta fiducia in me, lei crede giuste e sensate le mie considerazioni. Quello che non ho mai saputo, è il pensiero di mio padre, in merito a questi importanti cambiamenti, ma questo è da mettersi nel mucchio delle mancanze di mio padre, giustificate dal suo egoismo. Ricordo le cinturate datemi da mio padre per punizione, in seguito a tre insufficienze, poi riparate ad Ottobre (come si usava dire allora) alle scuole medie, ma non ricordo di averlo mai visto parlare con i miei professori, per sapere come andassi negli studi. Così come non ricordo mai una sua sola presenza nei miei numerosi concerti. Oggi novantatreenne è molto legato a me e mi concede tutta la fiducia, nell’affidarmi la sua amministrazione, sia economica, che morale e pratica. Ma ho ancora qualche sospetto, quando antepone le sue fatture da dovergli pagare io, all’interessamento per il mio grave e pericoloso stato di salute…………dicendomi “infine”, che nello specifico significa “ non m’interessano le cose tue “…………………..
Da ieri mio padre è ancora senza una badante che lo accudisca. Ha fatto perdere la pazienza anche all’ultima che aveva, la quinta in pochi mesi, fino a farla scappare. I difetti principali di quest’ultima signora, secondo lui (93 anni): ha cinquanta anni, troppi, ed è bruttoccia, fino a farlo sfigurare quando la porta fuori con sé per fare la spesa. In realtà è perché la signora non si presta ai suoi assalti. Credo proprio di dover interpellare il medico curante di mio padre per fermare questi bollori.
……………………………Edoardo arriva in Italia, dopo un anno che Iris e Lucio mi hanno raggiunto a Milano. Lucio frequenta le scuole pubbliche e trova il tempo di perdere una falange del dito nella mano sinistra. Va a pattinare al Palazzo del ghiaccio ed in seguito ad una caduta, mette le mani in terra, che sono ghigliottinate dalle lame di un altro pattinatore inconsapevole. Nella disgrazia, l’unica consolazione, vagamente positiva, è che una sola falange sia intaccata e soprattutto, che si tratti della mano sinistra, la meno importante per un non mancino. Al ricordo mi si accappona ancora la pelle. Il pezzo di dito recuperato, ma allora non utilizzabile, il trauma psicologico del mio fratellino, mio e della mamma, il dolore fisico, la febbre successiva, il pericolo del tetano, l’infezione sopraggiunta malgrado le cure, sono tutte solo elencazioni dei problemi conseguenti all’incidente.
Nel frattempo Edoardo arriva in Italia ed è assunto a Firenze presso una società internazionale di autonoleggi. Per un anno vive lontano da noi, che siamo ancora a Milano, ma un anno basta a Edoardo, per trovarsi un’altra compagna: Gigliola. Quest’ultima sopporterà Edoardo, non senza umiliazioni anche per lei, fino agli attuali novantatre anni di mio padre, prima di “dipartire”. Non so come la mia mamma abbia accolto Gigliola lassù, ma so cosa avrebbe voluto farle quaggiù.
Edoardo è a Firenze, mentre noi siamo a Milano, ma alcuni inconfondibili segnali fanno presagire cosa sta succedendo. Questa è la ragione per cui la mamma abbandona precipitosamente Milano, con mio fratello, per la volta di Firenze. Anche io accetto, per ragioni pratiche, di lasciare l’amata scuola “Feltrinelli” di Milano, trasferendomi alla “Leonardo da Vinci” di Firenze. Per la mamma inizia un brutto periodo di lotte, alla riconquista del suo uomo. Questa riconquista non riesce e pian piano Iris si lascia andare, fino alla scoperta del male incurabile, che pone fine ai suoi giorni. La diagnosi ancora non è fatta, ma ha un grave deperimento fisico ed allora io cerco di darle gli stimoli, per farla uscire da quella che credo sia solo pigrizia. Ricordo un nostro ultimo viaggio di vacanze a Spoleto, dove per farla camminare, la ricatto benevolmente, facendo leva sui miei bambini, che la vogliono. Ricordo anche il mio rifiuto di credere al suo bisogno di tranquillanti e d’accordo con il medico curante, tento di sostituire il vero farmaco con un placebo. Poi la sentenza dà decisamente ragione ai suoi sintomi, ai giustificati comportamenti.
Ultima gioia della sua vita sono i due nipoti, i miei figli Massimiliano e Marco. Le ultime attenzioni di Iris, le sue preoccupazioni sono tutte per loro. Tralascio il periodo della sofferenza fisica, dovuta al male incurabile, i continui spostamenti dall’ospedale a casa e viceversa, le assistenze notturne e non, poiché si tratta di storia triste e nota a molta gente coinvolta oggi in simili casi.
Quando Iris è ancora in vita, tra lei e me c’è sempre un bel rapporto, di reciproca stima e d’affetto, ma non è mai idilliaco. Ci si capisce al volo, all’occorrenza ci si critica, ma il nostro rapporto non è mai castrante, in particolare lei nei miei confronti non ha l’oppressione di molte mamme. Mi dà sempre fiducia e libertà. Fino a che vive, se non è presente, io non sento la sua mancanza e percorro anche da solo la mia vita, ma quando la vedo nella sua bara, mi rendo conto che non c’è più. Perdo la mamma e capisco quanto perdo. Io e mio fratello ci abbracciamo, ancora in sua presenza e solo così ci sentiamo meno abbandonati.
Dopo questa scomparsa, tra me ed Iris incomincia un nuovo rapporto. Pur non essendo io un credente, vado a trovarla al cimitero parlandole, ovviamente non ad alta voce, per non fare brutte figure. Io la aggiorno sulle mie cose, sui problemi in corso. Così con il tempo, faccio una scoperta inspiegabile, improponibile ad un soggetto materialista quale io sono, a questo punto della vita, più tecnico/scientifico, che spirituale. Per carattere sono molto battagliero e per principio, i miei problemi io li risolvo da solo, ma se questi sono di notevole difficoltà e per me irrisolvibili con i miei mezzi, li pongo ad Iris. Qua è l’inspiegabile: Iris me li risolve sempre tutti e sottolineo “sempre e tutti”. Volutamente non entro nei dettagli, per la “privacy” di Iris e mia, ma dirò solo che situazioni importanti, ferme da molti mesi perché irrisolvibili, si sono smosse solo dopo un breve colloquio tra noi. Sono stato anche tentato di chiederle i numeri da giocare al lotto, ma io non lo faccio mai, perché mi sembrerebbe di ridicolizzare il nostro rapporto, che invece è molto serio. Ho cercato spesso la razionalità degli accadimenti, ad esempio imputando ad un mio rafforzamento psicologico, dopo lo pseudo-colloquio, che mi fa ottenere migliori risultati dalle mie prestazioni e tante altre cose simili. Ma le soluzioni che Iris mi dà sono decisamente indipendenti dalla mia presenza o dalle mie azioni, o dalle mie decisioni. Le somme non quadrano, non c’è alcuna logica su quanto succede, però gli interrogativi ormai non me li pongo più: è così e basta.
Mio padre.
Edoardo nasce nel 1908 ad Alessandria d’Egitto, da genitori italiani e conserva questa nazionalità, in virtù delle leggi che lo consentono.
E’ il primo di tre fratelli ed una sorella. Quest’ultima è l’unica femmina della famiglia, per la durata di svariate generazioni passate e future. Che la zia sia un corno della nonna, buonanima ?
Da ragazzo, Edoardo pratica diverse discipline sportive, con cura e meticolosità maniacali. Si forma una mentalità da atleta, che lo porta alla competizione nella vita. Quasi sicuramente questa mentalità lo fa stare in continua forma fisica, portandolo alle soglie dei novantaquattro anni in ottimo stato di conservazione e funzionalità. E’ fissato con il voler fare braccio di ferro con tutti. Ovviamente vince sempre lui. Anche in tarda età è imbattibile, ha un braccio veramente di ferro, anche se con il tempo, io scopro che lui, invecchiando, posiziona il braccio ed il polso un po’ all’imbrogliona, in modo da partire avvantaggiato. Malizie di uno smaliziato.
Entra a lavorare in giovane età, alla “Compagnia delle Acque”, come apprendista chimico di laboratorio. Ben presto Edoardo fa carriera ed assume l’incarico di chimico nello stesso laboratorio. E’ molto giovane, è brillante ed allegro di carattere, è il trascinatore del gruppo formato dai suoi cugini coetanei. Pare che ne facciano di cotte e di crude, al punto dal non volerle mai confessare. Tutto procede così fino a che si innamora seriamente, almeno a suo dire, di Iris. Ma non si tratta della Iris che poi sposerà. Evidentemente il nome “Iris” è legato al suo destino,anche se per natura i fiori non lo appassionano.
Questo primo fiore, la prima Iris, è una vicina di casa. Si conoscono, si fidanzano, tutto è pronto per le nozze. Alla vigilia di queste nozze tutto è mandato all’aria, per un grave diverbio tra i due padri, i “con suoceri”. La lite fa troncare ogni rapporto e di conseguenza rompe il fidanzamento. I fidanzati sono separati di forza e non hanno il coraggio e la fermezza di Romeo e Giulietta e la relazione iniziata seriamente, rimane solo un dolce e romantico episodio non consumato. Con il tempo, provo a scoprire il vero sentimento di Edoardo per questa prima Iris. Devo dire che lui ne parla dando la sensazione di una storia non sua, ma della quale ha solo sentito parlare, dai veri interessati. Ad ogni modo, di questa storia Edoardo ne parla per la prima volta, solo nei tentativi di discolparsi, per il suo abbandono del tetto coniugale. Come se fosse una colpa della “seconda Iris”, l’essersi sposati e non aver lui coronato il suo sogno d’amore con la “prima Iris”. I soliti contorcimenti psicologici da manuale. Certo è che se avesse raccontato le sue delusioni amorose trenta anni prima, forse sarebbe stato più credibile ed anche un po’ romantico.
Parlando di Iris, la mamma, ho già detto del loro incontro e del loro matrimonio. Ho anche detto dei loro primi anni insieme e delle due nascite di Carletto e mia, dello scoppio della guerra, dell’arresto di Edoardo e delle speranze di libertà……………………………………….…
Dissertazioni. Non faccio nomi per il mio buon gusto, ma oggi, durante una disquisizione, un signore ha detto:……..perché le parole multietniche, tipo “imbecille”, che ha il prefisso “imbe” dal congolese ed il suffisso “cille” dal latino “cillus, cillis”………….
A questo punto io sono intervenuto dicendo: “comunque abbia stato, me lo faccio da sé”.
……………………………Alla dichiarazione di guerra, Edoardo, gli altri due fratelli maschi ed il padre Carlo, vanno………....in vacanza e sono trasferiti nel campo di prigionia n. 12 a Geneifa – El Fayed. Questa è un’amena località desertica, nella zona del canale di Suez, che viene organizzata per la circostanza. Di fronte c’è un monte arido, dalla forma caratteristica, che ricorda un ciuffo di capelli alla Elvis di profilo. Il monte, dai “villeggianti” denominato “la montagna”, è immortalato in tutti i loro disegni, i quadri, le sculture su legno. Sarà poca la fantasia, ma intorno c’è solo quello. Un doppio recinto di filo spinato crea un corridoio impercorribile, in tutti i singoli campi. Ogni venti metri dei recinti, c’è una piattaforma rialzata, con una guardia armata, reclutata tra le popolazioni africane di colore. Queste guardie dall’atteggiamento poco rassicurante, sono chiamate “miamiam” e non so il perché. So però, che hanno l’ordine di sparare, mirando direttamente sulla toppa quadrata nera, che i prigionieri portano cucita sulla schiena. So anche che questo compito è assolto con grande precisione e diligenza, tanto che non sono pochi i prigionieri freddati per futili motivi. Uno di questi è il figlio ventunenne di una nostra vicina di casa. Il ragazzo è colpito a morte, per essersi inchinato a raccogliere il pennello da barba, caduto in terra nei pressi del reticolato. Il cadavere è lasciato in terra, al sole, nella posizione di caduta, per ventiquattro ore, senza che i suoi compagni possano toccarlo, pena altre fucilate con nuovo tiro al bersaglio.
Gli anni di prigionia per Edoardo “and Co.” sono tanti e lunghi, quindi ognuno offre quello che sa fare. Il nonno Carlo ha poco tempo a disposizione, perciò riesce solo ad organizzare l’inizio della prigionia, dando l’esempio della filosofia di vita da adottare. Il destino gli toglie il suo tempo, come ho già detto prima, parlando di lui.
Con il consenso dello stato maggiore, si crea un’orchestra sinfonica, formata da ottimi elementi professionisti. Si allestiscono numerosi concerti, ai quali partecipa anche Edoardo, come cantante tenore. Il plauso degli inglesi e la voglia di fare qualcosa, stimola quest’iniziativa. Gli stessi inglesi assistono ai concerti e visto il carattere docile dei prigionieri, fanno qualche modesta concessione. Edoardo si fa portare dell’uva passita, che fa fermentare, vi aggiunge del “carcadè” per ottenere la colorazione voluta, alza la gradazione alcolica con l’aggiunta di zucchero…….ed il vino passito è pronto. Gli zii allestiscono un banchino, sul quale si espongono le bottiglie, avvolte negli stracci bagnati, per ottenere, grazie al vento del pomeriggio, una freschezza bevibile, alla maniera dei beduini. Il vino va a ruba anche tra gli inglesi e l’uva passita arriva più speditamente.
Ma Edoardo non si ferma qua. Incomincia a raccogliere gli scorpioni reali del deserto e altri insetti mostruosi; se li fa portare, oltre che dal suo, anche dagli altri campi e crea una collezione d’animali imbalsamati. La collezione si estende sempre più, perché sono realizzate delle trappole per la cattura degli uccelli, che poi Edoardo ed uno dei fratelli, imbalsamano. Si allestisce all’uopo una tenda, per creare il museo del campo, comprendente tutta la fauna locale. Così, dagli uccelli si passa ai serpenti, ai piccoli mammiferi, ai pesci no, perché malgrado la buona volontà, non ne trovano………….…….
Oggi, in autobus, ho involontariamente toccato con l’ombrello, il sedere ad una ragazza. La ragazza si è indignata. Io sono arrossito. L’ombrello ha goduto.
……………...La sera, quando non c’è il concerto sinfonico, nel campo numero 12 si legge, ad alta voce, l’unico giornale disponibile, ed uno dei prigionieri, dopo una sola lettura, lo ripete parola per parola. E’ una persona analfabeta, ma ha una memoria oltre ogni norma. A lui basta sentire il discorso una sola volta, per ricordarlo tutto a memoria.
Edoardo escogita un altro passatempo. Approfittando della presenza di un professore, perfeziona la lingua araba classica, che è molto diversa da quella parlata.
Approfondisce anche la sua chimica, su testi inglesi e questo, come io dirò più avanti, gli darà poi la possibilità di lavorare, quando sarà libero dalla prigionia.
Però l’internamento non è sempre un passatempo gradevole. Purtroppo gli inglesi, molto spesso, vogliono dimostrare che sono i più forti. In particolare, quando le notizie dal fronte bellico, sono negative per loro, si vendicano sui prigionieri, con ispezioni notturne, calci e botte, adunate per intere mattinate, sotto il sole a 40 gradi, punizioni esemplari per malefatte inesistenti. Il vitto è unico e ripetitivo per tutti gli anni della prigionia: riso e lenticchie, con contorno di farfalline e vermetti, che attestano l’acquisto da molto lontano………………………………………………………..……………………
Osservazioni – Oggi sono andato a visitare la ex- “manifattura dei tabacchi” di Firenze.
 All’ingresso, sotto ai portici, ci sono due cartelli storici a lapide, con dimensioni, ciascuno, di cm 60x120 e su sta scritto: E’ severamente vietato introdurre cicli e motocicli sotto ai portici.
 Davanti al cartello di destra c’era parcheggiata una moto; appoggiata sotto al cartello di sinistra c’era una bici.
Nella portineria, in terra, c’era una tipica cassetta militare, con dimensioni cm 25x90x60. Una scritta, su un foglio bianco grande quanto tutta la superficie della scatola, diceva “Contiene: istruzioni sul contenuto della scatola”.
…………………………………Ho già detto che Edoardo si fa convincere dagli inglesi, a restare un altro anno, dopo la sua liberazione, presso i campi di Geneifa-El Fayed, con la qualifica d’interprete. Io e la mia mamma, nel frattempo, viviamo ad Ismailia.
Passato quest’anno di semilibertà per Edoardo e di ulteriore distacco per noi tutti, ritorniamo ad Alessandria, per cercare di riprendere la vita normale, dopo la guerra trascorsa. Purtroppo la normalità è ancora lontana. C’è molta miseria, poche possibilità di lavoro per gli italiani, che hanno perso la guerra e si trovano in un paese dominato dai vincitori: gli inglesi. Per Edoardo riprendere il vecchio impiego alla “Compagnia delle acque” è impensabile. Il suo nome è ancora iscritto nel “libro nero” della dirigenza inglese, per avere suo padre, il nonno Carlo, fondato e diretto il sindacato, nel periodo pre-bellico.
Finalmente riesce a trovare un impiego. Va a dirigere un caseificio, posto nella campagna, appena fuori città, presso la fattoria “El Eid” ossia “l’anniversario / la festa”. Io ho sette anni e ricordo i numerosissimi Bufali liberi al pascolo, nella campagna intorno al caseificio. Ricordo le contadine che raccolgono gli escrementi secchi dei Bufali, per accendere il fuoco. Non posso dimenticare le grosse forme di formaggio in lavorazione ed il sapore del latte di Bufala, che io prendo a bicchierate dalle enormi vasche. Il latte di Bufala è molto più grasso del latte prodotto in Italia, con un sapore decisamente più pronunciato. La panna che se ne ricava dalla scrematura del latte bollito, è alta due centimetri e con lo zucchero sopra, costituisce un pregiatissimo dolce naturale, d’uso comune: la “eshta”. Nelle pasticcerie questa panna è servita sulle fette di pane ammollato nel “giulebbe”, zucchero e miele diluito in pochissima acqua. Effettivamente è un po’ dolce, ma io sono in grado di garantire che è squisito.
In questo caseificio Edoardo si fa le ossa come formaggiaio, ma solo le “ossa”, perché di soldi ne vede pochini. E’ così che tenta la carta dell’artigiano produttore in proprio, di formaggi. Apre un negozietto in città, nel quartiere di Ibraihmia e nel retrobottega fa il formaggio, che vende. Purtroppo Edoardo dimostra di avere molte iniziative e di essere un grande lavoratore, ma di non avere il bernoccolo dell’affarista. I suoi formaggi vanno a ruba, sono di gusto pregevole, sono ben presentati, tutti gli amici ed i parenti li gradiscono, ma gli incassi non sono sufficienti a fare vivere una famiglia. Un amico di Edoardo, l’Ingegnere del quale ho già parlato nel raccontare le mie decisioni sugli studi, prese a Milano, interviene positivamente. L’Ingegnere conosce le capacità di Edoardo ed ha molta stima di lui. Viene a sapere che in un saponificio hanno bisogno di un tecnico saponiere. Mio padre è terrorizzato, perché non sa nulla sui saponi, ma proprio nulla. L’Ingegnere gli dice, che ormai ha speso una parola a suo favore e che non può tirarsi indietro. Edoardo si presenta nella saponeria, sapendo solo da dove dover entrare in ditta. Fa finta di sapere qualcosa di più, atteggiandosi a tipico “saponiere” e qua io non potrei dire come sia, non avendone mai visto uno. Si appoggia all’operaio più anziano, incominciando a dargli mano libera, per fare insieme degli esperimenti su piccola scala, prima di sciupare grosse produzioni. Poco per volta si allarga, restando su produzioni non complesse. Finalmente sperimenta nuovi prodotti di sua invenzione. E’ un successo. La produzione e la richiesta del nuovo prodotto hanno un’impennata tale, che ormai Edoardo è diventato un vero saponiere………ma si monta il capo. Lo stipendio non è molto alto per consentire una vita agiata. Edoardo pensa di potersi mettere in proprio, producendo i suoi nuovi saponi. Apre così una sua saponeria, in società con il fratello…………………
Il mio amico Gino pensa: quando la sua compagna parla con la mia, perché si possa dire qualcosa anche noi, bisogna aspettare che prendano fiato per respirare.
………………………...Anche io vado a lavorare nella saponeria, nei pomeriggi, dopo la scuola. Stampo i blocchi di sapone fresco, con il maglio. Su un banco da lavoro di ferro, è avvitata una forma in rame, simile ad una scatola. Io metto un pezzo di sapone grezzo, ma fresco, dentro a questa forma. Schiaccio un pedale, che fa scattare il maglio pesante. Questo maglio, grazie ad uno stampo, con tutte le scritte al negativo e la forma del futuro sapone, si abbatte sul pezzo di pasta da me introdotto e ne esce il prodotto finito. Io all’inizio sono molto fiero della mia opera, ma a lungo andare capisco che è un bel ……..rompimento. Oggi so anche che si tratta di sfruttamento minorile e che avrei i sindacati e gli assistenti sociali dalla mia parte, se volessi fare una vertenza contro mio padre ! A parte gli scherzi, in quel periodo il lavoro minorile è un’abitudine.
A tale proposito e per amore della verità, racconto un episodio, che non fa onore alla mia famiglia. E’ un episodio che, a me bambino privilegiato, fà molto pensare, sia all’epoca, che in seguito nella vita.
Mio zio, il fratello di Edoardo, lavora presso un’officina. In questa officina, come si usava allora, ci sono dei ragazzini della mia età, assunti come manovali, per i lavori più leggeri e come apprendisti. Avendo mio padre bisogno di mano d’opera, non qualificata e saltuaria, lo zio porta nella saponeria uno di questi ragazzini. Io subito faccio amicizia con questo bambino, Ibrahim.
Ibrahim lavora sodo, ma anche se il tempo non lo concede, fra noi c’è un’intesa speciale. Ad un certo punto è sospettata la metodica sparizione giornaliera di qualche pezzo di sapone. Lo zio tende una trappola ed Ibrahim è scoperto sul fatto. Lo zio decide per una esemplare lezione e solo il giorno dopo scopro di cosa si tratti. Ibrahim è legato con le mani ad una morsa ed un operaio adulto, suo collega d’officina, gli dà trenta frustate sulla schiena………….
Da questo momento ho sempre odiato mio zio, che tra l’altro non fa niente per rendersi simpatico. Ogni volta che lo vedo, mi viene voglia di legare lui ad una morsa e frustarlo con le mie mani, ma non sono mai riuscito a farlo. A mio modo, vendico Ibrahim, solo molti anni dopo. Alla morte di mio zio, ricordando di lui solo quell’episodio, mi rifiuto di andare al suo funerale.
La saponeria nel frattempo non va a gonfie vele. Il mercato è difficile e né Edoardo, né suo fratello, sanno commerciare.
E’ così che nasce l’idea di emigrare in Australia, per cercare una vita migliore. Ma di ciò mi sono già dilungato, parlando di Iris…………..…
Durante una recente vacanza in Grecia, nella spiaggia dei Ginepri, nell’isola di Lipsi, Silvana fa amicizia con una signora greca. Silvana parla solo l’italiano e la signora solo il greco. Da come chiacchierano, viste da lontano, sembra che s’intendano. Incuriosito mi avvicino e la conversazione è: “Io sono di Firenze” – “Mia figlia ha sette anni” – “Il mare è sempre così calmo qua ?” – “Mio marito ha fatto gli orecchioni che era piccolissimo”. Ma la conversazione deve essere molto divertente, perché ridono tanto…..
………………………………Ho anche detto che nell’attesa di partire per l’Australia, Edoardo è richiamato dalla Compagnia delle acque. Il suo vecchio dirigente, lo stima molto ed aspetta l’occasione per farlo riassumere nel ruolo occupato prima della guerra. L’occasione si propone quando un anziano chimico inglese, si ritira dal lavoro per sopraggiunti limiti d’età. Questa convocazione è da cardiopalma, poiché giunge in un momento di grande sconforto e mentre tutti gli italiani ad Alessandria non sanno come sbarcare il lunario. Poi le proposte sono da sogno: riassunzione nel vecchio ruolo e nello stipendio, dislocazione nelle immediate vicinanze della città, con la disposizione gratuita di una villa, all’interno del recinto della “Compagnia”. Immagino l’espressione di Edoardo a queste offerte e non penso che abbia un attimo di esitazione nell’accettare. Ricordo però che io e la mamma siamo ad attendere Edoardo, seduti nel carrozzino di una vecchia motocicletta, una “Zundap”, che in quel momento è il nostro mezzo di locomozione. Ricordo anche che Edoardo è bianco in volto e che la mamma si spaventa, perché mio padre non riesce ad esprimersi. Si festeggia subito l’avvenimento andando a comprare le paste e la birra da portare a casa……………...
Vita facile per il cardiologo: se ti salva è merito suo – se non ti salva, non puoi nemmeno protestare.
…………………………………Si predispone subito il trasloco nella villa, lasciando l’appartamento in affitto. L’avevamo preso a Sidi Gaber, dopo la vendita della casa del nonno Carlo.
La villa è dentro ad un recinto di venti ettari. Si accede attraverso un cancello storico, con gli inchini dei guardiani al nostro passaggio. Percorrendo un viale e passando davanti alla villa dell’Ingegnere capo della “Compagnia”, si arriva a quella che è destinata a noi. Tutt’intorno c’è un parco a prato verde e contornato da rose e fiori di stagione. Il tutto è curato dal giardiniere della “Compagnia”, che passa le giornate nel nostro parco. La villa è a due piani ed in stile coloniale. Al piano superiore ci sono le stanze da letto, più una per il soggiorno ed un enorme bagno arredato. Al piano terra, oltre ad un doppio salone e sala da pranzo con enormi finestre, dalle quali si domina il parco verde, ci sono la cucina, un tinello ed un secondo bagno. Nella sala, è subito collocato il mio pianoforte, con una meravigliosa acustica. Tutta la casa è realizzata con pavimenti, scale, arredi, in legno. All’esterno della casa, vari sgabuzzini ed un garage, aumentano gli agi. A dieci metri dalla villa, nascosto da una siepe d’alloro e da un vialetto, passa il “nostro” Nilo privato. Si tratta di un canale, derivato per deviazione dal Nilo, che immettendosi nel terreno privato della “Compagnia”, percorre un chilometro, per far decantare le acque dal suo limo, prima di farle passare per le varie purificazioni, atte a rendere potabile l’acqua. Noi posizioniamo numerosi picchetti al bordo del canale, fissandovi le lenze, che con le esche, lanciamo nell’acqua. Quotidianamente catturiamo anguille, carpe e altro, fino alla noia……………………………………………………..
Il “mio” cardiologo si alza abitualmente alle 5 del mattino, per studiare. Alle 8 era già in sala operatoria per il mio intervento ed altri quattro pazienti attendevano il loro turno. Alle 12 aveva un’urgenza grave. Alle 16 era in reparto da me, per un controllo. Alle 18 era ancora da me, per togliermi le attrezzature post-operatorie e darmi un punto alla ferita. Alle 20 è passato a salutarmi, prima di lasciare l’ospedale. Gli ho detto: “Dottore stia attento, perché con la vita che fa, rischio di perdere il mio cardiologo di fiducia”.
……………………………..Accanto al parco c’è un terreno sul quale
Edoardo si organizza e nel tempo libero alleva polli di razza, conigli ed api. In particolare per i polli, parte dalle uova, che mette in una incubatrice ed ottiene i pulcini. I galli e le galline sono di varie razze: rosso mattone giganti, le Rode Island, oppure le giganti bianche ovaiole, o ancora le grigie macchiettate, o le bionde giganti. Queste bestie sono bellissime a vedersi, meno piacevole ad avvicinarsi, perché la loro mole e l’aggressività dei galli, non invita alle carezze.
Ad ogni festa comandata e la domenica, vengono a trovarci amici e parenti, mai in numero inferiore a trenta. Si può immaginare, che visto il ripetersi naturale di queste riunioni, la cosa sia molto, molto divertente. Meno divertente è per i polli e per i conigli, che all’arrivo degli ospiti, si chiedono a chi di loro toccherà oggi di finire allo spiedo. Ogni ospite porta qualcosa da mangiare e così i pranzi luculliani sono garantiti. Si prepara la carne alla brace, si gioca, si ride e si scherza. Lo spazio non manca di certo, le comodità men che meno. La giornata, a richiesta generale, finisce sempre con un concerto. Io suono qualche brano al pianoforte, poi accompagno Iris che canta e qualche volta canta in duetto anche Edoardo.
Sui viali interni al recinto, imparo a guidare l’auto, prendendo senza consenso, la Topolino di Edoardo. Un giorno lo stupisco portandogli l’auto davanti al suo laboratorio d’analisi, con la mamma seduta dentro. La sorpresa è grande, ma dopo avermi chiesto chi mi ha insegnato a guidare, alla mia risposta “nessuno, ho guardato te”, va su tutte le furie. Ovviamente m’impone il divieto di toccare l’auto; divieto da me ripetutamente ignorato.
Di quel periodo ricordo anche un fatto particolare. Una sera, il silenzio che già regna, è rotto dalle grida dei guardiani notturni e da sordi colpi di bastone. Allarmati, noi tutti usciamo da casa per capire cosa stia capitando. I guardiani ci mostrano un grosso velenosissimo serpente Cobra, che hanno appena ucciso a colpi di bastone. E’ un fatto eccezionale, perché già difficilmente nelle campagne circostanti si trovano questi serpenti, poi averlo trovato all’interno delle alte mura del recinto, è ancora più straordinario. Il
serpente va presto a fare parte della collezione di animali imbalsamati di Edoardo e suo fratello.
 Nel frattempo questa collezione si arricchisce sempre più, tanto da attirare l’attenzione delle persone “che contano” nella città. Tra gli altri viene la Contessa di Bergolo, figlia dell’ex-re d’Italia Vittorio Emanuele III, essendo l’intera famiglia esiliata e residente ad Alessandria. Viene il console d’Italia con le massime autorità alessandrine. Questa collezione, sarà poi donata alla città, diventando il museo di storia naturale di Alessandria, ospitato in una apposita palazzina, all’interno del giardino zoologico.
A proposito di giardino zoologico. Il suo direttore, amico di Edoardo, in seguito ad un terremoto, a cui tutti noi assistiamo atterriti, ci racconta, che parecchio tempo prima della scossa tellurica, tutti gli animali ed in particolare gli elefanti, hanno dato segni di grande irrequietezza, presagendo il terremoto………………………………………
Possiedo un’auto vecchia e polverosa. Oggi ho trovato sul suo parabrezza una pubblicità che diceva: “ su appuntamento svuotiamo garages, soffitte, cantine. I nostri addetti ritirano tutto ciò che a lei non serve.” Ho pensato ad un’allusione.
…………………………….La villa, come ho detto, è un po’ fuori città, ma a venti metri dal cancello principale, c’è il capolinea dell’autobus numero 31. Questo bus fa un tratto di strada di campagna, lungo il Nilo, per immettersi subito nella periferia cittadina e poi via, fino al centro. E’ un percorso di circa trenta minuti da un capolinea all’altro.
E’ una linea comoda e poco affollata, ma ad Iris non basta. Malgrado tutti i lussi, tutte le comodità, che comportano il vivere in questa casa, Iris si sente sola. E’ isolata da sua sorella, dalle amiche, dalle cognate. Per tutta la settimana mio padre lavora al laboratorio di analisi, o in città per l’imbalsamazione degli animali da mettere nel suo museo. Lucio ed Io siamo a scuola ed Iris è da sola, in una bella “reggia” dorata, ma non fa per lei. Nei giorni di festa vengono gli ospiti. Per lei che deve fare gli onori di casa, non è una festa, ma un lavoro in più. Per Edoardo, me e mio fratello, è impensabile rinunciare a questo paradiso, ma non per Iris, l’irrequieta. Incomincia una lunga e lenta sua programmazione di smontaggio psicologico, con attacchi ben mirati. L’occasione le si offre su un piatto d’argento, in un momento in cui il nemico, Edoardo, io e mio fratello, si sta assopendo. La casa di proprietà del babbo di Iris, si libera dagli inquilini ed è disponibile. Si potrebbe andare ad abitare noi al piano terra e la sorella di Iris al primo piano.
La casa è molto più piccola della villa nella quale abitiamo, ma ha anche un giardinetto ed offre la possibilità di costruire un box per la “Topolino”, ma in modo particolare, al piano superiore viene ad abitare la sorella di Iris e di fronte abitano gli altri zii, con mio cugino Alfeo. Poi siamo quasi al centro d’Alessandria. Il gioco è fatto, cosa aspettiamo ? Ormai, la “villa” è guardata negativamente, sotto tutti i punti di vista. Il lavaggio del cervello ha funzionato perfettamente. Come abbiamo fatto a vivere per tanto tempo in un “postaccio” così?
Ci trasferiamo tutti, nella nuova casa, nel quartiere di Sidi Gaber. Al piano superiore abita mia cugina Ida. Con lei si riallaccia e si rinsalda la nostra vecchia amicizia fraterna. E’ una bellissima ragazza e le sue amiche, anche se non belle come lei, sono molto carine. E’ un pozzo di possibilità, dal quale attingere. Io che ho l’innamoramento facile……….ma di ciò preferisco dilungarmi più avanti ed a parte.
Edoardo, con suo fratello, allestisce un museo nella via più bella di Alessandria. In origine è un appartamento sopra alla più famosa pasticceria della città, Délices. Allestito il museo, per attirare l’attenzione del pubblico, mettono un avvoltoio imbalsamato ad ali aperte, nell’atteggiamento del volo, appeso su un’asta, al di fuori della finestra al primo piano. Tra le zampe, l’avvoltoio regge un cartello di legno, con su scritto il nome del museo. Qua a Firenze le autorità preposte alle concessioni per le insegne, non avrebbero mai concesso il permesso a quest’oscenità, ma là, in quel periodo, tutto è possibile. Questa pubblicità attira l’attenzione anche dei cacciatori locali e siccome la fauna in Egitto abbonda, Edoardo ed il fratello si creano una notevole clientela, che trattano come secondo lavoro. Ovviamente si tenta di coinvolgere anche me, ma io ho altre cose per la testa e poi sono ormai entrato al Conservatorio musicale e francamente mi vergogno, che quel museo e quella attività, siano di mio padre. Non ne parlo a nessuno, anzi quando mi capita di passare da sotto “all’avvoltoio / insegna” con le compagne, o i compagni, faccio battute ironiche a carico di quel cattivo gusto. Tutto temendo che prima o poi, si venga a conoscenza dei fatti reali…..……………………………………………………………………………..
Oggi il mio nipotino Mattia, tre mesi, ha incominciato a toccarsi le manine e non per caso. Fino ad oggi dimenava le braccia aperte ed indipendenti l’una dall’altra. Che stia incominciando ad avere il senso del tatto ? O sono idiozie di nonno ?
  ………………………………La vita per Edoardo va avanti così, tra il lavoro alla Compagnia delle acque e l’imbalsamazione degli animali. Segue me nel ciclismo, programmandomi gli allenamenti, il vitto pre-gara e per le gare, ma ignorando o quasi, che io sono uno studente del Conservatorio musicale. Nella sua fissazione per gli sport, vedendo i miei ottimi risultati di ciclista dilettante, forse sogna per me la carriera di professionista. Mi compra tutti i giornali e le riviste, che vengono dall’Italia, dove si parla abbondantemente dei professionisti dell’epoca: Coppi, Bartali, Magni, Bobet, Geminiani, Kubler, Koblet, Anquetil, eccetera. Diventano i miei idoli.
Più tardi, nei dintorni di Milano, in allenamento, io incontro Fiorenzo Magni ed Albani, rimango senza parole ed a bocca aperta. E’ Magni, che, con bonarietà, mi risveglia dal sogno, chiedendomi come mai porto il tricolore sulla maglia azzurra, simboli del campione d’Italia. Spiego la mia storia di campione d’Egitto e che la mia maglia è ancora quella della mia squadra: la P.I.A. ( Palestra Italiana Alessandria ). Magni m’invita a passare la giornata con il suo gruppo, ma spiego, che il mio programma d’allenamento prevede la scalata del passo del Ghisallo e poi, passando da Como, devo rientrare a Milano. Saluto la compagnia e ci dividiamo, ma dopo qualche chilometro mi pento, per non aver accettato l’invito di Magni, ma quest’incontro rimarrà incancellabile per me.
Tornando a Edoardo, si può dire, che da questo momento inizia un periodo di serenità e di benessere. Così, senza traumi si arriva alla Rivoluzione di Naguib, alla Contro-Rivoluzione di Nasser, alla necessità di programmare il rimpatrio di tutta la famiglia, di trasferirci in Italia……………………………………………………………………………
Oggi, è salita una ragazza sull’autobus, parlando al telefonino e si è messa accanto a me. “….no Carlo………. ma cosa dici Carlo…….. Carlo non è vero………Carlo non lo credo……..” Mi è venuto istintivo di chiederle,: “E’ Carlo ? Me lo saluta ? “
…………………………Parlando di mia madre, Iris, ho già detto del nostro arrivo in Italia. In parallelo anche Edoardo vive quanto già descritto. Arriva a Firenze, viene assunto a dirigere la Filiale di una importante società internazionale di autonoleggi, conosce Gigliola, che inizialmente è la sua segretaria. Dopo tanti anni, oggi, forse posso analizzare e spiegarmi come ed il perché di quest’incontro, che modificherà completamente la vita di Edoardo, di mia madre, di mio fratello e mia. Gigliola non è quella che si può definire una bella donna. Ciò meraviglia e sconvolge l’analisi su Edoardo, che abitualmente, prima di Gigliola, subisce solo il fascino delle belle donne. Forse c’è una spiegazione. Edoardo è appena arrivato in Italia, con il mito per la patria, dell’italiano all’estero, che vede tutto bello. In Egitto è legato a tradizionali tradimenti e credo di poterlo dare per certo, con le domestiche del “parentado”. Le donne e gli uomini sposati, non hanno la possibilità di tradimento, né sarebbe concepibile. Conosce Gigliola, che per carattere è una “comodona”. Lei pur di poter arrivare in ritardo in ufficio, o farsi accompagnare in macchina a destra e a manca, o farsi pagare una cena, si farebbe anche corteggiare. Poi Edoardo, “giocando sporco”, come ho appreso molti anni dopo dalla stessa Gigliola, dice, che Iris è un’arpia e che lo ha abbandonato, preferendo di stare a Milano, beh……….s’instaurano delle abitudini, che possono sconvolgere. La mamma ha il torto d’iniziare subito la lotta a viso aperto, contro Gigliola, mettendo Edoardo quasi in uno stato di fatto irreversibile: il marito traditore, l’amante svergognata, la moglie tradita. Oltre a ciò, Iris sopravaluta Gigliola. Se Iris, accantonando l’orgoglio di moglie ferita, pazientasse e soprattutto considerasse Gigliola, alla stregua delle “servotte”, che in Egitto davano piacere ad Edoardo e niente più, sicuramente tutto rientrerebbe e la famiglia non si distruggerebbe. Con il passare degli anni, Edoardo rivolge le sue attenzioni verso altre donne, ma Gigliola, con più freddezza di Iris, sa ottenere altri risultati, con ricatti e sotterfugi. Sta di fatto, che pur passando attraverso varie crisi di coppia, anche importanti e pur riconoscendo lo stesso Edoardo, di non aver mai amato Gigliola, quest’ultima muore a più di ottanta anni, ancora come sua compagna.
Subito dopo la morte di Gigliola, dato che mio fratello abita a Barcellona e che Edoardo ha novantatre anni, io mi prendo cura di mio padre e qua iniziano le mie pene.
Gli eredi di Gigliola vorrebbero buttare fuori di casa Edoardo, per impossessarsi dell’appartamento ereditato, che pur essendo intestato alla defunta, è stato interamente pagato da Edoardo. Inoltre Gigliola, per buona parte del periodo di convivenza con Edoardo, è stata disoccupata ed a carico di Edoardo, che oggi si vede sfrattato dagli eredi. Scambio di raccomandate, intromissione di avvocati, telefonate minatorie, diffide a contattare mio padre e tante altre peripezie, derivanti da una situazione creata dalla mancanza di uno scritto legale di Gigliola, a chiarimento della situazione. E’ forse una vendetta della defunta premeditata contro Edoardo? …………………………………………………………………….……
  Oggi in autobus, con il sistema della mano morta, ho palpato la mia compagna Silvana, per metterla in imbarazzo. Lei è arrossita e mi ha sussurrato di non fare lo stupido, che la gente vedeva tutto. Allora le ho chiesto se riesco bene come maniaco sessuale, perché eventualmente potrei fare l’abbonamento all’ATAF .
……………………………….Alle liti con gli eredi di Gigliola, che io devo necessariamente seguire in prima persona, per conto di Edoardo, si aggiunge il suo comportamento, a dir poco, creativo ! Edoardo ricorre in continuazione a me per essere consigliato, ma poi fa quello che gli pare. Chiede il mio parere su come investire il suo capitale, io m’interesso presso le banche, presso le Poste, eccetera. Torno a riferire, preparo appuntamenti e lui in fondo, mi dice che ha già fissato di fare in altra maniera. Suggerisco di non aprire la posta della defunta e lui la apre. Dico di lasciare tranquille le donne che via via si susseguono ad accudirlo e………… Potrei andare avanti per molti capitoli su questi argomenti, ma senza dilungarmi, dico solo che, purtroppo, in tutto il suo procurarmi i problemi, è sopraggiunto il mio infarto. Il medico è stato chiaro: devo cambiare metodo di vita, compresa l’eliminazione dei problemi quotidiani. Si può applicare questa regola ?
Scrivo una lettera di tre pagine a mio padre, riepilogando i fatti ed i suoi comportamenti negativi verso me ed il mio stato di salute, dopo l’infarto. Spiego che ho solo l’interesse a tutelarlo, data la sua età. Gli faccio i conti in tasca sul come sta spendendo tutti i suoi soldi malamente e senza giustificazioni, al punto che potrebbe trovarsi sul lastrico ben presto. Spiego che………………e la mia lettera va avanti.
Questa è la lettera che scrivo a mio padre. E la sua risposta ? Edoardo mi telefona chiedendo scusa e pregandomi, per l’ennesima volta di dimenticare e mi dice il solito “infine…”, che mi manda in bestia. Ma vi chiederete:“almeno il suo comportamento è cambiato ?” Assolutamente no. Continua imperturbabile per la sua strada, con altre grane per me. Ma io ho cambiato: lo sento quotidianamente, ma quando inizia un discorso suo personale, o sulla donna che sta da lui, o sui problemi che si crea da solo, io taglio corto, lo saluto e chiudo il telefono. Sono molto amareggiato da tutto ciò, perché mi rendo conto che lo sto isolando da me e dalla famiglia, ma purtroppo voglio vivere anch’ io ed a questo mio comportamento sono costretto da lui stesso.……………………………………………………………………..
Oggi, per la strada, un signore mi veniva incontro, con due grosse torte confezionate, una per mano. Gli ho chiesto : “dov’è che abbiamo il rinfresco?”
Mio fratello.
In più occasioni, prima di qua, ho già parlato di Lucio. Avrei tante cose da dire sul suo conto, ma sono cose personali tra noi ed io voglio lasciarle tali, quindi dirò poco.
Lucio è il frutto della ricongiunzione tra i nostri genitori, dopo aver passato la guerra e la perdita del primogenito. I trattati di psicologia potrebbero attribuire questo concepimento al desiderio inconscio di sostituire il primogenito defunto. Io sono fermamente convinto, che la ricongiunzione dei nostri genitori avrebbe fatto concepire il terzo fratello, anche se il fato non avesse portato via il primo e sarebbe stato bellissimo essere in tre. Molto spesso la fantasia mi ha fatto volare, immaginando la presenza di Carletto tra noi. Purtroppo è solo fantasia, perché, nella realtà dei fatti, il destino lo ha tolto a noi.
Non ho mai sofferto di gelosia per la nascita del mio nuovo fratellino. Sicuramente sono stato agevolato dal fatto, che tra me e Lucio, ci sono otto anni di differenza. Fin dall’inizio mi sono sentito responsabile, nella mia protezione per lui. Mi sento il fratello più grande e con il passare del tempo, anche lui sente questo mio ruolo. E’ sott’Inteso, che passando gli anni e crescendo lui, la differenza di età si colma pian piano ed il ruolo diventa indifferentemente reciproco. Oggi siamo entrambi un sostegno l’uno per l’altro. Ci confidiamo, ci consultiamo nelle decisioni importanti, sappiamo di poter contare l’uno sull’altro, anche se viviamo lontani, non siamo mai soli…………………………………………………………………………….
Oggi sono andato a fare visita al mio amico Leonardo, nella sua nuova dimora. Per la prima volta non mi ha raccontato la sua ultima barzelletta. Mi sono commosso ed ho pianto, ma non è inusuale in un cimitero e nessuno ci ha fatto caso.
……………………….Ho già parlato del malaugurato arrivo di Gigliola nella nostra esistenza. Ma devo aggiungere che Lucio vive questa esperienza peggio di me. Lui è più piccolo di me, abita ancora con i genitori ed è troppo presto per uscire da casa. Assiste impotente ai numerosi litigi dei genitori. Nostro padre perde sempre più il suo ruolo e la sua credibilità. Lucio frequenta la scuola con poco profitto, cambiando anche indirizzo di studi, nel tentativo di riprendere in mano una situazione sfuggente. Le amicizie che frequenta non sono le migliori da consigliare, ma la mamma non può fare di più ed il padre è ormai assente. Lucio ne combina di tutti i colori e nessuno sa nulla, fino a che da grande mi racconta le sue avventure. Compra una moto da corsa di grossa cilindrata, in un’età in cui ancora non gli è consentito, falsificando le firme dei genitori. Analogamente acquista una macchina veloce. Non si sa da dove Lucio prenda i soldi e chi è consenziente alle malefatte. A dire dei suoi amici, ha più di un incidente di moto, protetto da qualche santo, data la gravità. Passato questo periodo di travagliata adolescenza, Lucio entra a lavorare in società con me e nostro padre. Gradatamente si trasforma nel comportamento e nel carattere e diventa il meraviglioso fratello che è oggi.
Dopo aver “messo la testa a posto”, come si suole dire (e non prima, quando sarebbe stato più logico statisticamente), Lucio subisce un gravissimo incidente in moto. Su una strada a doppio senso di marcia, in moto fa il sorpasso di una fila di macchine, ferme ad un semaforo. Il guidatore di una di queste macchine apre lo sportello improvvisamente. Lucio batte contro questo sportello aperto e rotola a terra, andando a finire sulla corsia opposta. In quell’istante, su questa corsia, transita una fila di auto, lanciata ad alta velocità. Due di queste auto, a turno, colpiscono Lucio, facendolo rotolare giù dalla scarpata, nel campo. E’ raccolto ed in ambulanza, portato all’ospedale. Si teme molto per la sua vita, date le numerose ferite.
Ha diverse costole rotte ed il polso sinistro completamente scollegato dalla mano. Una parte degli ossicini, che abitualmente compongono il movimento del polso, sono rimasti sul luogo dell’incidente. Dopo parecchie ore d’intervento chirurgico, è sciolta la prognosi, ma la mano sinistra, rattoppata alla meglio, rimane definitivamente a quarantacinque gradi rispetto il braccio.
Lucio vive ancora una volta il suo dolore fisico, ma io lo vivo accanto a lui. Il ricordo mi fa ancora accapponare la pelle, pensando alla telefonata urgente dal pronto soccorso, al mio incontro con lui sulla lettiga, al suo stato confusionale, alle mie lacrime ed alle preoccupazioni, durante l’intervento chirurgico. Il tempo rimedia e fa sì, che l’episodio diventi storia da raccontare.
Fatta l’esperienza della società a tre, della quale parlerò poi, Lucio, con alcuni amici, s’inventa una nuova professione: l’organizzatore di mostre. Allestisce la prima mostra di serpenti velenosi, portandola in giro per l’Italia. E’ volgarmente copiato da altri gruppi, che vedendo il lucro, rovinano la piazza. Per diversificarsi, allestisce la prima “mostra delle Torture”, con notevole successo di pubblico ed economico. Anche questa mostra sarà poi imitata, in brutta copia. I risultati gli consentono di fare un passo più lungo. Si trasferisce in Spagna, acquista prima un bar, poi lo vende e compra un ristorante, poi lo rivende e ne compra uno più grande. Nel frattempo conosce e sposa quella che sarà la mamma dei suoi due bellissimi figli: Teresa.
Qua termino lo scritto su mio fratello, perché non sarebbero più ricordi, ma fatti presenti……………………………………………………….
Oggi, al cimitero, cercando la tomba del mio amico Leonardo, sono entrato nell’ufficio della direzione. L’impiegato, vestito molto elegantemente in giacca e cravatta, nei suoi modi mi ha ricordato l’atteggiamento di un rappresentante. Poi ha tirato fuori la mappa del cimitero, spiegandomi con ampi gesti la posizione ideale, la convenienza, l’utilità…………mi è venuto istintivo di dirgli: “Ma guardi che io non compro nulla”.
I cugini.
Ho già detto che, abitando la famiglia in un unico immobile, il contatto tra i membri delle varie generazioni è continuo. La mia generazione è concepita prima della guerra e comprende nell’ordine di nascita: mio fratello Carletto, Roberto, figlio della sorella di mio padre, io, del quale si sa tutto, Alfeo, figlio del fratello più giovane di mio padre. Segue la generazione concepita dopo la guerra, sempre nell’ordine di nascita: mio fratello Lucio, Alviero, figlio del fratello più giovane di mio padre, Fulvio, figlio del secondo fratello di mio padre. Questa elencazione mi ricorda i quesiti della settimana enigmistica: trova chi è Alviero, di chi è figlio Fulvio, chi potrebbe essere Flavia se ci fosse ?
 Una generazione a sé stante è il terzo Carlo della famiglia, secondo figlio del fratello di mio padre, nato con ritardo rispetto all’iter seguito dalle varie cognate. Di fatto, i suoi genitori concepiscono il loro primo figlio, non prima della guerra, come gli altri cognati, ma dopo. Trovandosi così arretrati rispetto all’andamento del gruppo, si rifanno con ritardo, ad avere anche loro il secondogenito e pari tutti.
Anomalia irrimediabile del gruppo è la coppia formata dalla sorella di mio padre. Di fatto, non contenta di essere già una “anomalia” lei stessa, essendo l’unica femmina nata in numerosissime generazioni, crea lo scompiglio avendo un solo figlio, anche se maschio: Roberto. E’ vero che anche mio padre sarebbe anomalo per eccesso, avendo avuto tre figli anziché due, ma il terzo era una sostituzione, ammessa nella gara. A parte gli scherzi, la vicinanza dell’età e del vivere insieme, lega fortemente i cugini nelle varie generazioni. Anzi, con il passare degli anni, la mia generazione dei cugini più adulti, che guardava dall’alto in basso quella seguente dei marmocchi, si ridimensiona ed accetta la parità dei diritti e del colloquio. Oggi le due generazioni sono sparse per il mondo, ma siamo sempre uniti, a contatto e sappiamo tutto, di tutti. La corrispondenza elettronica ha un ruolo molto importante in questa coesione affettiva. Alfeo ed Alviero, risiedono a Roma, io sono a Firenze, Fulvio e Carlo a Milano, Lucio è a Barcellona, Roberto è in Colombia. Spesso ci scambiamo le visite e, anche se raramente, riuniamo il gruppo a metà strada………..
Oggi al cimitero, mentre meditavo sul mio amico Leonardo, mi sono distratto da una sommessa musichina. Ho scoperto trattarsi di un “carillon” a pile, lasciato su una tomba di recente fattura, insieme a numerosi piccoli balocchi, sparsi qua e là sul pratino appena seminato. La tomba non portava ancora nessun riferimento, ma la tristezza al pensiero del comportamento di chi rimane in vita, mi ha fatto molto pensare.
……………………………Roberto, Alfeo ed io, abbiamo passato sempre insieme i nostri tempi liberi e di gioco, nella fanciullezza. Qualcosa io ho già detto di come passavamo insieme ed altro dirò.
I regali sono ben distribuiti tra noi, in modo da non creare gelosie, così a Natale riceviamo tutti: l’automobile a pedali, il “Meccano” e così via. Lo zio Sandro è quello che sta meglio economicamente, così è lui che si occupa dei regali natalizi e per la verità è molto generoso. Ha un modo tutto suo di offrirli. Noi ormai sappiamo, che il regalo c’è sicuramente, anche se non lo vediamo. Lo zio ci tiene in ansia, facendola molto lunga, spiegando che quest’anno gli affari non sono andati bene, che non si è comprato nulla…….Finchè la zia, vedendo la nostra ansia, interviene, sollecitando la chiusura della sceneggiata, con la consegna dei doni. Lo zio riesce sempre a stupirci con le sue idee ben azzeccate. Il nostro stupore è molto visibile e lui gongola felice del risultato. Ricordo con commozione il ripetersi di questa tradizione. Anzi ricordo che prima del rito descritto, si deve aspettare il gruppo dei musicanti greci, che con chitarre e mandolini, vengono a porgere gli auguri di buon Natale. Poi il rito dei regali, poi la cena grandiosa della vigilia, con tutta la famiglia riunita, poi i giochi in comune, la Tombola, il mercante in fiera, il sette e mezzo, poi i bambini a letto e gli adulti a giocare il Poker dell’anno…………………..………………………………………………
Oggi al cimitero, su una tomba in terra ho visto un cartellino che portava scritto: posto occupato. Per un attimo ho creduto di essere al cinema.
…………………………..…...Tra i regali ricevuti in età più adulta, ricordo i pattini a rotelle. Per un lungo periodo sono il nostro passatempo
preferito. Sul tetto della casa c’è una terrazza grande, che copre l’intera superficie degli appartamenti sottostanti. È completamente piastrellata da mattonelle, che ne fanno una pista da pattinaggio eccellente. All’inizio impariamo a stare in piedi, ma ben presto, diventiamo esperti, facciamo le gare di velocità e giochiamo a Polo, con le mazze appositamente create da noi; per pallina usiamo un sasso piatto…….. ………………………………………………………………
Sul muro esterno di una scuola elementare oggi ho letto: Viva il bue abbasso l’asinello.
………………………Tra noi cugini abbiamo in comune anche le letture. Ci passiamo i libri da leggere e compriamo a turno “L’Albo d’oro”, giornaletto settimanale, che ci alterniamo, secondo precise regole.
Arriva il periodo delle grandi promozioni scolastiche. Roberto e Alfeo a Giugno sono promossi, io sono rimandato ad Ottobre. A loro i genitori regalano la meritata bicicletta, io sono punito e sto a guardare gli altri. E’ la prima bicicletta della nostra vita, quindi sento fortemente la punizione, anche se io ho alcune riserve, sulla mia colpevolezza, nell’essere rimandato. La punizione c’è, ma gli zii non possono permettere, che, mentre Roberto e Alfeo girano in bicicletta, io rimanga a piedi a guardarli. Viene perciò chiesto di fare un giro ciascuno. Allora io metto subito le regole, così, mentre Alfeo fa il giro sulla sua bici, io lo faccio su quella di Roberto, che intanto aspetta. Nel seguente, mentre Roberto fa il giro sulla sua bici, io lo faccio su quella d’Alfeo, che intanto aspetta. In pratica ad ogni giro io, il punito, sono o sulla bici di Roberto, o su quella d’Alfeo, mentre loro aspettano a turno ! Quando si dice la prepotenza.
Ad Ottobre sono promosso e così anche io ho diritto alla bici, la mia prima di una lunga serie. E’ una Raleight nera, con i parafanghi bianchi. E’ una bici pesantissima, ma è la mia. Oltre ad essere l’oggetto dei nostri passatempi, le bici servono ai tre cugini per andare a scuola. La cartella è messa sulla canna della bici, la pedalata è un po’ sbilenca, ma efficace. E’ così che tutte le mattine io passo, in salita, davanti ad un meccanico di moto, che ha fatto il corridore ed è amico di mio zio. Questo signore mi guarda sempre pedalare, ma una mattina io vedo là anche lo zio. Saluto tutti, andando avanti per la mia strada. L’ex-corridore suggerisce a mio zio di farmi correre in qualche gara per principianti, perché mi vede andare bene in bici, specialmente in salita. E’ così che entro nel mondo delle gare ciclistiche. A parte parlerò di queste mie esperienze…………………………………………………………………………
Oggi sono andato a farmi fare un prelievo del sangue, per un’analisi di controllo. Davanti a me c’era un signore cinese, che non parlava neanche una parola d’italiano. L’infermiera addetta, giovane e carina, gli ha chiesto le urine. Ovviamente il cinese non ha capito. La signorina gli ha dato la provetta da riempire, spiegando in italiano di andare al bagno per riempirla. Ovviamente il cinese non ha capito. A questo punto c’è un grande imbarazzo della signorina, che a gesti vorrebbe spiegare, ma lei è troppo fine. Ormai, tutti i presenti sono attratti dalla scena, che così si fa interessante. Risolve tutto un signore disinibito, di una certa età, che facendo finta di aprirsi i pantaloni, mima a gesti molto efficaci, l’operazione da eseguire. Scoppia una risata generale, ma questa volta, il cinese ha capito.
……………………………………Un giorno Roberto arriva da noi tutto trafelato, con una notizia importante: ha conosciuto una ragazza, che va a scuola dalle”Suore di Maria Ausiliatrice”. Lui l’ha accompagnata verso casa. Nei giorni seguenti lui va ad aspettarla regolarmente e l’accompagna a casa, portandola sulla canna della bicicletta. Da questo momento in poi Roberto si fidanza e non ci racconta più che cosa fa con la fidanzata. Questa fidanzata, Clelia, sarà presto sua moglie ed insieme, avranno tre figli.
Nel frattempo l’altro cugino, Alfeo, s’iscrive all’università di medicina con grande profitto. Alfeo incomincia a parlarmi di “Arturo” e me ne parla tanto, che mettendomi in curiosità, voglio conoscerlo anche io. Arturo è un mezzo cadavere, parte alta del corpo, messo a disposizione dall’università, per il gruppo di quattro studenti, di cui fa parte Alfeo. Arrivo all’università, insieme a mio cugino, entro in una enorme sala di anatomia, nella quale sono disposti numerosi tavoli in marmo. Su ogni tavolo c’è un mezzo cadavere, o la parte superiore, o l’inferiore. Arrivo al tavolo del gruppo d’Alfeo. Io conosco già I suoi compagni, ma loro si lamentano con Arturo, perché lui non mi saluta. Anzi uno del gruppo, dando una pacchina sulla testa ad Arturo, gli dice: “sono queste le buone maniere che ti abbiamo insegnato ? Saluta Rinaldo.” M’inchino con rispetto verso Arturo, ma noto che non ha un gran bell’aspetto. Non faccio il giro dei tavoli a salutare gli altri mezzi cadaveri, perché francamente la cosa mi tocca un po’ lo stomaco. Chiedo di uscire, con un falso tono d’allegria ed uno del gruppo propone di andare a prendere al bar un panino di trippa ! Io rifiuto la trippa e chiedo solo un caffè doppio.
Alfeo continua i suoi studi di medicina, proseguendoli ben presto in Italia. Terminati gli studi, come ho già detto in altra occasione, diventa un brillante medico.
Con gli altri cugini, ad Alessandria, non ho un vero rapporto, data la differenza generazionale, ma con il passare degli anni, la differenza di età si sfuma ed il rapporto tra noi tutti, diventa di reciproca stima ed interessante.
Mia cugina Ida merita un discorso a sé. E’ l’unica ragazza tra i miei numerosi cugini maschi. E’ la figlia della sorella della mia mamma. Ha due anni meno di me. Da piccoli stiamo volentieri insieme, anche se, per la verità, io sono uno “stuzzicone”, come mi definisce lei e lei è “ficosa”, come la definisco io. Crescendo noi diventiamo inseparabili e siamo come fratello e sorella. Questo rapporto, a distanza di anni si rafforza, in modo particolare dopo la morte dei suoi genitori e della mia mamma. Sentiamo ancora di più il legame affettivo che ci unisce fin dalla ns. gioventù.………………………………
Ad Alessandria, le infrazioni fatte dai ciclisti, erano punite con lo sgonfiamento delle gomme. Penso che sarebbe una buon’idea applicare questa norma anche qua a Firenze. Molto spesso ci sono persone male educate, che lasciano la bici sul marciapiede stretto, senza pensare agli anziani o ai non vedenti in grave difficoltà.
Alessandria.
E’ la mia città. Nasco qua e ci vivo per diciannove anni.
E’ un’elegante città, che si allunga per ventidue chilometri. Alle sue estremità, segnano il confine, i due palazzi reali: “Ras el tin”, tradotto letteralmente “testa di fico”, da una parte e “Montaza” dall’altra.
La città porge il suo fianco migliore al mare Mediterraneo. La “Corniche” è il lungomare, che si estende da un palazzo reale all’altro. Il percorso è meraviglioso e ricorda molto la “costa Azzurra”. Ogni quartiere attraversato da questa strada, per me ha la sua caratteristica ed un ricordo. La ripercorro mentalmente. “Chatbay” è una baia grande di mare aperto, profondo ed azzurro, terminante con una punta di scogli, “Selselah”, sui quali è stata realizzata una strada. Questa punta s’inoltra nel mare per cinquecento e più metri, avendolo sia sulla destra, che sulla sinistra, così si ha la sensazione di essere su una nave. In cima alla punta, di solito soffia un gran vento, ma il posto è molto bello ed anche un po’ romantico. Io vado spesso a sognare e mi fermo a leggere o a studiare. La strada che porta alla punta estrema, è larga circa venti metri. Nel periodo bellico, è stata chiusa e trasformata in postazione di difesa antiaerea. Ricordo di aver imparato a riconoscere i colpi dei cannoni del “Selselah”, durante le incursioni aeree, perché avevano un suono diverso dagli altri cannoni, dislocati per la città. Il mare nella baia è in genere calmo, ma se decide di infuriarsi diventa proprio pauroso. Ricordo una tempesta particolare, durante la quale un peschereccio è stato alzato di peso dalle onde e scaraventato sugli scogli, lasciandolo poi in secca, in posizione diritta, come fosse un monumento al mare. Ma quando c’è la bonaccia, anche le persone si fanno riguardo a non rompere il silenzio, appena intaccato dal fruscio del vento o dal risciacquo delle onde che s’infrangono.
Lascio il “Selselah” e proseguo sul lungomare. Da questo punto in poi troverò tutta la serie di spiagge. La prima è Cleopatra. Ci andavo da bambino con la mamma, insieme alle sue amiche. La mamma la prediligeva perché c’era il “CASINO”. Detta così si potrebbe anche pensare male della mia mamma, ma io spiego di che si tratti. Ad Alessandria, sul mare, su palafitte, ci sono dei locali, che in corrispondenza con le spiagge, offrono il servizio di ristoro. Ci si porta il mangiare da casa, in genere pasta al forno e cose simili, e si occupa dei tavolini di varie dimensioni. Dal gestore si acquistano solo le bibite, che via via si prendono lungo la giornata. L’ambiente è molto gradevole: una tettoia di canniccio crea l’ombra, è aperto sui quattro lati, quindi ben ventilato, le mamme comodamente sedute, non perdono di vista i rispettivi figli che giocano nella sottostante spiaggia. Questo è il locale detto “casino”, quindi la mia mamma lo prediligeva, ma non era una “sporcacciona”………………………………
Rita è mia suocera ed ha 90 anni. Per me stravede sfacciatamente, con disappunto della figlia, ma è lucidissima. Per stimolarla a misurarsi la pressione ho organizzato una misurazione collettiva. Ho misurato la pressione a Silvana, sua figlia, poi a lei. Infine misuro la mia ed anziché dare il risultato di 56 pulsazioni, dico di averne 400. Al che Rita, con ennesima dimostrazione di fiducia nei miei mezzi, dice subito: “Perfetto”!
…………………………Vado oltre con la mia passeggiata nel ricordo e trovo la spiaggia di Ibrahimia. Anche qua c’è il “casino”, ma la spiaggia è piccola e stretta, quindi ci veniamo raramente. La prossima è Sidi Gaber. Qua non c‘è spiaggia, o “casino”. C’è una piccola baia protetta dagli scogli, con l’acqua molto bassa, adatta ai bambini. In questa baietta, da bambino prendevo i pesci con il vaso di vetro. Trattasi di un vaso grande in vetro, da marmellata, sul quale è posto un pezzo di tela bianca, con un foro di due centimetri, il tutto legato al vaso con un filo bianco. Attraverso il foro, sull’interno della tela, si spalma un po’ di farina e s’immerge nell’acqua. I pesci arrivano ed attratti dalla farina, entrano nel vasetto, così basta spaventarli gettando verso il vaso una palla di sabbia. I pesci picchiano sul vetro per uscire ed è sufficiente alzare dall’acqua il vaso stesso………..è fatta e poi ancora da capo.
In questa spiaggia gli adulti, per fare il bagno, oltrepassano gli scogli che sono a filo d’acqua, oltre ai quali è il mare aperto. Ovviamente è necessario saper nuotare, perché tuffandosi dagli scogli il mare è subito profondo. Per chi non è un provetto nuotatore, appena tuffati si trova una serie di barili rossi galleggianti, sui quali ci si può acchiappare. Qua, a Sidi Gaber, gli zii hanno affittato una “cabina”. La “cabina” è un cubo realizzato in legno, con dimensioni di due metri di lato. Si apre frontalmente con due porte e serve per depositare le seggiole a sdraio, i tavolini, tutto l’occorrente da mare. Naturalmente serve anche per cambiarci e come base per stare seduti davanti, in comitiva. Le cabine sono tante, tutte attaccate tra loro, appoggiate ad una base di cemento piastrellato, che consente uno spiazzo antistante, largo quattro metri. La comodità di tale organizzazione fa sì che molto spesso, con tutti gli zii ed i cugini, ci ritroviamo, in particolare nei pomeriggi, al rientro dei padri dal loro lavoro. Qualche volta ci si ferma anche a cena. Ricordo che lo zio Aldo vede in acqua un pesce “dotto”, così è chiamata la Cernia. Da quel momento lo zio non ha più pace, fino a che non cattura il pesce. Nel frattempo però, lo zio è beffeggiato da tutti ed il “dotto” diventa il suo cruccio. Ricordo anche la sua rivincita, quando dopo vari tentativi, prende il “dotto”e dopo averlo mostrato con orgoglio, lo prepara per una cenetta sul mare……………..……………………………...
A mia suocera Rita, dopo il recente infarto, hanno messo al cuore un “pace maker”. Lei, pur sapendo in linea di massima cosa sia, mi ha chiesto come funziona. Le ho detto che, ora per telefonarmi non ha più bisogno del telefono, basta attaccarsi al suo apparecchietto. Si è fatta una gran sana risata.
………………………………………Dalla cabina, salendo cinque gradini, si esce sul marciapiede del lungomare. Ad una certa ora incomincia il passeggio della gente ed i venditori ambulanti portano le loro proposte. C’è il venditore di “sudani, hommos u leb”, che traducendo sarebbero arachidi, ceci e semini tostati, il tutto tenuto in caldo con profumatissimo carbone. Non manca mai il venditore di pistacchi e quello delle “Dure”, o pannocchie di mais abbrustolite sulla carbonella, ma per noi ragazzi, dopo il bagno di mare, il preferito rimane il venditore di “culurie”. Sono delle ciambelle appetitosissime, ancora calde di forno, morbide ma croccanti, ricoperte di semini di sesamo. Il venditore oltre alla ciambella, dà una cartina contenente un composto a base di sale e comino, per intingere dentro ogni boccone. Il pensiero mi fa venire l’acquolina in bocca e sento ancora la pelle ed i capelli umidi dal bagno di mare.
Vado avanti con il mio percorso ideale, non fermandomi nelle spiagge minori, che per me non hanno una storia e quindi ricordo vagamente. Arrivo a Glymenopulo. Questa spiaggia, prima che gli zii avessero la cabina di Sidi Gaber, è la preferita dalla zia Iolanda, che spesso vi porta noi cugini. In questa spiaggia vedo per la prima volta, in un presto mattino, un prete fare il bagno di mare e data la mia giovane età, scopro con meraviglia che è un uomo qualunque. Dallo scoglio antistante questa spiaggia, un giorno mio padre riesce a pescare una ventina di pesci, catturandoli con la canna, ma ad una velocità indescrivibile, uno dietro l’altro. Sempre in fatto di pesca, al tramonto arriva quotidianamente una barca di pescatori, con il pesce fresco della giornata, che noi compriamo. Un altro pescatore di professione, passa attraversando le varie spiagge, con una rete in spalla. Su nostra richiesta, getta due o tre volte la sua rete in mare e ci vende il pescato. Poi va avanti così per le altre spiagge, in cerca di nuovi clienti.
Noi cugini abbiamo circa dieci anni. Ormai sappiamo nuotare e la baia di fronte non ci basta, perciò per fare il bagno ci spostiamo verso la baia grande, distante circa duecento metri. Per farlo dobbiamo attraversare un tratto sabbioso, sempre ricoperto di alghe, a monti. In uno di questi nostri attraversamenti fatti di corsa, mio cugino Alfeo inavvertitamente si avvicina troppo ad un addetto alla rimozione delle alghe ed è infilzato alla gamba dal suo forcone. Alfeo cerca di minimizzare l’accaduto, ma tornati dai genitori, dopo il bagno, il sangue ormai cola abbondantemente ed è necessario ricorrere all’ospedale. Gli vengono praticati….quattromila punti…….dico così perché non ricordo quanti fossero, ma so che per noi ragazzi sono tantissimi. So che anche ora Alfeo porta ben visibile questa lunga cicatrice sulla gamba………………………………
Amo gli animali. Amo i cani e i gatti, amo i canarini. Non potrei mai tenerli al guinzaglio, in gabbia o peggio castrarli, per godere io della loro vicinanza. Amo il mio nipotino di tre mesi e non potrei mai tenerlo al guinzaglio, o in gabbia, per godere io della sua presenza, o peggio, castrarlo perché non miagoli sui tetti……..Devo aver fatto volutamente confusione, ma credo di essermi spiegato.
…..……………………………………La mia memoria mi porta a Rouchdy.
Qua ho i ricordi più cari e più intensi della mia giovinezza. Questa è la “mia” spiaggia, fino alla partenza da Alessandria.
Ora voglio arrivare a questa spiaggia, con il percorso, che ho sempre fatto, venendo da casa. Scendo dal tram “Victoria”, di cui parlerò più avanti, alla fermata di Rouchdy . Attraversati i binari del tram, inizia la salita verso il mare. A volte io faccio questa salita in bicicletta, allora devo pedalare in piedi sui pedali, perché la pendenza è molto ripida. A destra ed a sinistra c’ è una serie di ville. Sono tutte proprietà di personaggi importanti: ministri, Pascià, finanzieri e chi più ne ha più ne metta. Molte di queste ville sono guardate a vista da poliziotti in divisa. Questo viale, in certe stagioni, è profumatissimo, per l’abbondante presenza nei giardini, di una pianta, che viene chiamata “fulla”. Non conosco la corrispondente traduzione, ma ricordo, che ha un fiore simile a quello della rosa canina e un po’ al garofano.Ha un colore bianco ed è profumatissimo. Questo fiore è usato per fare le ghirlande alle spose ed alle bambine, che fanno la prima comunione. Nella sua stagione è venduto per le strade, legato ad uno stecco di legno. Non c’è fidanzato, che non lo regali alla sua innamorata, anzi spesso la ragazza è amorosamente chiamata “FULLA”, come il fiore.
Arrivati in cima alla salita, appare subito il mare in lontananza ed ogni volta, il primo che arriva comunica, a chi segue a piedi, se il mare è “buono o cattivo”, come noi usiamo dire. Da questo punto si vede anche se c’è la bandiera ed eventualmente di che colore sia. Infatti su tutte le spiagge, se il mare è calmo non viene issata la bandiera, se è un po’ agitato da consigliare prudenza, viene issata la bandiera rossa, se c’è la bandiera nera è proibito fare il bagno, è vietato anche soltanto immergersi. Il furbastro che tenta di farlo, è portato via dal bagnino, che lo affida alla guardia ed è accompagnato al posto di polizia. Qua segue una multa molto esemplare ed una gran perdita di tempo. A tale proposito, solo gli atleti della famosa squadra di nuotatori “I coccodrilli del Nilo”, sono autorizzati ad allenarsi con la bandiera nera. Sono nuotatori famosi, per aver vinto le gare delle traversate della Manica, o dello stretto di Messina ed altre simili, ma in una di queste occasioni, uno di loro non rientra più dal suo allenamento… ……………………………………………………………………
Oggi ho portato Mattia, tre mesi e mezzo, a visitare l’orto botanico. Davanti a delle bellissime Orchidee, due signore dall’aspetto di insegnanti, si sono avvicinate a me. Una delle due, indicando il bambino che portavo affettuosamente nel marsupio, mi dice: “il nonno ?” ed io subito ho puntualizzato:” Ma Signora, Le pare logico che possa essere mio nonno ?”
…………………...…..In cima, immediatamente incomincia una discesa, più breve della salita, ma anche più ripida, che facciamo sempre di corsa. Arrivo a Rouchdy mare.
Una scala in cemento mi porta direttamente alla nostra cabina. Questa è al secondo piano della spiaggia, proprio dietro alla scala. Dalla nostra cabina si domina il mare. Erroneamente ho detto “la nostra cabina”, ma in pratica, è come se lo fosse. In realtà la cabina è del signor Papagalos, un ricco signore anziano, proprietario della più importante farmacia della città, nonché di una delle migliori sartorie da uomo. E’ il suocero di uno zio acquisito, Zio Armando, che pur non essendo un vero zio, lo considero tale per essere stato molto vicino a tutti noi ragazzi della nostra generazione. E’ lui che c’insegna a nuotare, che organizza i nostri giochi. Il signor Papagalos non viene mai in cabina, perciò è a nostra completa disposizione. Anzi, in aggiunta alla cabina, abbiamo a disposizione anche un suo piccolo appartamento, distante duecento metri dalla cabina stessa. L’appartamento completa le comodità del vivere bene: bagno e doccia a disposizione, vista diretta, dall’alto sul mare, ventilazione con fresco, anche nelle ore più calde della giornata. Grazie ancora signor Papagalos………………………………………………..……………….
Io vedo poco. La prova ? Oggi ho cercato di raccattare da terra un rettangolino di luce.
…………………….. Nella cabina c’è anche un “sandolino” per il nostro divertimento. Si tratta di una specie di tavola, lunga due metri, larga ottanta centimetri ed alta venti, con la punta leggermente rialzata, per prendere le onde. E’ reso leggero dalla sua struttura, infatti nell’interno c’è un telaio in legno robusto, ma solo esternamente è ricoperto da uno strato sottile di legno leggero, formando così una camera d’aria. Tiene bene il mare ed il nostro divertimento maggiore è quando ci sono le onde, a consentire salti e spinte, che vanno dal largo verso la spiaggia. E’ governato mediante un remo unico, a due pale nelle estremità. L’unica preoccupazione è di stare attenti a vuotarlo dall’acqua, quando lo si sente appesantito. Si fa questa operazione, mediante un apposito tappo laterale, ma va fatta sulla spiaggia, quindi noi la rimandiamo sempre agli estremi, con il rischio di affondare, ma a noi piace così. Sul lato opposto, nella nostra fila di cabine, c’è quella di un mio carissimo amico, Jorgo. Oltre ad essere un amico è anche un mio temibile avversario, nelle gare ciclistiche. Tra parentesi, Jorgo è di nazionalità greca e si è trasferito in Australia, ma ho perso completamente le sue tracce. Mi piacerebbe sapere di lui, come gli è andata la vita, ma questo mio desiderio è quasi impensabile. Peccato.
Con altri amici del gruppo, passo intere giornate in acqua, o sulla spiaggia, giocando a pallone, o con le racchette e la palla da tennis. Molto spesso ci trasferiamo in gruppo nella spiaggia di Stanley, distante quattro o cinquecento metri. Lo scopo è di nuotare contro le onde, verso il largo, trascinando una tavoletta di legno, che poi serve al ritorno, per rifare il percorso inverso in un istante, trascinati dalle onde. E’ bellissimo ma pericoloso. Una volta mi capita di prendere male l’onda e di finire rigirato verso il fondo sabbioso, battendo forte il capo. Ovviamente nessuno si è accorto e per fortuna sono riuscito a cavarmela da solo. Qualcuno continua ad obiettare che dopo quella botta sul capo, io non ho più capito nulla.
Molto spesso, in occasione di gare ciclistiche interregionali, gli avversari del Cairo si fermano qualche giorno, nostri ospiti ed allora è baldoria.
Nella fila di cabine al piano di sotto al nostro, c’è quella di Nives, ma di lei parlerò poi………………………………………………………………….
Ho comprato da poco il mio loculo. Al mio amico Luciano, incaricato al cimitero ( più semplicemente becchino ), ho chiesto se avesse potuto darmi una mappa del punto esatto del mio loculo. Mi ha risposto: “A che ti serve saperlo, ti ci porteranno gli altri.”
…………………………...Nel proseguimento di queste file di cabine soprammesse su due piani, oltrepassando quella di Jorgo, c’è una fila a sé stante, che rimane più isolata. Qua c’è la cabina di Pupetta, una ragazza tanto bella quanto superba. Da piccola, nel periodo bellico, era rifugiata con noi alla “Esbet El Nahl” e giocavamo insieme, ma ora lei ha cancellato il ricordo e lo vuole ignorare. Ha un fisico stupendo, tendente al formoso ed è di statura alta.Ha due occhi splendenti, che quando ride si socchiudono, molto sensualmente. Evidentemente lei sa d’essere bella e lo fa pesare. Non ha mai fatto parte del nostro gruppo, anche se per la verità molti di noi lo vorrebbero.
Due cabine più in là, c’è quella degli Onsy. L’intera famiglia frequenta con me il Conservatorio di musica: le tre sorelle e la mamma. Questa cabina ospita, molto spesso, mie compagne di studio. In tali occasioni io abbandono i miei amici di giochi, per diventare serio e culturalmente impegnato. Spesso c’è qualcuna delle compagne presenti, che m’interessa particolarmente ed allora la cosa si complica. Logicamente anche sotto gli ombrelloni, noi non smentiamo la nostra etichetta di “musici” e riusciamo a fare musica, grazie alla chitarra di una ragazza, od alla fisarmonica di un’altra, o improvvisando un coro classico. Pupetta ci guarda da lontano, ma non so se c’invidia, o se ci compiange, perché fa finta di nulla.
Sulla baia di Stanley e la spiaggia di Rouchdy, accennerò ancora parlando di Nenetta e di Nives………………………………………………...
Ieri ho comprato una Fotocamera digitale. A chi ho fatto la mia prima fotografia di prova ?…………al nipotino Mattia.
………………………………..Procedo nel mio percorso ed arrivo alla baia di Stanley, della quale ho già detto. E’ una baia perfettamente a semicerchio, con un diametro di sei o settecento metri. Ha una serie di sei file di cabine, ad anfiteatro. Non ricordo se nella terza o quarta fila, c’è la cabina della famiglia di Clelia, la fidanzata di mio cugino Roberto. Avendo altre possibilità più piacevoli, qua non veniamo molto spesso. I genitori di Clelia, sono persone gradevolissime, ma c’è qualcosa di indefinibile, che non ci mette a nostro agio. Poi francamente i due colombi, Roberto e Clelia, che tubano in continuazione, ci fanno anche un po’ rabbia. L’unica persona che mi attira è Elsa, la sorella di Clelia. E’ una persona allegrissima e con me fa una coppia di mattacchioni, ma è un tipo di “maschiaccio”, che vedo solo come compagno di birbonate. So che lei si sposa con un suo cugino e poi va a vivere a Parigi. Non la rivedo più, ma sono curioso di sapere se la vita, gli anni la fanno maturare. Sarebbe un peccato, perché così è troppo simpatica.
Salto le varie piccole spiagge, che per me non hanno storia ed arrivo a Santo Stefano. E’ l’unica spiaggia a pagamento della città. Non si potrebbe neanche definirla spiaggia, perché in pratica è una pensilina di legno, montata su palafitte. Sono due corridoi, con a lato le cabine: uno va diritto verso il mare aperto, per circa cento metri e l’altro, forma con il primo una croce. Il mare è profondo e noi dalla pensilina ci tuffiamo e risaliamo e poi ci rituffiamo. Così tutto il giorno, ma non chiedetemi chi ci dà la forza per farlo. A metà del primo corridoio c’è un quadrato più largo, con i tavolini e gli ombrelloni del posto di ristoro, dove le nostre mamme stanno, a farsi compagnia. Non veniamo molto spesso qua, prima di tutto perché è a pagamento, poi perché in definitiva, non offre gran cosa.
Arrivo a Sidi Bishr. E’ l’ultima spiaggia prima del palazzo reale di Montaza. E’ piatta e neanche troppo pulita. E’ fuori portata per arrivarci. Ha poche cabine, poste oltre la strada. Ergo, in tutta la mia vita alessandrina, passo davanti numerosissime volte, ma senza fermarmi.
La “corniche” finisce qua e proprio sotto le mura del Palazzo Reale, volta a novanta gradi verso destra, per andare a raggiungere la via Aboukir. Poi, più avanti, riprenderò la strada per Aboukir, ma ora, siccome nel mio percorso ideale fin qua, ho solo rivissuto il lato sinistro della “corniche”, ovvero il lato del mare, devo accennare qualcosa sul lato destro della strada.
L’ambientazione cambia via via che si percorre la strada. Nella parte centrale della città ci sono edifici alti, che hanno, al piano terra numerosi locali pubblici: bar, caffè, birrerie, ristoranti, gelaterie, pasticcerie, giocattoli ed articoli da mare. Man mano che si va verso la periferia della città, gli edifici si fanno più bassi e si trovano tante ville, che ricordano quelle di Forte dei Marmi. Nella parte centrale della città, proprio di fronte alla baia di “Chatbay”, c’è solo una bellissima villa sul mare, che ospita il Consolato d’Italia. La villa è contornata da palme ed essendo elevata rispetto il piano stradale, ha un aspetto austero ed elegante, nello stesso tempo. E’ un pezzo della nostra Patria e così la interpretiamo.
La “corniche” si snoda con curve intorno alle baie, che si alternano a lunghi rettilinei, dislivelli che talvolta salgono e a volte si abbassano fino al livello del mare. Tutto ricorda le caratteristiche della “Costa Azzurra”……………………………………………………………………………
Oggi ho portato Mattia, quattro mesi, al giardino “dei semplici”, l’orto botanico. Ci siamo messi sotto ad una “Gingobiloba” ed a fianco di una “metasequoia”. Nel gran silenzio del parco, sentivo crescere Mattia.
………………………………Ogni ora del giorno, ogni stagione, dà la sua impronta e caratterizza tutto il percorso sul mare. Così Alessandria alterna e trasforma i suoi umori, i silenzi. All’alba, specialmente se il mare è calmo, appare sonnecchiante e pare abbia un occhio chiuso e l’altro aperto. D’estate, nelle ore calde, è impigrita e silenziosa, per rispetto alla “siesta”, ma avvicinandosi al tramonto si ravviva e si popola di gente, diventando allegra, sbarazzina e poi con il buio, godereccia fino a tarda notte. Personalmente preferisco le prime ore del giorno, che scelgo per i miei allenamenti in bicicletta. La totale assenza di gente, la luce pulita sul mare calmo, l’aria frizzante, danno la carica alla vita e fanno scordare la fatica di alzarsi presto……………
Nell’orto botanico, anche oggi sono andato a vedere e fotografare la “Amorphophallus titanum”. E’ una pianta originaria del Madagascar, con una foglia a forma di Fallo, alta una diecina di metri. Gradatamente si sta trasformando in un fiore gigante, il più grande al mondo che sia nato in serra, due metri di diametro. Sto seguendo la gestazione da qualche giorno e mi sembra di essere un guardone.
…………………………………..Spesso, a quest’ora, nel mio percorso da allenamento, trovo in terra le quaglie ancora calde, che arrivando stanche dall’Europa, vanno a finire contro i fili del telegrafo, o contro i palazzi e poi in pentola. E’ la triste legge della selezione naturale.
Rifaccio un salto indietro nel mio percorso dei ricordi e torno al Palazzo Reale di Montaza. Prima della Rivoluzione è guardato a vista dalle guardie del Re, sia dall’alto delle mura di cinta, sia a cavallo. Dopo la Rivoluzione e la fuga del Re Farouk dall’Egitto, i suoi palazzi sono stati aperti al pubblico. All’inizio, con le prime visite concesse, il palazzo appare in tutto il suo splendore. Giardini, immensi parchi curati, viali, alberi, laghetti d’acqua dolce e marina, con i relativi pesci, artistiche fontane, decorazioni e statue, sono parte del mondo fiabesco, che appare al visitatore. Tutto è realizzato con sfarzo, con gusto e certamente senza economia. Con l’accesso, consentito al pubblico, buona parte di queste bellezze, sono distrutte, un po’ per vendetta verso il Re / padrone, un po’ per noncuranza ed abbandono. Il degrado è repentino e pur non rimpiangendo i tempi del Re, per ovvie ragioni storiche e politiche, la negativa trasformazione disturba la sensibilità estetica.
Lasciando il lungomare ormai terminato e costeggiando le mura del Palazzo reale, si raggiunge la grande arteria, che è la via Aboukir. Con un percorso di circa trenta chilometri, si arriva alla storica ed omonima baia di Aboukir. Giusto per accennare al fatto storico legato a questa baia, dico qua, non da addetto ai lavori, ma da uomo della strada, che vive i luoghi. Si dice che, Napoleone e l’ammiraglio Nelson non fossero reciprocamente simpatici……questione di donne, pare. Il piccoletto, con un dito ormai fisso dentro l’orecchio e l’altra mano dentro la giacca, sul petto, lascia le sue navi ormeggiate in questa baia e va a visitare le Piramidi del Cairo. “Gliene avevano detto tanto bene……….“ Ma Nelson, che era un po’ birichino, fino a che c’è il piccoletto, non si fa vedere, ma quando sente che Napoleone……………..dall’alto di queste Piramidi, vocia e non è più né al Manzanarre, né al Reno…..zacchete……gli buca tutte le navi e le fa colare a picco, per la gioia dei tanti “Sub”, che molti anni dopo passano da lì e raccattano i cocci..………………………………………….
Oggi ho fatto una levataccia, per andare a farmi fare il prelievo del sangue. Sono arrivato alle 7,30 del mattino ed ho preso il numero 91. Ma la gente non dorme la notte ?
…………Questo è il cenno storico, ma la via Aboukir è la strada, che congiunge la omonima località, con Alessandria. Per la verità, la via prosegue anche dentro la stessa città, sotto forma di viale e di spina dorsale. La strada va parallela al lungo mare e tra loro, sono distanti circa un chilometro. I vari quartieri toccati da entrambe le vie, portano in parallelo lo stesso nome. Tra queste due strade scorrono, in parte anch’esse parallele ed a volte incrociandosi, due tranvie: la linea “B”, che sta per “Bacos” e la “V”, che sta per “Victoria”. Le due linee tranviarie prendono i rispettivi nomi, dai quartieri, dove fermano per il capolinea. Entrambi i convogli hanno la trazione elettrica, due vagoni di circa venti metri ciascuno ed uno dei due vagoni ha un piano rialzato, detto l’“imperiale”. Hanno due piattaforme completamente aperte ai lati, poste agli estremi d’ogni vagone. Solo un vetro frontale ripara dal vento i viaggiatori fermi sulle piattaforme, nell’attesa di scendere. Attraverso queste piattaforme i viaggiatori accedono all’interno del vagone ed il manovratore, da quella di testa, guida il tram. La differenza sostanziale tra i vagoni delle due linee, è che la “B”, scritta in blu, ha un aspetto da stile impero coloniale, con il vago ricordo dei battelli fluviali a ruota sul vecchio Missisipì; la linea “V”, scritto in rosso, ha un aspetto moderno ed aerodinamico. I convogli hanno due classi: la seconda è nel vagone a più piani, la prima è in quello singolo. Il costo del biglietto è la metà per la seconda classe, rispetto a quello della prima. Nella seconda classe i sedili sono fatti in legno, nella prima sono foderati, in pelle liscia marrone. I tram sono guidati da un manovratore, che sta in piedi per tutto il percorso. Giunto al capolinea, questo signore sfila le due manovelle dei comandi e le rimonta sul lato opposto del convoglio, per ricominciare la corsa in retromarcia. Prima però tira giù l’asta con la carrucola, che scorrendo sul filo aereo, prende il contatto elettrico e tira su quella dalla parte opposta. L’asta deve stare sempre nella parte posteriore, nel senso di marcia.Nei miei giochi di bimbo, spesso costruisco le due manovelle, per imitare le manovre del guidatore…………………….
Dal dentista. Abitualmente mi accoglie con molta calma. Mi fa sedere sulla poltrona…si infila gli occhiali…si infila i guanti…si mette la mascherina….mette gli occhiali anche a me….abbassa lo schienale alla poltrona….…lo rialza………lo riabbassa…..…tocca un dente con l’attrezzo…ne tocca altri…e così via, fino al suo:”ma…ci sarebbe… vediamo…”. Oggi si è messo i guanti, mi sono seduto io, perché ho avuto l’impressione che lui avrebbe fatto tutto in piedi, ha sfiorato un dente e: “ Bene, bene, ci vediamo tra…” Dopo solo trenta secondi ero già in strada a domandarmi il perché ed il come…… Ma certo……. ………..tra un’ora c’è la partita del mondiale di calcio: Italia / Corea.
……………….Un secondo incaricato, con una borsa di pelle a tracolla, passa, saltando esternamente, dal predellino di una vettura, a quello dell’altra, anche con il convoglio in corsa. Le due vetture sono isolate tra loro e non hanno un passaggio, ecco il perché della spericolata manovra. Il suo compito è di fare il biglietto ai passeggeri e di suonare una trombetta, come segnale di partenza per il manovratore, quando, alle fermate, tutti i passeggeri sono saliti o scesi.
Spesso, lungo il percorso, sale un controllore ed il bigliettaio è molto ossequioso verso di lui, porgendogli la registrazione dei biglietti ed i blocchetti degli stessi. L’ossequio è doveroso: il nuovo arrivato non è salito a controllare i viaggiatori, bensì lo stesso bigliettaio. Infatti capita molto spesso, che quest’ultimo venda biglietti usati, intascando il costo pagato dal viaggiatore. Statisticamente più il bigliettaio è ossequioso e più ha da nascondere qualcosa. Non giurerei sull‘onestà del controllore, che non è controllato! Siamo negli anni cinquanta e gli stipendi non sono sufficienti a vivere dignitosamente. Porto ad esempio di questi necessari arrotondamenti, spesso tollerati, un altro ricordo. Un giorno io cammino a piedi sul lungomare, portando a mano la mia bicicletta. Mi viene incontro un “sciauisc”, un poliziotto, che fermandomi mi dice: “ Non sai che non si può andare in bicicletta sul marciapiede ?” Rispondo che lo so, ma che sono a piedi. Il poliziotto obietta, che lui non è stupido e che ha visto le mie intenzioni di salire sulla bicicletta. Le mie proteste sono inutili e afferrando il manubrio della mia bicicletta mi conduce al “caracol”, che è il posto di polizia. Là passo quasi due ore, prima di essere ascoltato dall’ufficiale di turno, che con pochissimo garbo e tanto sgarbo, mi consente di telefonare a casa, per venirmi a prendere e pagare la multa. Quindici giorni dopo, sono fermo nello stesso punto del lungomare. Sono seduto sulla bici, ma addirittura giù dal marciapiede. Vedo arrivare il solito poliziotto. Qualcuno obietterà:” Ma cosa fai sempre là, nel solito punto, in bicicletta ?” Bene. Qua c’è la spiaggia che più frequento, dove ho gli amici e le amiche e dove vado tutti i giorni. Il poliziotto arriva da me e mi fa la solita domanda :” Non sai……….” La volta precedente, arrivato a casa, raccontata la mia versione dei fatti, tutti gli adulti mi avevano detto, che nel caso si fosse ripetuta la storia, bastava dare cinque piastre, l’equivalente di uno scellino, circa cinquanta lire italiane, al poliziotto. Così alla domanda del poliziotto, questa seconda volta, senza rispondere e senza guardarlo, io metto la mano nella tasca e trasferisco dalle mie mani alle sue, pertanto già pronte, le cinque piastre. Da quel giorno, io ed il “sciauisc”, siamo amici. Ogni tanto gli do cinque piastre, ma in cambio lui mi consente di andare in bicicletta, anche sul marciapiede e davanti ai miei amici………………………………………………………………………………..
Oggi è nato l’ “Amorphophallus titanum”. Da diversi giorni lo seguivo e lo fotografavo. Ha circa due metri di diametro. E’ emozionante vederlo, ma non altrettanto ad annusarlo: l’alito gli puzza di pozzo nero. Ma la natura vuole così, serve ad attirare le mosche prescelte per l’impollinazione.
……………………………Dai due capolinea di “Victoria” e di “Bacos”, le tranvie vanno entrambe a quello opposto, che è la stazione di “Ramleh”. E’ una piazza grandissima, a cento metri dal mare e dal nostro Consolato italiano. Seduti sull’”imperiale” del tram, si vede il mare, la baia di “Chatbay”. La piazza è allungata e mentre da un lato ci sono palazzi alti, con sotto i locali pubblici d’ogni genere, dall’altra parte ci sono diverse sale cinematografiche, alternate a gelaterie, bar. C’è anche il cinema Ferial, specializzato in pellicole italiane. Qua ho visto tra l’altro: MAMMA, con Beniamino Gigli; AIDA, con Sofia Loren; TOTO’ CERCA CASA e tutta la serie di TOTO’. Più avanti, quasi d’angolo, c’è lo Strand, dove tra l’altro ho visto RISO AMARO, con la Silvana Mangano. Svoltato l’angolo c’è l’ Alhambra, dove abitualmente fanno i film di avventure, del tipo “Tarzan”, o i gialli del tipo de IL FANTASMA DELL’OPERA. In città ci sono altre numerose sale cinematografiche, ma in particolare sono degne di nota, le ultime due realizzate, rispettivamente dalla Metro Goldwin Mayer e dalla Century Fox. Sono complessi già proiettati nel futuro, con le poltroncine di velluto, l’aria condizionata, le luci che si accendono e si spengono con gradualità. Sono realizzate senza la minima economia ed all’americana. Abitualmente gli spettacoli giornalieri sono tre ed iniziano rispettivamente alle quindici, alle diciotto ed alle ventuno. Il biglietto è valido per uno solo degli spettacoli, quindi al termine di ciascuno di questi, gli spettatori si alzano in piedi, prima per ascoltare l’inno reale, mentre è proiettata sullo schermo la figura del Re e poi lasciano la sala vuota. Fuori ci sono gli altri spettatori pronti ad entrare con calma, poiché i posti sono numerati e si scelgono al botteghino, sulla pianta. Lo spettacolo è diviso in due parti: nella prima ci sono i cartoni animati di Paperino, Topolino, Gatto Silvestro, Popeye il marinaio, Il “cinegiornale” con le notizie dal mondo, e la programmazione futura della sala; nella seconda il film vero e proprio, per il quale si viene al cinema. Nelle varie sale, durante l’intervallo, si comprano gelati, semini. Nei nuovi locali cinematografici all’americana, durante l’intervallo, sale un’apposita pedana illuminata, con un grande organo elettrico ed un organista delizia la platea con musiche prese dai vari “films”………………………
Ieri sera, in Piazza Pitti, una compagnia Catalana ha rappresentato la Divina Commedia, in uno spettacolo molto interessante e nuovo. Eravamo in quattromilionisettecentomilaeventuno, per dire che eravamo in tanti. Stavamo tutti seduti in terra, uno a fianco all’altro, quasi uno dentro all’altro. Io involontariamente ho infilato un piede nella scollatura di una ragazza, la quale a sua volta non riusciva a togliere il gomito da dentro l’orecchio di Silvana……….. Alla fine dello spettacolo ci siamo incamminati tutti verso la stessa direzione. Allora ho chiesto a Silvana dove era diretta tutta questa gente. Silvana di rimando e guardandomi, mi ha detto:“Spero tu non li abbia invitati tutti a casa nostra”.
………………………………Ad Alessandria i teatri non sono molti, ma il più importante sicuramente è il “Mohammad Aly”. Qua si potrebbe notare che Mohammad Aly è come Mazzini e Garibaldi, che sono su tutte le vie e piazze delle città e paesi. In questo teatro, nel tempo si sono esibiti i più noti artisti del mondo: da Josè Iturbi a Arthur Rubinstein, da Beniamino Gigli a Gino Brchi, da Tito Gobbi a Maria Caniglia…………………………………dalla mia mamma a me!!!!!!
Ora dal profano passiamo al sacro. Io ho detto, che la piazza della stazione di Ramleh è allungata. Entrando con la tranvia, si passa davanti ad una Moschea di nuova costruzione. Io la vedo nascere e crescere. E’ grandiosa, tutta bianca, con il minareto alto verso il cielo, con i suoi ricami, pare essere fatta di merletti traforati. Sulla parte anteriore, un esteso prato verde la completa e l’aggrazia ancora di più. Oltre ad essere un luogo di culto è un monumento importante. Sullo sfondo, il mare la incornicia. Il giorno della sua inaugurazione, la pasticceria “Délices” la espone in vetrina, riprodotta in miniatura, fatta di zucchero. Un capolavoro sull’opera d’arte.
La stazione di Ramleh, è il cuore della città ed oltre ad essere capolinea delle due grandi tranvie, è il passaggio di una fitta rete di altri tram su rotaia, più piccoli e leggeri. Passano tutti da là e si diramano nei loro percorsi, verso le altre parti della città, consentendo numerose coincidenze. Io passo quotidianamente da qua, per andare al Conservatorio. Scendo dal tram “Victoria” e proseguo a piedi per il centro. Sul mio percorso c’è il negozio dei succhi di frutta naturali, dove spesso entro a bere. I succhi da me preferiti sono: quello di canna da zucchero e quello di “mango”. Entrambi sono molto dolci, ma non avendo io il diabete, gusto il sapore esotico, senza astensioni.
Più avanti c’è la friggitoria, che sull’ordine fa i “crapfen” caldi, chiamati bomboloni a Firenze ed i “locumades”, quelli che, sempre a Firenze, si definiscono “coccoli”.
La zona è ricca di leccornie, tra l’altro, poco oltre c’è “Beniamino”. In questo locale fanno squisiti panini all’araba, con “ful”, ovvero fave cotte, o con “falafel”, che sono polpettine vegetariane aromatizzate e fritte. Sia nei “ful” e nelle “falafel” è aggiunta una salsina saporita, la “tahina” o salsa di sesamo, poi un bel po’ di “garghir”, che è la rucola e “tamatem”, ovvero pomodori tagliuzzati. Non entro spesso da Beniamino, perché quando ci vado mangio almeno sette od otto panini. Il mio record è dodici: sei di ful ed altrettanti di falafel.
Non disdegno, poco oltre, il venditore di panini alle carni sulla brace: di fegato, di polpettine, eccetera, eccetera, eccetera. Da questo negozio esce il profumo della cottura e lo fiuti già a cento metri di distanza, perciò non si può oltrepassarlo con indifferenza e spesso ci cado piacevolmente……………………………………………………………
Oggi, in segno di ribellione e di protesta verso l’ordine concepito da Silvana, sono uscito da casa con due calzini di diverso colore: uno blu scuro e l’altro nocciola chiaro. La mia protesta è fallita: nessuno se ne è accorto. O forse hanno tutti finto di non accorgersene, per darmi di “grullo” appena hanno voltato l’angolo. Non lo saprò mai.
………………………...Da quando vado al Conservatorio sono diventato uno “snob”: ho la fissazione delle scarpe lucide. Sarebbe meglio dire, approfitto della presenza della bottega del “Bohiaghi”, che è il “lucidascarpe”, posta a venti metri prima dell’ingresso al Conservatorio. Mi siedo in una poltrona di legno e pelle, fissata su una pedana alta ed appoggio i piedi su un apposito sostegno in ottone, a forma di suola. Per circa dieci minuti il “Bohiaghi” mi pulisce le scarpe e me le lucida. Poi le rilucida, cambiando spazzola, poi mette il lucido e le rispazzola, con una terza spazzola, poi usa un panno morbido. Più che della lucidatura, godo per il massaggio ai piedi, con tanto sfregamento. Arrivati al panno, io capisco che siamo alla fine della goduria, quindi mi risveglio dal letargo per pagare con una “piastra”, equivalente alle nostre 10 lire italiane. Esco dal “bohiaghi” e sono al Conservatorio. E’ una villa grande, a due piani ed un numero incalcolabile di stanze, con un bel giardino ed un maestoso scalone di marmo, ma del Conservatorio, nella sua funzione di scuola, parlerò più avanti.
Facendo ancora capo alla Stazione di “Ramleh”, anziché imboccare la strada per il Conservatorio, mi dirigo verso il “Boulevard di Ramleh”, che per Alessandria è l’equivalente della “Montenapoleone” di Milano. Qua ci sono i più bei negozi della città, dall’abbigliamento ai giocattoli, dal parrucchiere di grido alla pasticceria più famosa. Il Boulevard porta verso un’altra piazza, la “Mohammad Aly”. Questa ultima è ancora più grande di quella precedentemente descritta, la Stazione di Ramleh. Qua c’è il capolinea di tutti gli autobus della città. Da qua, a piedi, si va verso il porto, o si entra al “Suk Kabir”, che traducendo, è il mercato grande d’Alessandria. Questo si snoda in numerosissime strade e stradine, con interi quartieri specializzati per il pesce, per i prodotti ortofrutticoli, per le carni, poi per i tessuti, il pellame, gli ori ed argenti, gli oggetti di bronzo e rame, gli oggetti sacri, antichità e tanto altro, non esclusi gli animali, che vanno dai polli ai conigli, dalle pecore agli asinelli. E’ rumoroso, ma nello stesso tempo affascinante. E’ uno spettacolo di caos e di mescolanze. Gli odori mutano con l’incedere del passo, connubi che vanno dal nauseabondo al profumo di spezie o d’aromi.
All’uscita dal mercato dobbiamo prendere l’autobus numero 42, ma proprio davanti al suo capolinea, c’è una pasticceria specializzata nella “Harissa”. Questo è un tipico dolce egiziano, fatto con il semolino, lo yogurt, zucchero, burro di bufala, pinoli. A cottura ultimata, si sparge il “Giulebbe”, ossia miele, zucchero e un po’ di acqua. E’ squisito ed io non ho il bisogno di fare i capricci per farmelo comprare, anche a costo di perdere l’autobus, che è già pronto a partire.
Dalla piazza inizia la sua corsa anche l’autobus numero 22, che fa tutto il percorso da me già descritto, da un palazzo reale all’altro, lungo la “corniche”, sul mare. A me questo percorso piace moltissimo, ma richiede molto tempo e non si può fare spesso. Qualche volta lo prendiamo ed all’andata stiamo sulla sinistra del bus, lato mare, ma al ritorno ci spostiamo sulla destra del bus………lato mare………………………………………………………………
Non vedevo Mattia, quattro mesi, da una settimana, o meglio, era Mattia che non mi vedeva. Mi ha guardato fisso, senza alcuna espressione e senza alcun abituale sorriso, o risposta ai miei mugolii.
Questa sua serietà nell’esaminarmi, mi ha rattristato e visto l’esito
negativo delle mie smorfie, mi ha fatto sentire tanto “scemo”.
…………………………………Nel periodo in cui abito, con tutti i cugini e gli zii, nella casa di Rond-Point, quella costruita dal nonno, per venire dal centro, dalla stazione di Ramleh, prendo il tram su rotaia, ma quello più piccolo dei due già descritti. Quest’altro tipo di tram, ha sempre due vetture, ma sono piccole, circa sei metri di lunghezza, ciascuna. Gli altri due tram, il Victoria ed il Bacos, viaggiano su rotaia grossa, del tipo da treno ferroviario. I tram più piccoli
viaggiano su una rotaia incassata nel fondo stradale. Le due vetture sono diverse tra loro. La prima ha due piattaforme aperte alle intemperie, una in testa ed una in coda, dove sta il manovratore in piedi, ma l’abitacolo, dove stanno i passeggeri, è chiuso da uno sportello scorrevole. Questa vettura ha i sedili ricoperti di pelle ed è di prima classe. La seconda vettura è completamente aperta ai lati. Vi si accede lateralmente, attraverso due unici predellini, messi lungo i lati della vettura. I sedili sono in legno e sono messi uno dietro all’altro. Questa è la vettura di seconda classe. Il bigliettaio è uno solo e salta da una vettura all’altra, ovviamente senza aspettare la sosta. I passeggeri, spesso salgono o scendono anche loro, tra una fermata e l’altra, senza aspettare che il tram si fermi. Come ho già descritto per il bigliettaio dei tram Victoria e Bacos, anche questo ha una trombetta per dare il segnale di partenza, dopo ogni sosta. Non ricordo il numero del tram, che mi deve portare alla mia casa di Rond-Point, ma ricordo tutto il suo percorso e le fermate.
Parto dalla stazione di Ramleh e vado in leggera salita, verso il Conservatorio, passando davanti ai succhi di frutta, ai crapfen. In fondo alla via, anziché voltare a destra per il Conservatorio, si volta a sinistra e c’è subito una fermata. Mi dilungo un momento a parlare di questa fermata, perché ho un particolare ricordo. Avevo chiesto alla mia mamma di farmi un maglione. Lo avevo espressamente scelto tra tanti modelli. Era grigio, con due strisce rosse, larghe tre centimetri, che partendo dal collo andavano sulle spalle e poi giù nelle maniche, fino a raggiungere i polsi. Era molto bello e la mia mamma ci sapeva fare con il lavoro a maglia, ma io ero timido e quelle strisce rosse mi sembravano troppo sfacciate a portarsi. Un giorno, prendendo il coraggio a due mani, lo indosso, per andare al Conservatorio. All’uscita dal corso, io e Muriel, il mio primo grande amore, del quale parlerò più avanti, andiamo a prendere il tram, alla fermata interessata al ricordo particolare. Qua, aspettando il tram, chiedo a Muriel la sua opinione sul mio maglione. L’opinione è tale, che da quel momento io non tolgo più il maglione di dosso, se non per andare a dormire………………………………………………………….
Mio figlio Massimiliano è laureato in agraria. Ha avuto l’incarico di rivalutare e recuperare la storica “cipolla di Certaldo”. Di questa cipolla ne parla il Boccaccio nel suo Decamerone. Speriamo di ritrovare presto sulle nostre tavole il suo rinomato sapore storico.
……………………………………………Proseguendo con il percorso del tram, passo davanti ai grandi giardini pubblici, all’ospedale arabo,
all’università di medicina, frequentata da mio cugino Alfeo. Qualche altra leggera curva tra i soliti giardini e poi, con una stretta, si arriva al cimitero, dove ci sono le nostre tombe, le persone care defunte. Ora anche sulla destra ci sono altri giardini e siamo sulla Via Aboukir, ma solo per un breve tratto, perché presto l’abbandoniamo, voltando a destra. In questa curva, passiamo davanti al “caracol”, posto di polizia, che ha visto me e la mia mamma, molto spesso, ospiti per le pratiche dei furti dei quali ho parlato all’inizio. In fondo a questo viale c’è una piazza, Rond-Point, che dà il nome al quartiere dove abito. In questa piazza c’è l’ingresso principale degli uffici della Compagnia Delle Acque e c’è il parcheggio dei taxi, con le vecchie FIAT, credo dei primi del ‘900. Ricordo uno degli autisti, un signore italiano di una certa età, corpulento e baffuto, mentre suona la tromba a pera appesa fuori dell’abitacolo, al posto del “clacson”. Dopo la sosta sulla piazza, il tram prosegue in un viale alberato, in leggera salita ed alla prossima fermata, davanti alla fabbrica della Coca Cola, io dovrei scendere, perché sono arrivato a casa, ma proseguo per percorrere tutto il tragitto di questo tram. Così passo davanti all’ex-circolo degli ufficiali inglesi, come già detto, bombardato durante un’incursione aerea nel periodo bellico, supero la Via Manara, percorsa da noi cugini, per le nostre gare ciclistiche, di fronte al cimitero mussulmano. La fermata successiva è davanti all’ospedale italiano e poi, dopo qualche fermata, si attraversa il quartiere di “Hadra”. Questa è una zona malfamata, anche per il fatto di ospitare il carcere e laggiù, in Egitto, è considerato un luogo molto brutto. La corsa del tram termina con il capolinea, davanti al famoso Parco di “Nouzha”, che ospita anche il giardino zoologico ed il nuovo museo di fauna imbalsamata. Il capolinea è sul Nilo, in questo punto, tutt’altro che azzurro. Le sue acque sono limacciose e di colore giallo-marrone. Le “gamusse”, che sono i bufali, con la sola enorme testa emersa dall’acqua, si muovono lentamente. Intorno ai bufali, numerosi bambini giocano, tuffandosi nell’acqua, usando per trampolino proprio la schiena degli animali. La promiscuità e l’aspetto delle acque, non lascia dubbi sullo stato igienico del quadretto………………………………………………………..….
Ieri ho detto a mio padre, che oggi sarei andato al mare. Al mio ritorno ho trovato nella segreteria telefonica ben otto messaggi suoi. Tutti con lo stesso tono: “perché non mi chiami, cosa ho fatto, se ho fatto qualcosa scusami……….” Mi è venuto il sospetto che oltre alla ………..nostalgia, ci fosse anche un po’ di senso di colpa. Devo stare molto attento a cosa mi sta combinando.
…………………………………………….Da questo capolinea passa una delle due strade principali, che portano fuori da Alessandria, verso la capitale, il Cairo. Questo percorso verso il Cairo, attraversa tutta la fertile campagna egiziana, seguendo il corso del Nilo, per circa 360 chilometri. S’incontrano numerose città importanti e tantissimi paesi agricoli. La sede stradale non è molto larga, ma è tanto ombreggiata da enormi alberi di Eucaliptus. Questa strada non ha una viabilità molto scorrevole, perché c’è un continuo passaggio interminabile degli automezzi, che trasportano il cotone dalle campagne verso il porto e viceversa, per ricaricarsi. In questo periodo, l’industria egiziana del cotone è la prima al mondo, sia per la qualità, che per la quantità. Per ventiquattro ore il giorno, gli automezzi scorrono al ritmo continuo di uno ogni trenta metri. Ogni camion è carico di balle di cotone ed in cima ha un guardiano, appollaiato e mezzo addormentato, con il compito di evitare i furtarelli di cotone, durante le soste o i rallentamenti. Purtroppo, molto sovente i guardiani si addormentano anche profondamente e seduti, nell’attraversamento dei sottopassaggi bassi, sono decapitati. Questa norma rientra nei rischi del mestiere, certo non ben pagato e così ogni tanto appare brevemente la notizia sui giornali e si va al prossimo. Non si commenta il grave fatto, non si provvede diversamente.
La seconda strada che va al Cairo, passa per il deserto. Io la percorro spesso in bicicletta, sia nei miei allenamenti, sia nelle gare. Attraversato il Nilo sul ponte di ferro, vado verso l’aeroporto e l’idroscalo. Quest’ultimo è circondato da una strada ad anello, lunga circa dieci chilometri. E’ una strada molto assolata, senza vegetazione, sulla quale a volte si svolgono le gare ciclistiche in circuito. Su questo tracciato ho la bella soddisfazione di battere un famoso corridore, Kamel, proprio nella sua specialità: una gara a cronometro, su un percorso di 100 chilometri. Non era mai stato battuto prima di così. Di quel giorno ricordo i miei passaggi attraverso le tribune del pubblico incitante e dei miei tifosi. Ricordo le facce demoralizzate dei corridori, che partiti prima di me, a due minuti di distanza l’uno dall’altro, vengono da me raggiunti e superati. Il primo di questi è Mario D. , un mio compagno di squadra, velocista eccellente, ma non dotato per le gare a cronometro, che raggiunto tenta di farsi trainare da me, ma la giuria con il megafono lo invita seccamente a staccarsi. Il percorso è silenzioso, fatta eccezione per il tratto dove sono allestite le tribune per il pubblico. Sento le ruote della mia bicicletta calpestare l’asfalto, il ritmo delle mie pedalate. Dietro a me, a 100 metri di distanza c’è la macchina della giuria che mi segue per controllare la regolarità della mia gara. Davanti a me il nastro stradale, grigio, monotono, diritto. Ai due lati acqua paludosa, canneti ed uccelli, che al mio passaggio si alzano in volo nei primi giri, poi si abituano alla presenza dei corridori ed infine si fanno ammirare anche da breve distanza. Io sono occupato a calcolare il numero delle mie pedalate, a mangiare nei tempi prestabiliti, a sentire il ritmo del mio battito cardiaco, ma ho anche il tempo per riconoscere il Martin Pescatore nero, l’Airone grigio, la Garzetta, le anatre varie, dalla Moretta Tabaccata alla Volpoca, alla Sarsella e tante altre. Ogni tanto mio padre, dalla macchina della giuria, che lo ospita, mi urla incitamenti ad alzare il ritmo, a tenere duro. Io, a dire il vero, preferirei stesse zitto, perché faccio già tanta fatica e gli incitamenti mi fanno pensare che stando comodamente seduti in macchina sia molto facile dire: “dai, pedala, vai più forte…………..”. So da me cosa devo fare e sto già spingendo sui pedali, con quanta forza mi rimane. Nel ricordo resta però la soddisfazione di una gara assolutamente vincente e questo era l’obiettivo prefissato.
Oggi non vado verso l’idroscalo, ma verso il deserto e quindi, superato l’aeroporto, imbocco la strada dei laghi salati. A destra ed a sinistra della carreggiata, c’è l’acqua bassa. Canneti sparsi qua e là, spesso nascondono i rifugi per cacciatori. Li chiamano “il barile” e sono dei contenitori metallici cubici, di un metro e mezzo di lato, saldamente appoggiati sul fondo del lago e mimetizzati dai canneti. Dentro sta il cacciatore, accompagnato in barca dal barcaiolo, che collabora alla caccia, andando a far volare le prede verso il cacciatore. Quest’ultimo deve solo sparare, senza alcun merito, anche se poi, a fine battuta, sarà orgoglioso d’aver ucciso cento o duecento anatre……………………………………………...…………………..
Domenica ore 8. Squilla il telefono, mentre siamo ancora a letto, addormentati. Dall’altra parte una signora chiede: “Avete ombrelloni sufficienti per prenotare, o devo portare il mio ?” Al mio silenzio, perché cerco per un attimo di capire, se si tratti di uno scherzo e di chi potrebbe essere a farlo, la signora incalza: “Ma parlo con lo stabilimento balneare…….?” A questo punto mi sono svegliato e rispondo: “Si signora”. Di rimando la signora: ”Allora perché è perplesso ?” Qua faccio la mia carognata: “ Vede signora, è che non so come dirglielo. Qua diluvia, c’è un tempaccio come non si vedeva da anni, piove a dirotto, altro che ombrellone da sole, se va avanti così ci vorranno le slitte. Le consiglio vivamente di rimandare il suo viaggio”. Per decenza ho fatto cadere la linea.
……………………………………Qua la selvaggina è molto abbondante e mentre nel silenzio io passo in bicicletta, spesso capita di far volare uccelli acquatici di tutti i tipi, come già descritto precedentemente per la mia gara ciclistica. Non di rado, la distanza tra me e l’animale è tale, da non spaventarlo, quindi si offre al mio sguardo di passaggio. Capita anche di vedere le tipiche barche piatte da lago, portate avanti silenziosamente dai barcaioli, che stanno in piedi come i gondolieri, spingendo con una pertica sul fondo melmoso del lago. Questo è il paesaggio, che attraverso per i primi quindici chilometri. Subito dopo c’è un passaggio a livello della ferrovia ed inizia il vero e proprio deserto. Il passaggio a livello è sempre aperto, ma io ricordo che una volta, in gara, un corridore lo attraversa, infilandosi sotto le sbarre abbassate, per cercare di avvantaggiarsi ed in quell’occasione, pur rischiando, insieme con altri corridori, lo faccio anch’io.
Il fondo stradale è asfaltato e di buona fattura, perché tutte le strade desertiche sono state realizzate dagli eserciti, nel periodo bellico. Per dei lunghi tratti si vedono sul fondo stradale, delle macchie circolari più scure dell’asfalto. Si tratta di buche riparate, che alloggiavano le mine anticarro. Dopo il passaggio a livello inizia un percorso di sali e scendi, che seguono l’andamento delle dune desertiche. Dopo circa venti chilometri, si arriva ad un primo bivio. Svoltando a sinistra si va verso il Cairo, svoltando a destra si va verso “El Alamein” e Marsamatruh”, due località tristemente note, per le omonime battaglie dell’ultima guerra e per la presenza dei cimiteri: italiano, inglese e tedesco.
Qua mi fa obbligo una parentesi sui cimiteri di questa località.
Il giorno dell’apertura ufficiale del cimitero italiano e della commemorazione dei caduti, la nonna Clotilde è simbolicamente chiamata a rappresentare le mamme di tutti i soldati sepolti ad El Alamein. Io ricordo la deposizione della corona di fiori, sul monumento ai caduti, un autentico carro armato, murato in terra. Ho ancora davanti la visione di tutte le croci poste in terra, ognuna per un caduto, che formano un mare bianco, fino oltre alla possibilità di vedere. Ricordo la tristezza al pensiero di tanta gioventù stroncata inutilmente, sia da una parte, sia dall’altra. Mi è ancora vivo il ricordo della presenza del Conte Caccia Dominioni, fautore di tanta pietosa raccolta. Ha rovistato il deserto per chilometri, con il rischio di saltare in aria, per le numerose mine inesplose e senza distinzione per il colore della divisa del caduto. Purtroppo ho recentemente saputo, che a quest’apolitico personaggio, degno di santità, non sono mai stati riconosciuti i suoi meriti ed anzi, che sia anche morto in disgrazia, in povertà. Chiudo la doverosa parentesi dei miei ricordi e riparto dal bivio, con direzione El Alamein o il Cairo.
Oggi svolto a sinistra verso il Cairo, ma tornerò su questo bivio, per parlare di un’altra località: “Agami”. Appena volto a sinistra, subito inizia una lunga salita, che spesso in gara mi vede attaccante protagonista. Il Cairo dista circa duecentoventi chilometri da qua, ma prima s’incontrano varie oasi e con successivi bivi, si può deviare verso altre località desertiche……. …………………………………………
Oggi, avendo appuntamento con mio figlio, che doveva venire a prendermi sui viali, con la sua macchina, lo stavo aspettando in piedi, al bordo della strada. Una macchina si ferma e il guidatore mi chiede:”Ha un posto per me ?” Capisco subito che sono stato scambiato per un posteggiatore e rispondo :“ Faccia qualche giro della piazza, perché il proprietario di questa macchina sta per arrivare a prenderla”. Non so come sia finita la cosa, perché intanto che il signore girava con la sua macchina……………..è arrivato mio figlio.
…………………………………………. La prima oasi è “Amreia”. Non è certo la più bella, ma è quella che sta proprio sulla strada principale per il Cairo, poi è la prima che s’incontra. A questa ho legato il ricordo di una bellissima giornata passata con i cugini Roberto ed Alfeo, accompagnati dallo zio Aldo. Lo zio ha un giorno di ferie da recuperare e ci accompagna a questa gita, con il furgone della sua ditta. E’ un qualsiasi giorno della settimana e già questo fatto insolito ci riempie d’euforia. La giornata culmina con un pranzo a base di “ful”, fatto in una taverna di beduini. Per noi ragazzi è il massimo della trasgressione, perché i nostri genitori, per ragioni igieniche, non ci avrebbero mai portato a mangiare in quel luogo. Lo zio, più spregiudicato, lo fa e noi ne godiamo. La taverna ha pareti di fango ed è coperta con un tetto di foglie di palma da datteri, che lascia trasparire la luce riflessa in terra. Il pavimento è in terra battuta, ma non troppo. I tavoli e le panche sono molto grezzi e rudimentali. I frequentatori del locale, sono tutti beduini e uomini, ma pur non essendo abituati ad avere la compagnia di “stranieri”, sono cordialissimi e premurosi. Uno dei presenti, quello che sembra essere il capo dell’oasi, alla fine del nostro pranzo, ci offre il tè alla menta, fatto alla beduina. Questo è un gesto molto significativo, che noi ragazzi non sappiamo apprezzare, ma a distanza d’anni mi ha fatto molto pensare.
A trecento metri prima di “Amreia”, una deviazione verso destra, porta a “Bahig”. Da questo bivio ci sono circa trenta chilometri di piatto deserto e poi si arriva alla nostra oasi per eccellenza. E’ a Bahig, che nel periodo della caccia aperta, andiamo la domenica, molto spesso. La famiglia è al completo, con tutti gli zii, la nonna, i nipoti delle varie generazioni, oltre ai numerosi amici, che si aggregano a noi. L’appuntamento è al bivio di “Amreia” e là si forma la nostra colonna d’auto. Io, spesso, ritorno dall’allenamento e anziché avviarmi verso Alessandria, proseguo per “Bahig”, arrivando a volte, prima delle auto. L’oasi è molto verdeggiante. La maggior parte degli alberi sono Eucaliptus, ma ci sono anche molti profumatissimi fichi. I beduini ci danno il benvenuto e ci accolgono sempre con l’offerta del “sciai naanaa”, ossia il tè alla menta. E’ un tè tenuto in continua ebollizione per giorni, quindi molto scuro ed amaro, ma profumato alla menta. Non è possibile rifiutarlo, perché sarebbe uno sgarbo all’ospitalità, così anche chi non è appassionato, è costretto a berlo. Nel frattempo le signore del nostro gruppo posizionano l’accampamento all’ombra e comprano dalle beduine le uova, i fichi, gli uccelli da fare alla brace, i polli ruspanti, eccetera. La tavolata è enorme e ben imbandita. Chi ha portato il pasticcio di pasta, chi il riso al forno, chi le salsette varie. Sta di fatto che io, il rinomato mangione del gruppo, a turno, mi rifornisco da tutti e di tutto. All’apertura dei cocomeri inizia la battaglia, con i lanci, mai apprezzati dalle nostre mamme, anche perché più di una volta sono colpite involontariamente. .……………………………………….……………
Mio nipote Mattia è “ da mangiarsi di baci “. Lo dicono tutti. Prendendo spunto da questo, l’ho fotografato nudo, dentro ad una teglia, con tante patate intorno ed un ciuffo di foglie d’alloro in mano. Ho spedito via posta elettronica la foto agli amici, invitandoli per una cena. Hanno tutti capito trattarsi di uno scherzo e mi hanno tutti risposto simpaticamente a tono.
…………………….……Nel tardo pomeriggio riprendo la mia bicicletta e mi avvio verso Alessandria. Gli altri partiranno più tardi in auto.
Volendo andare fino al Cairo, anziché voltare a destra per Bahig, occorre andare diritto verso Amreia ed oltrepassarla. Si va sempre diritto, senza fare nessuna deviazione. La strada è molto monotona, assolata, piatta. Si passa per Mareopolis, ma non ci si accorge di farlo, perché è una località priva di segnaletica e di punti di riferimento, o di particolari diversi. Mio padre, da giovane ha fatto un “grande investimento” qua…………. Pare che abbiano venduto degli appezzamenti di terreno, con l’idea di rivalutarli, con opere di bonifica, di edificazione. Non so come si sia solo pensato di bonificare un deserto, ad ottanta chilometri dall’acqua più vicina e senza alcuna caratteristica d’attrazione turistica, o commerciale, o abitativa. Così mio padre, ancora oggi sarebbe proprietario di qualche sasso desertico e di un pezzetto di terra, buono ………...per prendere il sole e cacciare lucertole desertiche.
Oltrepassando Mareopolis, come già detto senza accorgersene, si arriva al Rest-house. E’ un edificio posto a metà strada tra Alessandria ed il Cairo, equivalente ai “Grill” autostradali europei di oggi. E’ un posto di ristoro fornito di bar, gabinetti ed acqua corrente. Questa è portata con le cisterne, perché siamo molto lontani, in chilometri, da altre possibilità più naturali. Proseguendo si arriva al Cairo, ma prima, in lontananza, appaiono le tre Piramidi di “Ghiza”, che non è una lega metallica, ma semplicemente il nome della località dove ci sono: la Sfinge e le tre Piramidi di Cheope, Chefren, Micerino. Non mi dilungo su queste bellezze, perché esiste numerosissima letteratura in materia, ma riparlerò della zona, che mi ha visto primo al traguardo di un campionato egiziano di ciclismo.
Ripasso ancora dal precedente bivio, quello per andare o al Cairo, o ad El Alamein. Questa volta arrivo in “pullman”, con il gruppo dei parenti e degli amici. Abbiamo noleggiato due automezzi, ciascuno dei quali porta circa trenta persone. La meta è la spiaggia di Agami. Questa volta al bivio ci arriviamo da un’altra parte. In questa occasione non usciamo da Alessandria passando per l’aeroporto ed i laghi, come precedentemente da me descritto, ma transitiamo davanti al porto navale, all’altro capo della città, proseguendo poi per il “Mex”. Quest’ultimo è il quartiere industriale di Alessandria, collegato con il porto commerciale. Ovviamente non è molto bello, anzi non lo è per nulla, anzi fa schifo. Tutte le industrie sono localizzate qua: da quelle del cotone, alle officine meccaniche e chimiche, alle saponerie, alle concerie e tante altre. Gli edifici sono generalmente fatiscenti, le strade spesso sono sterrate e polverose, o con tante buche paragonabili a voragini. L’odore prevalente è quello delle concerie, misto alla gran polvere sollevata dagli automezzi industriali. Ecco perché difficilmente si esce da questo versante, per raggiungere il deserto.
Ad ogni modo oggi oltrepassiamo il Mex e ci troviamo su un’altra strada dei laghi. Questi, a differenza di quelli già precedentemente descritti, prendono il nome di “laghi”, solo perché in origine lo erano. Oggi non si vede più l’acqua, ma solo un’immensa distesa di sale bianco. So per esperienza di mia cugina Ida, che sotto la fragile crosta di sale, si nasconde un insidioso strato profondo di fanghiglia, del tipo sabbie mobili. Ida, durante una sosta, per prendere un suo ciondolo scivolato sulla crosta di sale, s’impantana e se non fosse prontamente aiutata ad uscire, forse oggi sarebbe ancora là, esempio di bellezza salata…………………………………………………………………
Oggi ho iniziato un fitto colloquio epistolare, con mio figlio Marco. Avevamo già un bel rapporto, ma siccome entrambi, parlando a voce, sentiamo il bisogno d’interrompere…...mentre gli altri parlano……….. per posta elettronica si possono dire più cose e si può ascoltare meglio. L’idea è piaciuta molto anche a lui e la conversazione è molto interessante.
…………………………………………Proseguiamo per questa nuova strada dei laghi ed arriviamo al bivio già descritto. Oggi svoltiamo a destra, verso El Alamein. Dopo una trentina di chilometri circa, svoltiamo ancora per andare verso il mare. Ci sono molti alberi di fichi, piantati nella sabbia del deserto. Molti beduini offrono i frutti in vendita e così prima di arrivare alla spiaggia, l’acquisto è d’obbligo. Sono fichi di colore chiaro, ma sono di un profumo ed una squisitezza tali, che ancora oggi ho il ricordo per non averli mai più mangiati così. Si arriva ad Agami. Si scende tutti dai “pullmans”, con gli ombrelloni, i tavolini, le sedie a sdraio, i palloni, i giochi vari e ci s’incammina in salita sulle dune. In cima alle dune, chi non è mai venuto ad Agami, si ferma di colpo per capire se si tratti di un sogno, o di una realtà. Davanti a noi appare una spiaggia che è larga circa cinquanta metri ed è lunga per chilometri e chilometri. Non si vede neanche una persona, che non sia del nostro gruppo appena arrivato. La sabbia è bianca e fine, come fosse di sale. L’acqua del mare è verde corallo, con le sfumature più chiare dove è meno profonda. Qualche piccolissima onda……….rompe la ………..monotonia del colore fondamentale, con le sue creste bianche. Il termine “inquinamento” ancora non è stato inventato……………………………..
Tutti i componenti del gruppo sono imbarazzati nello scegliere dove fermarsi: dieci centimetri più avanti, o quindici chilometri più a sinistra ? Scherzi a parte, ci troviamo in uno dei pochi posti da sogno al mondo. Apriamo i nostri ombrelloni, perché qua, anche passando la giornata all’ombra ci si scotta, con l’implacabile riverbero della sabbia e del mare. Lo zio Sandro ha portato una tenda da campeggio e noi ragazzi lo aiutiamo a montarla. E’ una tenda quadrata, molto utile, perché consente un riparo dal sole, ma si decide di tenerla aperta lateralmente, per avere il vento fresco. Mio padre inizia subito gli scherzi. Liliana, una ragazza del gruppo, ha espresso il desiderio di non bagnarsi, ma mio padre la solleva di peso e va a depositarla in acqua. Qualcuno non apprezza lo scherzo, ma la giornata deve essere matta e si va avanti tra frizzi e lazzi. Dopo circa un’ora dal nostro arrivo, sulle dune si affaccia un soldato, in piena tenuta da guerra. Rimane accovacciato dietro la duna, per circa dieci minuti, osservando tutti i movimenti del gruppo. Sembra giocare alla guerra o essere molto incuriosito. Poi, improvvisamente viene verso noi. Veste pesanti scarponi neri, calzettoni di lana fino al ginocchio, pantaloni corti di lana, camicia pesante da uniforme estate/inverno, il “tarbush”, copricapo tipico egiziano, cilindrico di colore rosso. Sul “tarbush” è soprammesso un ulteriore panno, che calando sugli orecchi e dietro alle spalle, dovrebbe proteggere dai venti del deserto, mentre una piccolissima visiera dovrebbe proteggere dal riverbero della luce. In mano ha il suo fucile d’ordinanza. Fin dal primo momento si capisce che ci vuole far vedere la sua autorità. Arriva nel mezzo al gruppo e ci ordina di smontare la tenda, perché, dice: il Corano non consente atti di libidine. Qualcuno cerca di spiegare che siamo tutti una famiglia e persone serie, ma che soprattutto la tenda è stata legata per restare aperta. Per tutta risposta il militare mette al suo fucile, il colpo in canna, con aria minacciosa. Capiamo subito che si tratti di un fanatico e che ogni nostro ragionamento non potrebbe essere capito. Smontiamo la nostra tenda in sua presenza e finalmente si allontana, per andare a stare sulle dune, sotto il sole, fino alla nostra partenza. Con centinaia di chilometri di spiaggia, proprio qua doveva capitare questo signore? Se si fosse fermato venti chilometri più in là, non ci saremmo mai conosciuti………………………………………………….……
Silvana è molto sensibile alle buone maniere. Oggi ero spaparanzato alla televisione e visto che lei stava andando verso la cucina le ho detto: “Berresti un bicchiere di fresco succo di carota, come farei io se tu me lo portassi ?”
………………………………….Tutto quanto detto su Alessandria è legato ai miei ricordi di vita vissuta. Non voglio parlare della città in sé, come luogo di visita culturale o turistica, altrimenti dovrei fare un lavoro specializzato, di guida. Prima di chiudere il discorso su Alessandria, voglio solo citare la presenza storica della Grande Biblioteca Internazionale, voluta da Alessandro Magno, oggi patrimonio sotto la tutela dell’UNESCO; il famoso Faro, oggi inesistente e solo un leggendario mito.
Gli studi.
I miei studi iniziano all’asilo delle Suore di “Maria Ausiliatrice”. In verità iniziano male, perché c’è subito incomprensione reciproca, tra me e la superiora, Suor Adelaide. Essa pretende che io, bambino vivace ma piccolo, non cerchi di attraversare le barriere poste per separare le bambine dai maschietti. Quale ostacolo può rappresentare per me una siepe ? Io passo di sotto e mi si apre un paradiso proibito. Una volta dentro sono l’unico gallo del pollaio e sono subito attorniato curiosamente dalle bambine. Io ormai ci sono abituato, ma le suore non vogliono abituarsi e mi “catturano”sempre, mettendomi in castigo. Il susseguirsi di castighi non funziona con me, quindi la Superiora, in tutte le ricreazioni, fissa il mio grembiulino bianco alla sua tonaca nera, con uno spillo da balia. Io tento di spiegare che la mia mamma mi sgriderebbe, se trovasse il mio candido grembiule, macchiato dal nero della tonaca, ma io non convinco nessuno. Così ricordo le nostre lunghe passeggiate per il cortile, di me trascinato da una lunga tonaca, mentre io, con le mani dietro la schiena e la testa in avanti, imito il passo della Suora, non tanto per burla, quanto per riuscire a starle dietro. Qua subito voglio abbandonare gli studi, ma mi spiegano che è ancora troppo presto: dopo l’asilo ci sarebbero altre classi………………………………………
Oggi sono andato da mio padre per passare una mattinata insieme, in distensione. Ho voluto riguardare i suoi conti ed ho scoperto, che ancora una volta ha speso seimilioni di vecchie lire in ventiquattro giorni. Non sa giustificare la spesa. Sono molto preoccupato, perché temo che qualcuno lo ricatti o lo stia sfruttando. Penso che dovrei andare alla Polizia, per mettere un preallarme.
…………………...Bene o male, anzi molto male, io attraverso il periodo dell’asilo obbligatorio ed approdo alla Prima elementare. Con mia somma gioia, per punizione sono trasferito all’ “Istituto Don Bosco”, dai salesiani, con soli uomini e senza più le insopportabili suore. Qua ho tantissimi ricordi, ma andando per ordine di tempo, incomincio dalla prima elementare. L’insegnante è l’unica donna dell’istituto, che noi non sappiamo come si chiami, perché per noi è la “Signorina”. E’ una donna alta, almeno paragonata a noi, con i capelli grigi raccolti sulla nuca ed è grossa tre volte il necessario.Veste sempre un grembiule nero, come noi, solo che il nostro è più piccolo. Tralascio tutto quello che imparo in questa classe, perché è troppa cosa: le aste, i pronomi inglesi e francesi, i numeri…….. Alla fine dell’anno scolastico sono promosso e nel seguente vado a fare la seconda, con il Maestro Alleggretta. E’ un signore magro, e basso. Ha capelli arruffati, “a pazzo”, diceva mia mamma. Porta gli occhiali da presbite, che alcuni di noi ritengono gli consentano di vedere da dietro, chi si comporta male, mentre lui è voltato verso la lavagna. Questa teoria è confermata dal fatto, che quando si volta, prende sempre quello giusto e molto spesso prende me. E’ molto severo e non è solo la nomea, ma ha anche la reputazione d’essere molto bravo. Nell’intervallo, durante la ricreazione, Alleggretta si trasforma in venditore di ottimi panini, per incarico ufficiale. La sorpresa viene nei giorni di festa, quando al teatro dell’Istituto si danno le commedie. Qua il Maestro diventa un’altra persona. E’ un primo attore, che non disdegna la comicità anche fisica, nel comportamento in scena. Le risate, gli applausi, i consensi lo fanno grande ai nostri occhi e ci vantiamo per averlo come insegnante. Il giorno dopo, a scuola, pur tentando noi di corromperlo con gratificazioni e lusinghe, tronca ogni nostro commento e ritorna il severo Maestro di scuola.
Premesso che effettivamente io sono vivace, o meglio un rompiscatole, un giorno chiedo di andare al gabinetto ed il maestro mi rifiuta il consenso. Lo richiedo più volte e sempre me lo nega. Alla fine, non per dispetto, ma con grandissima mia vergogna, mi faccio la pipì addosso. Ricordo ancora la pozza in terra e gli sguardi dei miei compagni, ma qua chiudo subito pietosamente l’argomento.
In terza elementare passo l’esame per l’accesso alla quarta e sono promosso. Così arrivo in quinta e passo all’esame di Stato per l’accesso alle Medie. Nel frattempo seguo la preparazione per la Prima Comunione. Vado al catechismo con tutti i miei compagni e forse per il lavaggio del cervello, ma mi sento pronto……..alla Santità. C’è il rovescio della medaglia. Non posso più fare le marachelle, non posso più essere vivace. Sono sempre ricattato, mi sento castrato. Mi si dice sempre: “…….. un bambino in preparazione alla Prima Comunione, non si comporta così, non meriti la Prima Comunione………” Decido di rinunciare alla Santità e dopo la Prima Comunione, saranno pochissime altre, in tutta la mia vita. L’ultima è stata l’anno scorso per errore. Vado a trovare una comunità e ad un certo punto i membri vanno in Chiesa per la Messa. A me piacciono le cerimonie, a volte vado anche alla Chiesa Ortodossa, per vedere il loro rito, quindi entro in Chiesa anche io, pur non essendo né osservante, né credente. Nei gesti e nel progredire della Messa, non riconosco più, dopo tanto tempo, il classico rito che si teneva all’Istituto Don Bosco. Così ad un certo punto vedo apparire un canestro, con dentro delle schiacciatine o cosa simile. Vedo tutti i presenti staccare un pezzetto e mangiarlo con appetito, fino a che il canestro arriva a me. Assaggio un pezzo e per la verità ritengo sia buono. Non mi vergogno di approfittare e continuo a mangiarne avidamente, data l’ora. Silvana che è accanto a me, mi spiega trattarsi della Comunione e mi consiglia di posare il panierino. Confesso che sono rimasto male, per molte ragioni, tra le quali: la Comunione la faccio se voglio e le schiacciatine, se mi piacciono, me le lasciate finire.
Il giorno della Prima Comunione rimane sempre vivo nella memoria, non per l’importanza, ma per la festosità. La festa poi è doppia, perché il sacerdote che celebra la messa è “consacrato” (credo si dica così) tale, proprio in questa circostanza, con tutti i canti ed i riti per la circostanza particolare. Poi si passa subito alla colazione nel refettorio, a base di caffelatte e panini a volontà. Il vestito nuovo dell’occasione e la fascia bianca al braccio, sono visibili nelle numerose fotografie ancora in mio possesso. Il sagrestano, Don Regis, con l’eterna bava alla bocca ed il suo lercio fazzoletto, gira tra i tavoli, per vedere se mangiamo abbastanza……………………………..
La ragazza “badante”che accudisce a mio padre oggi mi ha raccontato un altro episodio allarmante. Pare che stando seduti sulla panchina, ai giardini, siano stati avvicinati da un “pataccaro”. Ha offerto un anello di brillanti a mio padre, che ha accettato di trattare, fino ad arrivare a prenderlo. A questo punto si è intromessa la ragazza e lo ha mandato via. Evidentemente l’anello non era destinato alla ragazza, o non era di suo gusto. Allora a chi sarebbe stato destinato l’anello ? A quella fantomatica donna che sta mangiando a mio padre i tre milioni al mese, che lui non sa giustificare ? E’ mai possibile che a 94 anni mi debba fare impazzire così ?
………………………………...Le ricreazioni fanno parte degli studi fatti al Don Bosco. In questi intervalli i nostri giochi preferiti sono la “Palla avvelenata”, “Bandiera lunga”, “Staffetta”. Nei tre giochi io sono spesso uno dei prescelti, per il mio scatto e la velocità. La Palla avvelenata si svolge così. Nel mezzo al cortile c’è un tombino, con numerose feritoie allungate e parallele tra loro. Serve per la raccolta dell’acqua piovana, ma noi ci attribuiamo a ciascuno una feritoia, scrivendo con il gessetto la nostra iniziale. Da una certa distanza ravvicinata, si avvia una palla da tennis, verso le feritoie e la stessa si arresta su una di queste. Il titolare della feritoia deve prendere velocemente la palla e colpire uno degli altri giocatori, che nel frattempo scappano. Il trucco consiste nel non scappare subito, ma con riflessi pronti scappare se occorre, con immediata velocità e zigzagando. Poi quando ti crei una certa fama di velocista, gli avversari cercano altri giocatori da colpire e non te, ergo: io perdo molto raramente. Il giocatore che non colpisce un avversario con la palla, perde un punto. Viceversa il punto lo perde chi è colpito. A dieci punti il malcapitato è messo al muro e preso a pallate, a turno dieci per ogni giocatore. Qua sono guai e lividi, perché la nostra cattiveria si sfoga.
Il gioco della Bandiera lunga consiste nel formare due squadre di giocatori avversari. Tutti appoggiati al muro, in fondo al cortile, una squadra sta sulla destra, l’altra sulla sinistra. All’altro capo del cortile, un ragazzo neutrale, sta al centro tra le due squadre, con le braccia alzate ad angolo e regge due cenci di diverso colore, uno per ogni squadra. A turno, un giocatore prescelto segretamente dalla squadra deve partire. L’obiettivo è di prendere il cencio, la bandiera, della propria squadra e riportarlo indietro alla base. Tutti i giocatori dell’altra squadra devono acchiappare il fuggitivo, che nel punto esatto in cui è toccato, si deve fermare prigioniero. La seconda squadra ripete la precedente operazione e quando è ancora il turno della prima squadra, il nuovo giocatore partente, al suo passaggio verso la bandiera, toccando i compagni immobilizzati, li può liberare. In questo gioco, molto spesso sono io che zigzagando tra i giocatori immobili, riesco a portare la bandiera in campo.
La staffetta consiste sempre nel formare due squadre di corridori. Ad un segnale preciso, ogni squadra fa partire contemporaneamente un suo corridore, con un fazzoletto in mano. I due antagonisti partono ciascuno dalla sua base, che ha per capo un albero. Tra questi due alberi ci sono altri cinque in fila, che noi usiamo da spartitraffico tra il percorso dell’andata e quello del ritorno. I contendenti si rincorrono girando nello stesso senso, fino a che un corridore di una squadra raggiunge l’altro e con una solenne pacca sulla schiena, fa terminare il gioco. Ad ogni giro completo si cambia corridore, passando il fazzoletto al seguente. Spesso capita, che essendo vicini alla vittoria, io non passi il fazzoletto e raddoppi il mio percorso…………...
Le zanzare sono intelligenti. Hanno scoperto che ci vedo poco, così mi pizzicano e vanno ad appoggiarsi nelle parti alte delle pareti, in modo da essere fuori della mia capacità visiva.
……….Altri giochi praticati alle medie, sono: il calcio, la pallacanestro ed i pattini.
Al termine d’ogni anno scolastico, c’è la giornata delle gare. Ci s‘iscrive e si partecipa alla o alle gare prescelte. Io m’iscrivo a quella della corsa a lunga distanza. Si devono percorrere tre giri del cortile. Ancora non sono emerso come corridore e quindi le mie quotazioni sono basse. Il vincitore pronosticato è solo Dodo. E’ lui che forma sempre le squadre, quello che sa correre, il “Capo”. Alla partenza siamo in tanti. E’ una gara molto sentita. Ci danno il via ed io parto subito in testa. Il percorso è lungo e la selezione è forte. In breve tempo rimaniamo in testa io e Dodo, ma all’inizio dell’ultimo giro lui è sicuro di vincere ed allunga il passo, per un po’. Io timidamente gli sto dietro, ma quando vedo che lui rallenta ed io sono meno stanco, allungo io. Arrivo primo al traguardo, con un vantaggio di una decina di metri e con l’osanna dei compagni, che hanno trovato un nuovo idolo, un secondo “capo”. Da questo momento io e Dodo, stringiamo un patto d’amicizia, ma forse per la reciproca vigliaccheria di non volersi confrontare direttamente. Particolare interessante è che, per pura coincidenza, è incaricato della mia premiazione il Maestro Cordone, che al momento è anche il mio insegnante di pianoforte.
Tra i diversivi del tempo libero, c’è la partecipazione al gruppo degli “Scouts”. Alleggretta, ormai non più mio insegnante, è uno dei capi, ma il “Più Capo”, come lo definiamo noi, è Don Giovine, insegnante di matematica in seconda e terza media. Di Don Giovine devo parlare un po’, perché oltre ad essere l’insegnante della mia materia preferita, è un salesiano allegro, molto dinamico ed estroverso. E’ lui che ha l’idea di creare il gruppo “scout”, di organizzare le cacce al tesoro, o i raduni, o le gite esterne al collegio. Tra queste gite la più importante è quella alle Piramidi.
Il gruppo parte in treno per il Cairo ed all’arrivo, alla stazione, siamo accolti da un salesiano del locale Istituto. Ci offrono la cena ed andiamo tutti a dormire nel teatro, su letti di fortuna. Con il beneplacito di Don Giovine, si scherza fino a tarda notte e lui con noi. Al mattino seguente ci aspetta una levataccia, dopo la veglia della sera precedente, ma è necessario partire presto, dato il nutrito programma stabilito. Dopo l’abbondante colazione, a base di caffelatte e panini, l’autobus dell’Istituto ci porta alle Piramidi. Già da qualche chilometro incominciano a stagliarsi le sagome lontane. I lazzi, scherzi, gridolini, scompaiono per dare spazio al nostro silenzio d’ammirazione. E’ la prima volta che la maggior parte di noi vede le Piramidi e dopo averne tanto sentito parlare, quantomeno il rispettoso silenzio è d’obbligo. Più ci avviciniamo e più si ingrandiscono, ma solo quando siamo ai loro piedi, ci rendiamo conto della grandiosità. Ogni loro masso è alto come uno di noi ragazzi. Alziamo lo sguardo verso la cima, tentiamo di contare le file di massi, ma ne perdiamo il conto………………………………….…
La tazza del WC si è incrinata ed oggi è stata sostituita con una nuova. Silvana voleva andare ad inaugurarla, ma l’ho fermata. Prima ho preparato il nastro dell’inaugurazione, con la carta igienica, poi lo abbiamo tagliato ed a quel punto ho scattato le foto.
……………………………..Nel frattempo Don Giovine organizza la visita all’interno ed iniziamo la salita, nel cunicolo che porta alla camera centrale, della Piramide di Cheope. Tralascio le spiegazioni storiche e turistiche, perché non sono degno di farlo.
Ritornati all’aperto, Don Giovine ci riserva una sorpresa. Si toglie la tonaca e c’invita, chi lo volesse, a salire con lui, esternamente, fino alla cima. Si toglie la tonaca………capite? Si toglie la tonaca. Per noi è una grossa sorpresa, è quasi il simbolo dello spretarsi. Non avevamo mai visto un salesiano in abiti civili. Per noi il salesiano era nato con la tonaca, senza sarebbe morto ? ……………………………….
In una fermata dell’autobus, frequentata abitualmente da studenti, oggi ho letto due battute che riporto.
- La verginità è come la briciola di pane: passa un uccello e la porta via.
- I ragazzi sono come i cessi: i migliori sono occupati.
…………………………………...Io soffro di vertigini e non posso seguire il gruppo dei grandi, perciò scelgo di andare a cavallo e lo faccio. La mia cavalcata di un’ora intorno alle Piramidi, rimarrà scolpita nella memoria, fino a che io vivrò. E’ un cavallo arabo, marrone scuro, con le zampe lunghe, nervoso a sufficienza per renderlo piacevole, ma non pericoloso. Il beduino, suo proprietario, m’incita ad andare da me ed a prendere confidenza con il cavallo “Kabir”, tradotto in italiano “Grande”. Non me lo faccio dire due volte e diventiamo subito un’accoppiata amorosa. E’ triste doverci separare, quando il gruppo ritorna dalla salita alla Piramide. I compagni riscesi raccontano che la cima dal basso appare a punta, ma sopra è una larga piattaforma quadrata. La salita, è stata stancante, ma sopportabile, mentre la discesa è allucinante, fa paura guardare verso il basso. Sono contento di non essere salito, le mie vertigini avrebbero creato seri problemi. E’ un peccato non aver potuto compiere la salita, perché dall’alto la vista spazia su tutto il Cairo. Pazienza, non si può avere tutto.
Al rientro ad Alessandria, il Professor Bandino, nostro insegnante di lettere, quale tema pensiate proponga? “Visita alle Piramidi- Effetti, giudizi …………….” Banale e senza fantasia. Avrebbe potuto proporre: Descrivi quanti panini hai mangiato in gita, oppure perché sei tornato a scuola visto che fuori stavi bene, e tanti altri temi simili.
In un lampo accenno al ricordo di tutti i personaggi, che fanno parte di questo mio periodo di studi. Il professor Renauld, insegnante di ginnastica, patito di cultura fisica e della disciplina agonistica. Ha una figlioletta di tre anni, che fa i volteggi e l’equilibrio sulla trave, da lasciarci senza fiato. Don Pasero, salesiano molto anziano, ma severo, sempre con il naso gocciolante, per il continuo uso di tabacco da fiuto. E’ il nostro insegnante di lettere e di Latino, in terza media. Don Trivero, salesiano appena arrivato dopo un trasferimento, molto severo, al punto che ci si chiede perché lo abbiano mandato a noi. E’ il nostro insegnante d’inglese e tiene molto alla pronuncia, si sofferma sulle cadenze. Devo però riconoscere, che mi ha insegnato parecchio. Il professor Maurice, insegnante di francese, sempre con la giacca bianca, che ormai è quasi grigia, sempre sudato, la camicia rattoppata sul collo, insomma un disgraziato tanto bravo. Il professor Murad, insegnante di arabo, che ho continuato a sognare nei miei incubi notturni, fino a qualche anno fa. Parla solo in arabo, è patito delle letture e dei dettati, ma non riesce simpatico a nessuno. Don Faoro, il Preside, nostro terrore, perché andare da lui significa una nota sul diario. Io ne prendo parecchie, ma i miei genitori ne vedono poche. Don Faoro fa le note, ma non approfondisce se le firme dei genitori sono o no autentiche e le mie imitazioni sono di pregevole qualità…..…………….
Oggi è venuto a casa mia Tony, l’amico albanese. Ha per me un’adorazione, per quel poco che ho fatto ad aiutarlo. Ha saputo della mia operazione al cuore ed è rimasto male. Io mi sono fatto trovare sdraiato in poltrona, con la bocca aperta, gli occhi stravolti, con una larga e vistosa fasciatura al torace, fatta con la carta igienica macchiata abbondantemente di rosso all’altezza del cuore. Silvana mi ha tenuto la parte dicendo, che la ferita sanguina ancora. La scena deve essere stata cruenta e catastrofica, perché il ragazzo è rimasto senza parole. Mi sono dovuto alzare alla svelta, altrimenti l’infarto lo faceva lui.
……………………………………………...Don Murro, è il prefetto e segretario generale, ucciso da un colpo di tagliacarte, infertogli da Mahmud, il nostro portiere e guardiano, in un tentato furto. Il custode Mahmud è molto attento al nostro ingresso ed uscita da scuola, ma poi si rivela un ladro ed un assassino, con nostra delusione e tristezza. Don Treviso, per un certo periodo è il nostro severo prefetto, che ci accompagna anche sull’autobus della scuola, sia prendendoci da casa, sia riaccompagnandoci. In una di queste gite verso casa, mi sequestra un giornaletto a fumetti, perché in una figura appare la protagonista in costume da bagno. Francamente io fino a questo punto, non la guardo con malizia, cosa che faccio in seguito, ricomprando il solito giornaletto, per vedere il perché del ritiro. Ho anche il sospetto che il giornaletto…….piaccia a lui, ma non potendo farselo prestare, me lo requisisce.
A proposito di autobus dell’Istituto. Ce ne sono due, atti al recupero degli studenti da casa ed al riaccompagnamento serale. Uno è più piccolo, l’altro molto più grande, da cui il nostro appellativo “il Piccolo” ed “il Grande”. Entrambi sono stati realizzati dal reparto apprendisti artigiani. Io viaggio sempre con il “Piccolo”, che fa il giro passando da casa mia. Mio compagno di viaggio è Benetti, studente di terza media, mentre io sono di prima. E’ un eccellente narratore di storie. Va regolarmente al cinema a vedere film di avventure ed il lunedì inizia a raccontarmi le trame. Non si potrebbe parlare sull’autobus, ma tra un “silenzio laggiù” e l’altro, lanciati da Don Treviso, Benetti mi racconta “I tre moschettieri”, “Il Fantasma dell’Opera”, “la maschera di ferro” e tanti altri. Racconta così bene, che lascia in ansia sul susseguirsi degli episodi e non di rado sono sollecitato a scendere dall’autobus, non essendomi accorto d’essere giunto a casa.
Tra i personaggi che frequentano occasionalmente la scuola, non posso dimenticare il Console italiano, il Conte Spechel. Figura altissima, sempre con il monocolo all’occhio, al punto che noi ci chiediamo, come faccia a lavarsi il viso. Suo figlio, studente del liceo, più alto del padre, viene a scuola guidando la Topolino, con il tettino aperto e con la testa al di sopra della macchina. Vederlo entrare ed uscire dalla macchina è uno spettacolo, che pur essendo abituati, cerchiamo di non perderci mai.
Tra i personaggi di passaggio, riceviamo la visita del Re Umberto, ormai deposto, Del Re Vittorio Emanuele III, deposto ancora prima del precedente, i due discoboli Consolini e Tosi, in occasione dei primi giochi del Mediterraneo, che si svolgono ad Alessandria. Sempre in quest’occasione anche i fratelli D’Inzeo, passano in rassegna la nostra classe, durante l’ora di ginnastica. Sempre con l’occasione, il Professor Dally, nostro insegnante di disegno, ci accompagna alle gare di ippica, e fa gli schizzi dei cavalli, che mi lasciano stupefatto. Sono immediati. Due tratti danno subito l’idea dell’animale, del salto, della plasticità. E’ una bella lezione d’arte………………………………....
Dopo il crollo delle Torri Gemelle di New York, si vedono fantasmi dappertutto. Abito vicino alla Sinagoga di Firenze. Oggi un aereo, del tipo Fortezza volante, è passato molto basso sulle case. Il suo rumore era impressionante. L’ho sentito arrivare da lontano, ma fino a che non è passato via, ho temuto un botto. Domanda: perché passano così bassi gli aerei, attraversando la città ?
…………………………..Dei miei compagni di classe alle medie, elenco solo qualcuno. Aly, lo spilungone, il bellone, è figlio di un ufficiale dell’esercito egiziano. Amante, un figlio di papà, viziato e danaroso, che sbatte sempre in faccia le sue possibilità economiche, o quello che fa di conseguenza. Nani, uno spilungone, molto allegro e sempre pronto a ridere, in particolare quando muove contemporaneamente gli orecchi ed il cuoio capelluto. Bottari, figlio di un medico, sicuramente oggi segue le orme del padre. E’ molto attento, per benino, bravo, ma soprattutto ha una sorella bellissima. E’ molto suscettibile e su questa sorella non possiamo dire nulla. Ettari, il biondissimo, è il mio compagno di banco. E’ vivacissimo, bravo ed intelligente. Ha una situazione del tutto particolare: è uno di tre fratelli orfani di padre. La mamma vive a Porto-Said ed i ragazzi sono in collegio, come “interni”, ossia vivono l’intero anno scolastico dentro, senza mai uscire. Tra me ed Ettari nasce una profonda amicizia. Gli racconto sempre quello che succede fuori delle mura. Abitualmente la mia mamma mi dà due panini, in genere con la frittata. Incomincio a dare ad Ettari un assaggio, perché io sono sempre affamato, ma presto questo boccone diventa uno dei due panini. Dietro a me c’è un altro compagno, Schenazi. La sua famiglia è povera, così anche lui desidera i miei panini e chiede un assaggio del secondo, che poco per volta diventa suo. Finisce che,
al mattino, quando arrivo a scuola, sia Ettari che Schenazi vogliono sapere quale è il menu giornaliero, allora io prendo l’abitudine di fare la spartizione appena arrivo a scuola, così si gestiscono da soli. A casa mia non sanno di questo comportamento, tanto non mi capirebbero. Vi chiederete, ma come faccio io, affamato atavico, a tirare avanti? A pranzo vado alla mensa e mi rifaccio, torno a casa con un grande appetito e la mia mamma non riesce a spiegarselo, ma lei mi ricompensa bene e così tutti i pezzi del mosaico vanno al loro posto……………………………………………………………………………….
L’anno scorso ho percepito la sensazione di un calo al mio udito. Dopo una regolare visita presso un otorino, mi sono sottoposto alla prova audiometrica. Non mi sono state riscontrate alterazioni, ma mi hanno consigliato un’ulteriore prova, da ripetersi dopo un anno. Puntualmente ieri mi sono fatto prescrivere l’impegnativa, dal mio medico generico ed oggi sono andato a fissare l’appuntamento. Ho preso il numero dalla macchinetta distributrice ed ho atteso, non poco, il mio turno per entrare. L’incaricata al pubblico mi dice subito:”No. Lei deve ritornare dal suo medico, per farsi fare un’altra impegnativa, per una visita dall’otorino. Poi sarà quest’ultimo che le ordinerà la prova audiometria, da fissare in nuova data.” Faccio notare che la prova è stata suggerita, un anno fa, proprio da un otorino e che si tratta di un secondo controllo. Una nuova visita dall’otorino sarebbe uno spreco di danaro pubblico e di mio tempo. La signora alza la cornetta del telefono e parla con l’ambulatorio, ma non spiegando i fatti, come da me proposti. Lo faccio notare e dico che vorrei spiegare io, ma la signora mette giù la cornetta e dice: ”Bene. E’ come le ho detto”. Replico: ”Bene un cavolo. Lei non ha saputo spiegare i fatti ed ora mi fa parlare con un dirigente.” La signora obietta: ”No. Lei non può parlare con nessun dirigente. Per queste questioni ci siamo noi.” A questo punto mi altero veramente e facendo tuonare la mia possente voce, impostata da basso profondo, dico: ”Le consiglio di farmi parlare con un dirigente, perché se esco da questo ufficio è per andare a chiamare i carabinieri.” A questo punto intervengono le due colleghe della signora, che, presenti alle mie minacce, si consultano con la dirigente del piano di sopra ed io, in novanta secondi, ottengo il mio appuntamento………….ma se io fossi stato più timido ?
…………………………………………A distanza di anni, dopo le esperienze di vita passate fin qua, credo di poter affermare, che la frequentazione dell’Istituto Don Bosco, con gli insegnamenti dei salesiani, mi hanno dato una solidità morale ed una preparazione di base, che poi nella vita mi è stata molto utile. Da un punto di vista religioso e di fede, se vogliamo, mi hanno anche insegnato a distinguere, a voler sapere, a criticare ed a scegliere con la mia testa. Sono stato battezzato, non per mia volontà, oggi sono agnostico, ma di sani principi. Non ho la fede, ma ho studiato le varie religioni, nel tempo ho approfondito l’argomento, sono arrivato alle mie scelte, senza pressioni o ricatti. Da piccolo, ho fatto l’incensiere in una messa solenne, indossando l’abito rosso, con la stola d’Ermellino, ho persino incensato il Vescovo, che mi ha reclinato il capo………a me………riuscite nell’immaginazione? Ciò non m’impedisce di scegliere un’altra strada: quella dell’agnostico e del materialista scientifico. Fermo restando che converso volentieri con chi fa parte del Clero, perché, pur avendo opinioni diverse, spesso sono molto colti. Non disdegno le conferenze islamiche, per approfondire la mia cultura. Stimo il Rabbino della Sinagoga, che è dietro casa mia e tutti i suoi frequentatori. Vado spesso in Chiesa, non come luogo di culto, ma per cantare o per ascoltare i concerti dei colleghi.
Concluse le scuole Medie, si pone il dilemma se continuare gli studi superiori al Don Bosco o se prendere la strada prettamente musicale del Conservatorio.
Dopo consultazione con vari professori e dopo un’audizione pianistica con il maestro Nicoletti, un insegnante del Conservatorio musicale, vecchia conoscenza dei miei genitori, si decide: seguirò la strada artistica. Così il primo passo è l’iscrizione al Conservatorio. Per me equivale ad entrare in un tempio, io sono ancora simile ad un pulcino bagnato, indosso i calzoni corti, sono poco più che un bambino. Mi affidano alla classe di Emma B. E’ una signorina anziana e scoprirò poi, che ha il talento di saper insegnare. Ho iniziato a studiare il pianoforte a sei anni, con una signora, passando poi sotto l’insegnamento del maestro Cordone, ma la mia serietà tecnica e musicale lascia molto a desiderare. Con la pazienza di Emma, in un anno scolastico, mi trasformo notevolmente. Ora so cosa sia la musica, come si studia, la costanza necessaria per il risultato tecnico, cosa sia l’interpretazione nelle esecuzioni e negli stili, riferiti alle epoche dei vari autori.
Passo dai calzoncini corti a quelli lunghi, ma non i miei, bensì quelli smessi da mio padre. Questo diventa per me un serio problema, perché ho le gambe più lunghe di quelle di mio padre, tanto da dover tenere i pantaloni bassi alla vita, ma più li abbasso e più il cavallo si allunga. Mi sento vestito come i giardinieri, che notoriamente in Egitto portano i calzoni con il cavallo abbondantemente sotto il livello delle ginocchia. Ora che sono un ragazzo e che frequento le tante ragazze di larghe possibilità economiche, mi sento proprio un disgraziato, un poveraccio.
In ogni caso, mio padre da quest’orecchio non ci sente: i pantaloni nuovi vanno a lui, quelli smessi a me, è questo il giro. Solo in occasione dell’importante concerto per due pianoforti, dei quali uno è suonato da me, mia madre riesce a convincere suo marito, che non sia il caso di presentarmi al concerto in maniche di camicia. Così mi si accorda l’acquisto di una giacca bianca, nuova, da portare su un paio di pantaloni grigi………smessi da mio padre……………..………….
Stamattina sono andato a farmi fare un prelievo di sangue al laboratorio d’analisi, dai “Vampiri”. E’ noto che il prelievo del sangue va fatto a digiuno. Una signora molto distinta ed apparentemente non ritardata mentalmente, dopo avere svolto la burocrazia e preso il numerino, ha chiesto all’infermiera se ora che aveva il numerino, nell’attesa del prelievo, poteva andare a fare colazione……..perché lei era ancora digiuna ! ! !
……………………………….La tecnica di Emma mi porta a conoscere Bartok, i 24 preludi e fughe di Bach, gli studi di Chopin, Debussy. Si arriva così all’esame dell’ottavo corso, scoglio essenziale per una carriera pianistica. Emma è una brava insegnante e presenta agli esami due allievi: io e Muriel. L’importanza dell’esame è profondamente sentita da noi. Ogni anno il nostro direttore, Piero Guarino, invita un personaggio mondialmente riconosciuto nell’ambito musicale. Quest’anno il prescelto è Francis Poulenc e chi frequenta, anche solo moderatamente, l’ambiente musicale classico, sa di che mostro sacro parlo.
L’emozione di tutti è tanta e Poulenc, facendo la sua parte, non la mitiga. Agli esami dei vari corsi, stronca parecchi studenti, quindi arrivato il mio turno, o fuggo via, o entro nella sala dei concerti senza speranza. Già Muriel, molto brava, se l’è cavata solo con un voto di sufficienza ed è uscita in lacrime, ora tocca a me, anche se mi rendo conto di non poter piangere. Inizio l’audizione con un preludio di Bach a mia scelta, su dodici portati ed una fuga a richiesta dell’esaminatore. Poulenc non fa una grinza, né per assentire, né in negativo, mentre Emma mi guarda compiaciuta, ma tremante più di me. Passo ad una Ballata di Brahms, ad un brano di Liszt ed altri ancora previsti dal programma, ma sempre con il risultato di un silenzio deprimente. Sono abituato ai concerti, agli entusiasmi ed alle espressioni di un uditorio. L’incertezza nel non sapere, non capire se un brano sia piaciuto, oppure no, è terribile. I miei compagni di Conservatorio e gli insegnanti degli altri corsi, che vorrebbero applaudire, devono rispettare il silenzio dell’esame. Arriva il momento di suonare Debussy. Mi piace tanto, ma piacerà a Poulenc? Ormai sono all’ultimo brano e poi la libertà.
Il maestro Guarino, serio in volto, ancora più del solito, con un cenno del capo, mi trasmette che posso iniziare. Incomincio la mia interpretazione, riesco ad uscire dal clima tirato, m’immergo nelle mie evoluzioni e con molta scioltezza termino, con una cascata di note debussiane. Emma mi dirà poi, che voleva saltarmi addosso dalla gioia, ma che si è morsa le labbra per non farlo. E Poulenc ? Con mia grande sorpresa si alza e scopro che è un omone, viene verso il pianoforte, uno Steinway a coda, da concerto, mi chiede il posto, si siede lui, tira fuori dal taschino la sua penna stilografica, mette un accento, prima inesistente, su una nota dello spartito e mi dice:” Io, qua, farei così”. Suona lui il passaggio modificato, al pianoforte, si alza, fa risedere me e mi chiede di ripeterlo anche io, dopo di che dice: ”Esatto…………Può ritirarsi” e mi dà il massimo dei voti previsti……… Serbo questo ricordo incancellabile, insieme allo spartito, con l’accento scritto dalle mani di Francis Poulenc, che io considero un autografo, una reliquia………………………………………..
Oggi camminavo per la città con passo spedito. Passando sotto ad un palazzo, sono stato bersagliato da un piccione, che era appollaiato sotto al tetto. Mi ha centrato in pieno sulla pelata, come meglio non avrebbe potuto colpirmi. Ho pensato:” chissà quanto si è esercitato, prima di essere così preciso”.
………………………………………Dopo il brillante esame, divento l’eroe del Conservatorio. Il maestro Guarino convoca me e Muriel, si complimenta con noi e ci chiede di andare sotto il suo insegnamento. Non abbiamo la benché minima esitazione, questo era il nostro sogno ed accettiamo immediatamente. Emma, io e Muriel andiamo fuori a cena per festeggiare e seppure con il dispiacere di perderci come allievi, nasce tra noi una cara amicizia ed una preziosa collaborazione.
Con il maestro Guarino la “musica”, come si suole dire, cambia. Lui detta un programma di studio, insieme scegliamo i brani e poi li prepariamo, con l’aiuto del suo braccio destro, Caterine. Lei è per noi anche una compagna maggiore, che si rende disponibile per gli sfoghi esistenziali ed io in questo periodo incomincio ad averne tanti. Quanto agli studi veri e propri, si passa a brani importanti, scelti tra i monumenti del repertorio pianistico: gli studi di Chopin, la Toccata di Schumann, molte delle sonate di Beethoven, il Concerto numero 1 per pianoforte ed orchestra di Listz. La supervisione di Guarino avviene due volte nella settimana, quando nel suo grande studio, con la platea formata da tutti gli studenti del Conservatorio e dagli insegnanti che lo vogliano, a turno i suoi allievi presentano il loro programma. Le osservazioni, gli esempi, le spiegazioni, le esecuzioni del Maestro, completano il corso. Spesso c’è Emma, ma la Signora Ferrero, insegnante di pianoforte in un’altra classe, non manca mai alle mie esecuzioni. Va e viene, calcolando il tempo mancante al mio turno, spesso lo chiede allo stesso Guarino. Il maestro per l’occasione fa finta di niente e sorride benevolmente, mentre imperterrito sta fisso nella sua posizione solita, leggermente incurvato sulla sedia e la testa reclinata di fianco ad ascoltare. Il maestro Perugia, insegnante di violoncello, arriva a chiedermi di far parte anche della sua classe, perché pensa che le mie mani siano adatte al suo strumento. Io sono molto impegnato, lo ringrazio, ma rifiuto l’invito. Nel tempo mi pento amaramente della decisione, perché dopo il pianoforte, lo strumento più bello, per me, rimane proprio il violoncello. Ha il timbro della mia voce, siamo naturalmente simili.
Tra un concerto, uno studio, un innamoramento, arrivo alla vigilia della mia partenza per l’Italia. Ho in serbo grandi speranze, tanti propositi, sogni a sfare.
Contemporaneamente agli studi musicali, m’iscrivo alla scuola Berlitz, per frequentare i corsi di letteratura francese ed inglese. In questi corsi ho come compagno un illustre ingegnere arabo, con il quale stringo amicizia. Mi pone per gioco un quesito tecnico, che nel tempo io non saprò mai risolvere. Questo è il problema: si devono mettere in comunicazione tre serbatoi a triangolo, con altrettanti circolari. Da ciascun serbatoio triangolare partono tre tubi, che devono raggiungere, uno ciascuno, i tre circolari, ma senza che i nove tubi s’incrocino tra loro...……………….Io non sono riuscito a risolverlo…………………………………………………………………………..
Oggi sono andato all’Orto Botanico, con mio nipote Mattia, che ha cinque mesi. Seduto su una panchina, l’ho tenuto addormentato tra le mie braccia, per circa un’ora. Confesso che grazie al silenzio ed alla monotonia dei cinguettii, mi sono addormentato anch’io. Sicuramente abbiamo rappresentato un bel quadretto.
…………………Contemporaneamente sono anche iscritto e frequento i corsi di disegno dal vivo, del Maestro Sodano, un rinomato pittore alessandrino. All’inizio copio rosoni, maschere di personaggi celebri fatte di gesso, poi passo al disegno di modelle, dal vivo. L’ambiente è piacevole, siamo in una luminosa mansarda, che ricorda tanto l’ambientazione dell’opera “Bohème“ di Puccini. Il corso è molto utile, ma presto io sono costretto ad abbandonarlo, per andare in Italia.
Dei problemi trovati in Italia, circa gli studi, io ne ho già parlato prima, perciò ora salto subito alla mia iscrizione all’Istituto Tecnico Industriale “Feltrinelli” di Milano……………………………………………
Oggi, dopo un’ora di sonno, fatta tra le mie braccia al giardino, Mattia si è svegliato, mi ha guardato fisso per un attimo e poi mi ha fatto un dolcissimo sorriso. E’ stato così gratificante, che gli ho dato il poppino di latte materno, con mezz’ora d’anticipo.
…………………………...Fin dal primo giorno, mi trovo un po’ spaesato, sia perché ho abbandonato gli studi canonici da tre anni, sia perché i miei compagni sono tutti più giovani di me, mediamente di tre anni.
Per la mia maturità, per l’età, divento un compagno da imitare, da seguire, da rispettare. Io per carattere sono un “allegrone”, ma stento a farmi accettare semplicemente come uno di loro. In certi momenti riemerge il rispetto. Mi aiuta molto Gilberto, il mio compagno di banco. Sa che sono solo in Italia, senza famiglia, così m’invita a casa sua a conoscere i parenti e le sorelle, con le quali stringiamo una buon’amicizia di gruppo. Andiamo a ballare quasi tutti i sabati e ci ritroviamo spesso.
Nelle ore di scuola, sono molto attento, perché credo di dover fare fatica a riprendere gli studi, ma man mano che le settimane passano, io riscontro la mia buona preparazione, avuta dai salesiani. E’ pari a quella dei miei compagni, se non superiore. Così tutto procede per il meglio. Sono chiamato a rappresentare i miei compagni nel consiglio, sia di classe che di Istituto, scrivo e partecipo alla vita del giornalino dell’I.T.I. (Istituto Tecnico Industriale).
Tra gli insegnanti ricordo quella di matematica. Si pone il problema di chi dovrebbe firmare le mie giustificazioni, ma io la tranquillizzo, non avendo intenzione di fare assenze. L’insegnante d’inglese, il professor Gozzer, che ricordo come una persona pratica, con un’alta preparazione a trasmetterci il suo sapere. Il professor Merkel, d’origine tedesca, che insegna applicazioni tecniche, ma che ci dà del Lei e non ci conosce ancora alla fine dell’anno scolastico. Ha l’abitudine di mettere sul registro di classe, un puntino accanto al nome dell’alunno colto a disturbare ed ogni tre è una nostra interrogazione disastrosa, date le domande difficili, che volutamene il professore pone. Veste in modo distinto, con la cravatta a farfalla al collo, un gilet sempre intonato alla giacca ed alla sua testolina bianca. Ha un tic, che gli fa scattare la testa leggermente di lato, con la chiusura degli occhi ed una momentanea smorfia. E’ il verso che tutti noi ripetiamo in sua assenza, ma Merkel è un ottimo insegnante. Non ricordo il nome del professore di lettere, ma ho ben nitida la sua figura. E’ un uomo di mezza età, con occhiali da vista scuri, capelli folti, lunghi, bruni e ricci. Parla ed insegna, sdraiandosi con tutto il busto sulla cattedra e pare strisciare guardandoci dal basso, mentre noi dominiamo dall’alto dei nostri banchi, posti su alti gradoni di legno. E’ un ottimo insegnante ed apre la serie degli splendidi professori di lettere che avrò in seguito. Non parlo degli altri insegnanti avuti all’I.T.I. di Milano, perché pur ricordandoli tutti o quasi, non ritengo abbiano caratteristiche tali da uscire dalla media dei comuni docenti.
Nel cortile della scuola c’è parcheggiato un piccolo aereo. E’ là per gli studi degli allievi, che frequentano il corso di aeronautica. Quest’aereo fa un po’ invidia. Vorremmo tutti prendere quella specializzazione, ma è voce ricorrente che è difficile riuscire, quindi già questo fa selezione nelle nostre future scelte…………………………
Oggi ho parlato a lungo con la ragazza che attualmente accudisce mio padre. Ora so molte altre cose. Mio padre è saltato addosso anche a lei e lei lo ha pregato di non farlo più, perché altrimenti si vedrebbe costretta di dirlo a me. La cosa sembra aver funzionato, anche perché pare che mio padre si veda fuori casa, con una ragazza romena di 23 anni. E’ ovvio che gli incontri non possono essere per reciproca attrazione, avendo lui 94 anni. Allora capisco dove vanno a finire ogni mese, i tre milioni di ex Lire, che regolarmente mancano all’appello e che lui non sa, o meglio non vuole giustificare.
………………………………..Ricordo tutti i compagni del “Feltrinelli”, ma credo che l’argomento non sia particolarmente interessante, da essere sottolineato. Ricordo Lozza, appassionato di storia, che sa tutte le date di nascita, di morte dei personaggi storici, come se facessero parte della sua stessa famiglia. Per lui io sono “Sinuè l’egiziano”, dall’omonimo film proiettato all’epoca. Ricordo Donati, appassionato d’astronomia. Ricordo Limonta e Motta, perché all’appello quotidiano sono chiamati rispettivamente, uno prima e l’altro dopo di me.
Ho già detto prima, parlando di mia madre, sul perché sono approdato a Firenze e come. Per il terzo anno di studi tecnici, mi iscrivo alla “Leonardo da Vinci”. Nuovo l’ambiente, diversi i compagni, altri insegnanti. Qua mi trovo già meglio, poiché i tre anni di ritardo, con i quali sono partito, in parte sono annullati, grazie alle bocciature varie d’alcuni miei colleghi. Non sono più il vecchio del gruppo. Essendoci molti ripetenti, la differenza tra me e la media dell’età studentesca, cala. Evito di elencare i nomi dei miei nuovi compagni, perché mi rendo conto che per un lettore la cosa sta diventando monotona. Viceversa su alcuni professori voglio soffermarmi, perché influenzano la mia cultura, il modo di essere. Primo tra tutti gli insegnanti da citare, è l’Ingegner Andrenelli. Una persona coltissima, che spazia indifferentemente su tutti i campi. E’ il nostro insegnante di disegno tecnico, ma io non ricordo che egli parli mai della sua materia, che ritiene quasi scontata. E’ così che le sue lezioni sono vere e proprie ripetizioni di matematica, di elettrotecnica, di storia, di tecnica navale. E’ brillantissimo e pronto a rispondere a tono, sulle nostre battute. Per noi è un amico, un complice, un fratello maggiore. Non disdegna le donne e fa il “filo” all’insegnante di matematica, con la quale si accompagna spesso, uscendo da scuola, tra i nostri lazzi e le risate, che noi gli lanciamo dalla finestra dell’aula al primo piano. Lui risponde con gesti mimati, fatti alle spalle della professoressa, che vogliono essere promesse di vendette future. Il tema delle sue lezioni, lo scegliamo noi ragazzi, ponendo i nostri problemi, i dubbi sugli studi in corso. Ci tratta da adulti e dà a tutti noi la fiducia, senza mai perdere quella che è la sua autorità. Fa finta d’essere severo ed a volte urla, ma a noi non fa paura, sappiamo che ci vuole troppo bene, per essere vere urla. Più tardi, dopo parecchi anni dalla mia chiusura dei rapporti con la “Leonardo da Vinci”, vado a trovarlo per chiedere un parere sugli studi del mio figlio maggiore. L’Ingegnere è il Preside dell’Istituto ed anche in questa circostanza, mi è molto prezioso. Solo qualche anno dopo vengo a sapere della sua scomparsa, in seguito ad un tragico incidente. Mezza Firenze è presente al suo funerale. L’altra metà non conosce l’Ingegner Andrenelli e non sa cosa ha perso a non averlo avuto per insegnante………………………………………...…...
Una settimana fa un nostro vicino di casa si è lamentato d’avere nell’appartamento numerosissimi bachini, del tipo che si formano nella pasta vecchia. Non riesce a debellarli. Oggi ho disegnato un folto gruppo di bachini, su un foglio di carta bianca e l’ho attaccato al soffitto con un biadesivo. Ottimo risultato: Silvana si è terrorizzata, chiamandomi di corsa.
…………………………….L’Ingegnere “fagiano” è da noi così nominato, per il suo profilo, che lo ricorda: naso a punta simile ad un becco, calvo, con la testa pelata ed una chioma posteriore, simile a quella del pennuto citato. E’ un brav’uomo, ma non ha polso. Conosce la sua materia, Macchine, ma non sa renderla interessante e noi preferiamo scherzare con lui, beffeggiandolo. Crudeltà di ragazzi.
L’insegnante di elettrotecnica è un altro Ingegnere, del quale mi sfugge il nome ed è meglio così, perché di lui ho un pessimo ricordo. Per noi è la materia principale e lui non sa proprio insegnarla. Solo grazie agli aiuti didattici dell’Ingegner Andrenelli, riusciamo a seguire la materia principale dei nostri studi. E’ un vero e proprio disastro. C’è un ragazzo ripetente, che tiene in pugno l’insegnante e gli fa fare tutto quello che vuole. E’ vergognoso. Da quest’insegnante non imparo nulla.
L’insegnante di lettere è il professor Vannucci. Entra a pieno diritto nella rosa degli ottimi insegnanti, che mi sono capitati nel corso dei miei studi. Le sue lezioni hanno un fascino tutto particolare. Tutti noi pendiamo dalle sue labbra e le lezioni sono attese con gioia. Le sue interrogazioni, sono una discussione tra noi e non sono mai pesanti. Pure lui si accompagna volentieri con la “bellona” di matematica, uscendo da scuola.
L’insegnante di Religione è un frate francescano, plurilaureato. Le sue lezioni assumono l’aspetto di un dibattito sulle religioni e sull’esistenza. Io ho un vivace scambio d’idee sul tema “Fede si, Fede no”. E’ un periodo molto importante per me, perché assorbirà tutti i miei dubbi e mi consentirà di prendere le decisioni in fatto di credenze religiose e di Fede. Il frate mi stima molto e segue le mie osservazioni con attenzione, tanto che in diverse occasioni, mette me in cattedra a disquisire con i miei compagni. Tra me ed il frate c’è un bel rapporto, che ricordo con rispetto.
Il professore di Fisica è l’ingegner Passi, un nome che per chi ha frequentato il “Leonardo” negli ultimi trent’anni, rappresenta un incubo. Chi ha una materia da riportare ad ottobre, sicuramente si trova anche Fisica, in aggiunta. E’ esigentissimo, scontroso, irritabile, altezzoso. Noi lo definiamo “la Carogna”. Nelle sue interrogazioni ci pone dei problemi d’alto livello, degni della sua grandezza di scienza, ma non della nostra ignoranza. Pare che nel suo ambiente sia considerato un grande scienziato, ma è poco amato anche dai colleghi. Nella mia vita ho incontrato tantissimi suoi ex allievi, di varie generazioni, non ultimi: mia cognata, suo figlio, lo stesso mio secondogenito Marco, un amico. Tutti hanno espresso la stessa opinione negativa. Io ho, con l’Ingegner Passi, un bellissimo rapporto e spiego il motivo. La materia è una delle mie preferite. Nella prima interrogazione di classe, capito io e faccio una figura brillante, non per mie capacità particolari, ma perché si va a toccare un argomento a me noto. Sono licenziato con un otto su dieci. L’interrogazione mi vale una rendita per entrambi gli anni vissuti con il “Passi”. In pratica, in due anni non m’interroga più, se non per qualche intervento dal posto, fatto a mia scelta e discrezione. Per lui io sono quello che sa la materia e qua “sbagliò lo scienziato”, dandomi otto per due anni di fila…………………………………………….
Il mio amico Gino è un buontempone. Il vicino di casa, che sta al piano di sotto al suo, ha una grossa infiltrazione d’acqua, proveniente dall’appartamento di Gino. Il vicino lo va a trovare e questo è il dialogo tra loro:
-”Gino, ho l’acqua in casa.”
-”Ormai, nel 2002 l’acqua in casa l’abbiamo tutti.”
-”Si Gino, ma io l’ho nella stanza da letto”.
-“Ma lei è un signore, non tutti se la possono permettere”.
………………………………..L’Ingegnere Scudieri insegna Meccanica. E’ una materia interessante, legata alla Fisica pratica. Lui spiega molto bene ed è un insegnante affascinante. Ha due baffi enormi e folti, di colore nero, che gli danno un aspetto burbero, ma sotto si apre un sorriso sempre rassicurante. Le sue interrogazioni iniziano nella seconda metà dell’anno scolastico e vanno a raffica. Le prime sono disastrose, ma poi ci segnalano, che al prezzo di due lire circolano nell’Istituto gli appunti con tutti i problemi e le relative soluzioni, che ormai da anni il Professore pone. Il giuoco per noi diventa facile e tutti passiamo due anni tranquilli.
L’insegnante di Impianti Elettrici, del quale mi sfugge il nome, è molto giovane. Non ha molto polso e le lezioni sono uno spasso per le nostre battute e risate. Con sorpresa, in occasione di una mia visita agli insegnanti del mio secondogenito, io lo ritrovo come insegnante di lettere del mio ragazzo. Si, pur lavorando, il mio giovane insegnante, ha studiato, si è laureato in lettere ed ora insegna a mio figlio. E’ un piacevole incontro, perché rammentiamo i nostri tempi.
Nell’ultimo anno di frequenza dell’ITI, m’iscrivo contemporaneamente ai corsi di canto del maestro Frazzi. Riprendo così i contatti con la musica classica. Mi si scopre una bella voce da baritono ed il mio maestro è famoso proprio per questi timbri. Dalla sua scuola ne sono usciti Gino Bechi e Rolando Panerai, dei quali è superfluo parlare, data la loro fama internazionale, nel campo della lirica. Con il maestro Panerai ho solo un colloquio telefonico, ma con Gino Bechi ho un indimenticabile incontro. Un giorno vado dal maestro, come sempre, per la mia lezione. Attendo in anticamera il mio turno. Nello studio il maestro ha un altro allievo, con il quale fa degli esercizi vocali. A me bastano pochi secondi per capire chi è l’allievo in questione: è il famoso baritono Gino Bechi, il mio sogno, il simbolo da imitare. Sono entusiasta ed aspetto con timore, con timidezza, la sua comparsa. Da lì a poco escono il maestro e Bechi. Il maestro mi presenta, come una sua futura speranza e Bechi, togliendosi il berretto dalla testa, in segno di rispetto per me, mi stringe la mano presentandosi: “Piacere, sono Gino Bechi”. Non ricordo cosa dico e cosa faccio in quella circostanza, ma ricordo di serbare l’espressione gioviale di Bechi, che in modo ossequioso si rivolge a me, abbandonando, con molta umiltà, il suo personaggio importante. Agli occhi miei diventa ancora più grande………………………………..
Oggi sono andato con Silvana alla cooperativa agricola. Si è fermata a chiacchierare con il commesso, per avere informazioni su un prodotto da acquistare. Nel frattempo io la prendevo in giro, scherzando con il commesso, che conosco. Una signora ha aspettato un po’, per chiedere anche lei informazioni e poi educatamente si è fatta avanti dicendo: ”Mi permetta una domanda.” Sono subito intervenuto io: ” E no signora, deve prendere il numerino, ci vuole un po’ d’ordine.” La poverina si è scusata, facendo un passo indietro e cercando il distributore dei numerini. Il commesso ridendo ha chiarito il mio scherzo.
……………………………Il trasferimento a Milano, per ragioni di lavoro, interrompe i miei studi di canto ed in seguito, apprendo con dolore, del decesso del maestro Frazzi. Questo periodo d’apprendimento m’imposta la voce definitivamente ed unitamente ai miei precedenti studi musicali, mi consente, in seguito, di partecipare a grandi, importanti corali ed a dare concerti in qualità di solista, per diversi anni. In questo settore ho delle notevoli soddisfazioni, cantando sotto la direzione di personaggi importanti come il Maestro Gabbiani della Scala, ed il famoso Maestro Leitner. Con loro canto in una strepitosa edizione della Messa da Requiem di Mozart, al duomo di Siena. Tra orchestrali, cantanti e coro, siamo circa centoottanta persone, è una cosa imponente. Nel Duomo di Pistoia e di Prato, nelle chiese più importanti di Firenze, ho avuto il piacere e l’onore di cantare repertori classici, che vanno dal Messia di Haendel, a Bach, a Britten. Solo nella Chiesa di San Marco, a Firenze, non sono mai riuscito a cantare, malgrado un interessante progetto di concerto da me proposto. Questo progetto, momentaneamente accantonato, per ragioni contingenti di organizzazione, rimane sempre un mio futuro sogno, prima che l’età non mi consenta più l’espressione e la forza vocale. Nel frattempo, circa quindici anni fa, con la maturazione fisica, la mia voce si è trasformata, passando da Baritono a Basso profondo…………………………………………………………………………...
Oggi sono andato dal cardiologo per una visita di controllo. Il “colesterolo” da contenere in valori bassi, è l’incubo, sia suo che mio. Le analisi, fatte di recente, che gli ho mostrato, indicavano valori non nella norma, ma addirittura al di sotto, così gli ho chiesto:”Cosa vuol dire avere valori al di sotto, che devo mangiare più grassi e burro per rialzarli ? Ormai mi conosce ed ha sorriso, ma mi ha prescritto una pillola nuova, per il cretinismo.
………………………..I miei interessi culturali, mi portano a frequentare numerosi corsi, che spaziano dall’astronomia, all’Antropologia, dalla Psicologia alla Enologia.
Casualmente mi avvicino all’ipnosi e porto avanti il discorso con sperimentazioni. Dell’argomento mi piace accennare qua.
Durante una gita turistica in pullman, verso la Iugoslavia, faccio la conoscenza di un giovane che pratica l’ipnosi. Se ne parla e mi fa provare subito, andando in fondo al pullman ed ipnotizzando io mio figlio Marco, allora decenne. Riesco ad ipnotizzarlo e ad imporgli di risvegliarsi dolcemente e serenamente, dopo cinque minuti esatti. Con il cronometro alla mano, ciò avviene puntualmente. Il successo ottenuto mi porta a leggere molto sull’argomento, formando un gruppo di studio, del quale fa parte anche un’amica psicologa. Ho due ragazze che si prestano ai miei esperimenti e con la loro collaborazione io sperimento alcune teorie. Io pratico delle piccole torture cutanee, per provare l’insensibilità al dolore, sotto ipnosi. Le mie punture non sono neanche percepite, durante il sonno indotto, ma solo riscontrate da svegli, per le macchie provocate. Ciò mi fa pensare alla possibilità di un’anestesia indotta. Solo dopo qualche anno dai miei esperimenti, apprendo che in Russia hanno messo in pratica il metodo ed in seguito anche in Inghilterra. Oggi la pratica è d’uso comune, per i piccoli interventi chirurgici. Altro esperimento che porto avanti è sull’ipnosi a vantaggio dell’apprendimento e della memoria. Io sono convinto che, anche i minimi particolari intorno a noi, influenzano negativamente lo studio e l’apprendimento, distraendoci. Con questo pensiero, sottopongo la mia collaboratrice ad ipnosi e le faccio leggere un lungo brano tratto dal “Cristo si è fermato a Eboli”, colto casualmente dalla biblioteca. Alle sedute partecipano varie persone interessate, a garanzia del mio operato verso il soggetto passivo ed in questo caso a testimonianza della realtà. Per prima cosa, impongo alla ragazza ipnotizzata, di apprendere a memoria il brano che leggeremo. A lettura ultimata, io sveglio la collaboratrice, riportandola dolcemente al suo stato naturale e serenamente. Dopo qualche momento di pausa, chiedo alla ragazza di ripetermi quanto letto, ma lei non riesce a dire nulla, non ricorda. L’esperimento sembra fallito ed il gruppo, dopo un po’ di discussione, si trasferisce al piano di sotto, nell’appartamento della ragazza ipnotizzata. Stiamo ascoltando della buona musica classica, quando la ragazza, improvvisamente, senza alcuna sollecitudine, recita il testo che le era stato letto, non presentando omissioni o incertezze. Per me, questa è la prova delle mie teorie.
Dopo mia richiesta alla madre, entra a far parte del gruppo di studio, un giovane ragazzo, tossico dipendente. Voglio provare con lui. E’ un ragazzo molto turbato, ma sembra disponibile al trattamento. Alla prima seduta d’avvicinamento non riesce a rilassarsi, forse perché il gruppo in quest’occasione è troppo numeroso. Decido di rinviare la seduta, a quando lo stesso ragazzo stabilirà e con la sola presenza mia e della psicologa.
Nell’argomento “ipnosi”, io ho intenzione di portare avanti gli esperimenti su quattro fronti: l’apprendimento mnemonico sotto ipnosi, l’insensibilità al dolore, la cura della tossicodipendenza e della dipendenza dal fumo.
Purtroppo avviene un fatto, che mi fa decidere di abbandonare definitivamente tutti gli esperimenti in corso sull’ipnosi. Un amico, facente parte del gruppo, mi chiede di intervenire per farlo rilassare, perché sta attraversando un momento di crisi psicofisica. Accondiscendo ed il sonno indotto arriva quasi immediatamente. Il soggetto, avendo molta fiducia in me, si abbandona con predisposizione. Purtroppo però, lo stesso soggetto entra presto in una crisi epilettica, con conseguenti violenti movimenti incontrollati ed incontrollabili. Ho un attimo di panico, ma riesco a mantenere la calma e con la mia voce suadente, rassereno il soggetto, lo distendo. Lo faccio ritornare in sé, con l’ordine di risvegliarsi al mio conteggio.
Non ho fatto studi di medicina e quest’episodio mi riporta alla realtà: ho molte idee, ma non sono qualificato per portarle avanti. La coscienza m’impone di smettere……………………………………………..
Silvana ha la mania di raccattare vicino ai cassonetti della nettezza, roba buttata via. In verità è roba buona, che la gente spesso non usa più, accantonandola. Così ha raccattato: un “porta giornali” da bar, fatto in bambù, uno sgabello impagliato, due seggiole antiche, un seggiolone nuovo, per bambini, un cesto elaborato in vimini, che ha trasformato in porta fiori e tante altre cose. Oggi siamo passati davanti al camion di un mobilificio, dal quale stavano scaricando dei mobili nuovi. Gli addetti erano sul camion ed avevano già tirato giù una bella scrivania. Mi sono avvicinato al mobile, fingendo di volerlo portare via, con l’aiuto di Silvana. Gli addetti si sono subito ribellati, ma io, con falsa ingenuità, ho chiesto:”Scusate, ma non l’avete buttata via ?
……………………………………..Sempre casualmente, scopro d’avere le cosiddette “mani calde”. Chi me lo fa notare è già pranoterapista, ma io sono molto scettico e mi rifiuto di aderire a questi “imbrogli”. Il dubbio però nasce ed io leggo molto sull’argomento, ma senza mettere in pratica quanto è scritto sui testi, anche perché li ritengo validi solo in parte. Un giorno, una mia dipendente viene sul posto di lavoro, piegata in due, per un forte dolore alla schiena. Scherzando le applico le mie mani sul punto dolente. Lei percepisce un vivo calore ed anche io lo sento. Dopo qualche minuto io tolgo le mani, la dipendente si alza e………. lei non ha più il dolore iniziale. Allora io rammento un fatto capitatomi, circa un anno avanti. Il mio secondo figlio, Marco, era molto piccolo ed aveva un terribile mal d’orecchi, che lo faceva piangere ed urlare. Dolcemente, accarezzandolo sulla parte dolorante, sono riuscito a calmarlo ed a farlo addormentare, dopo di che l’otite è cessata…………………………………………………...
Il mio amico Gino, per fare arrabbiare la moglie, dandole un pizzicotto affettuoso sulla guancia, a volte le dice: ”Sei la mia preferita”. Oppure camminando per strada, mano nella mano, improvvisamente, staccandosi da lei, le dice: ”Non mi tenere la mano. La gente potrebbe credere che stiamo insieme.”
………………………………………...Dopo questi episodi altri si ripetono. Riesco a far passare numerosi mal di testa, mal di schiena, ma in particolare a risolvere pienezze di stomaco e mal di pancia. Tutti gli esperimenti sono elencati nei miei appunti, ma la sensazione di fare la figura del ciarlatano, guaritore da mercato di paese, fa chiudere i miei interventi. Rimane sempre il dubbio del perché la casistica faceva rilevare la presenza di qualcosa di miracoloso? Le mie mani cosa hanno di speciale? Cos’è che succede, mentre io le tengo su una parte dolorante ? Il calore che le mani sprigionano, cos’è ? Cos’è che in realtà fa passare i mali ? Forse io non lo saprò mai.
I miei lavori, le mie attività.
Inizio a lavorare per la prima volta, nel periodo delle vacanze estive, tra un anno scolastico e l’altro. Sono assunto da una stamperia di materie plastiche, come disegnatore tecnico. Per la verità, non conosco il giudizio dei miei datori di lavoro, ma io non sono soddisfatto di come vanno le cose. Mi considerano un pivellino, uno scolaretto e le mansioni che mi affidano, per me sono umilianti ed inutili. Cerco di proporre alcune modifiche nel corso di un inventario, ma il direttore non mi vede di buon occhio e non apprezza le iniziative, anche se in verità il proprietario, dopo qualche giorno, mi fa mettere un tavolo nel suo ufficio. Incomincio anche a fare dei preventivi da solo, ma io sono troppo ribelle, per accettare di stare a guardare. Non fa per me. Quest’esperienza mi servirà molto, nel corso delle mie future attività in proprio e poi io diventerò anche un cliente esigentissimo della ditta in questione. Lascio l’impiego alla fine delle vacanze estive, come programmato, per ritornare a scuola.
Il secondo impiego è molto meno tecnico. Faccio un brevissimo corso e vado a vendere gli apparecchi aspirapolvere, di marca svizzera. All’inizio dell’attività io sono timidissimo e la vendita da farsi con il sistema “porta a porta”, mi mette in difficoltà. Per mia fortuna, incontro un capo Agenzia, il signor Agresti che, conosciutomi come un ex musicista, mi prende in ben volere. Coltiva anche lui la passione per la musica classica. In breve, con il suo aiuto, divento un discreto venditore. In un’occasionale visita sulla città di Pisa, riesco a vendere un apparecchio ad una signora, titolare del bar vicino al nostro ufficio. Alla signora, già il dirigente regionale, il Signor All…. , nel passato ha tentato di venderglielo, più di una volta, ma senza riuscirci. La mia riuscita innervosisce questo signore, che per vendicarsi mi destina temporaneamente alla città di Pisa. Questa è notoriamente una piazza ostica, al punto che i più bravi venditori regionali, non sono riusciti a concludere neanche un contratto di vendita……………………………………………………………...
Oggi, con Silvana, parlavamo di Mattia, il nipote di cinque mesi, dei suoi progressi, di quanto sta crescendo. Improvvisamente dico a Silvana: ”Pensa che oggi, mentre lo salutavo, mi ha puntato il dito, come per dire, ricordati di giocare all’Enalotto.”
……………………Vado a lavorare provvisoriamente a Pisa. Io faccio coppia con un giovane capogruppo, che poi nel tempo diventerà direttore per la Toscana. Tra noi c’è molto accordo e riusciamo a trovare il punto debole della clientela. Vendo un primo apparecchio ad un insegnante, che ci apre la porta a tutte le successive vendite. Un’anziana signora poi, mi segnala, dietro mio premio, i possibili acquirenti di sua conoscenza. Il risultato è che, sia io, sia il mio capogruppo, “rendiamo felici” (terminologia usata nel nostro gergo), mediamente due signore ogni giorno. Ciò porta alla nostra vittoria, alla fine del mese, del gettone d’oro, quale miglior venditore in Italia. Mi fanno ritornare a Firenze e qua faccio una vendita da manuale, che ricorderò per tutta la vita. Riesco a “rendere felice” una signora svizzera, che in casa ha altri tre aspirapolvere, mai usati ……………… facendo la mia dimostrazione tutta in francese. La signora ha nostalgia della sua lingua e mentre le parlo, probabilmente pensa ai verdi pascoli, ai laghi blu e chissà a quali altre erotiche cose.
Stare fuori di casa tutto il giorno ed a volte anche pernottare, implica molte spese, per questa ragione i guadagni non sono sufficienti. Vinco un secondo gettone d’oro per la produzione e ritorno a scuola.
Nel frattempo, avendo dovuto ricopiare delle partiture musicali, mi viene l’idea di studiare la possibilità di costruire una “macchina per scrivere la musica”. Studio e disegno varie possibilità, prendendo anche contatto con alcune importanti ditte costruttrici di comuni macchine per scrivere. Mi rispondono tutte, che sono interessate, ma mi suggeriscono di brevettarla, prima d’ogni trattativa. Così ho questo brevetto, ma la mia idea è ancora più grandiosa. A me capita spesso di essere momentaneamente ispirato e di improvvisare al pianoforte alcuni brani. Dovendo trascrivere tali brani a tavolino e chiudendo il pianoforte, perderei ogni ispirazione. Così voglio realizzare un sistema di stampa, funzionante con un collegamento diretto, ai tasti del pianoforte. L’elettronica è ancora molto indietro ed i micro contatti non esistono. Le mie conoscenze nel settore sono scarse, così ricorro ad un amico fisico, che è un “geniaccio”. Io metto la parte teorica musicale e le relative esigenze, lui la tecnica meccanica del congegno. Per un certo tempo, facciamo una bell’accoppiata e portiamo avanti un po’ di lavoro, ma subito lui è chiamato, per la cooperazione nella progettazione di un aereo ed il nostro sodalizio si arresta definitivamente. So che ora, l’elettronica ha consentito la realizzazione di quest’idea, anche senza passare attraverso me. Oggi esistono dei pianoforti, predisposti con un collegamento al “computer” ed alla stampante, che riesce a scrivere esattamente quello che si suona. Perfetto: come volevo io.
Altra diavoleria, come diceva la mia mamma, quando le raccontavo le mie idee, è quella di voler fare volare la mia “Lambretta”, con un sistema di eliche, per superare le code del traffico. Ho subito accantonato questo progetto, quando ho sentito delle obbligatorie autorizzazioni al volo, delle burocrazie alle quali un simile progetto sarebbe andato incontro.
Nel frattempo in casa, la battaglia tra i miei genitori è sempre più consistente. Mi sento di peso a dipendere da loro. Faccio un po’ di sondaggi e riesco a trovare un impiego a Milano, presso una società internazionale di autonoleggi. Mio padre dirige la filiale di Firenze, io sono assunto a Milano. Lo stipendio è più alto di quello che io percepirei se m’impiegassi come Perito Tecnico, perciò accetto e contro il parere di parenti ed insegnanti, lascio la scuola all’ultimo anno………………………………………………………...………………………
Ieri sera, ho accudito mio nipote Mattia. Per addormentarlo, ho pensato di raccontargli una favola.
 “C’èee un paeeeese, dovee tuttiii gli abitantiiii…..parlano l’in gleee se e si chiaaaama….In ghil ter rrra. C’èee un altro paeeese dove nessuuuno parla l’in gleee se e si chiaaama Francia. Laaa regina d’In ghil terrrra, cheee non voleeeva parlaaare l’in glese, perchèeee è mooolto difffficile, ma voleva parlare o l’italiaaaano o il franceeeese, si chiedeva: parloo l’italiaaaano o il franceeeese? Il franceeeese o l’italiaaaano ? Ma nel fratttttempo perdeva tempo e non inparaaaava neanche l’ingleeeeese. Così, un giooorno che volevaaaa un piatto di spaghettttiiii ha fatttto un cennnnno conlamaaaano ai suoi domeeeestici, che sono corsi subito viaaaa e sooono tornaaaati con un piattttooo di… roast beef, che si dice rosbif. Infatti i domestici ingleeeesi non conoscevano i geeesti italiani e non si caaaapivano.” …………………………….A questo punto io mi sono addormentato e mio nipote, di cinque mesi, mi ha accudito.
…………………………….……Faccio un anno di tirocinio presso questa importante società internazionale. In seguito alla ribellione di tutti i corrispondenti nazionali, che si riuniscono e ne costituiscono una nuova, mi si offre la direzione della sede di Milano. Naturalmente accetto, perché il salto è notevole.
Si allestisce un bell’ufficio al centro di Milano, in Piazza Diaz, a trenta metri dal Duomo. E’ un inizio molto piacevole. Assumo il personale, scegliendo tra i miei ex colleghi, che mi seguono volentieri. Molti ex clienti, saputo del mio passaggio e della promozione, mi seguono al nuovo recapito. Così ho l’occasione di conoscere persone importanti, di frequentare gente nuova. Nelle vesti di direttore mi si dà molta importanza, anche se io sono giovane. Tra i miei clienti annovero Sandra Mondaini, alla quale io porto personalmente la vettura a noleggio, fin sotto casa, in Corso Sempione. Aldo Fabrizi e Delle Piane si fermano nel nostro ufficio per la stessa ragione. Mario Carotenuto è alloggiato all’albergo, a tre metri da noi e tutti i pomeriggi viene a farci compagnia. Sono pomeriggi spassosissimi. Anche Umberto Bindi chiede i nostri servizi. Peppino Di Capri arriva davanti al nostro ufficio, con un’enorme macchina americana e siccome ha grandi difficoltà a parcheggiare, io gli mando in soccorso un nostro autista. Ettore Bastianini, famoso baritono della Scala, accompagna da noi una sua amica.
Purtroppo non sono “tutte rose e fiori”. Il posto di responsabilità mi mette spesso di fronte a situazioni pericolose. Il nostro problema principale è il contrabbando di sigarette, in arrivo dalla Svizzera. Abbiamo un elenco di persone indesiderate, che aggiorniamo, anche con la collaborazione della Questura e della Guardia di Finanza, ma purtroppo spesso incappiamo in sequestri o in perdite di automezzi. In questo periodo, l’uso corrente è che il contrabbandiere noleggia l’auto, in genere di grossa cilindrata, va in Svizzera e torna verso l’Italia, carico di merce clandestina. Spesso è intercettato dalla Guardia di Finanza ed allora c’è un inseguimento. I finanzieri in questo periodo usano le cinture chiodate, che mettono attraverso i passaggi obbligati e non di rado le nostre macchine finiscono fuori strada, con danni notevoli ed il fermo d’auto per il conseguente sequestro, ha tempi lunghissimi. Questi signori senza scrupoli, hanno talvolta un aspetto insospettabile. Faccio un esempio per tutti. Un signore, noto come Dottor Ci…………, è già stato mio cliente con la precedente azienda ed un giorno si presenta nella nuova ditta che rappresento. Ha sempre usufruito di pieno credito, è considerato un Signore con la “S” maiuscola, a tutti fa intendere d’essere un dirigente di banca. Un sabato, come sua abitudine, prenota una macchina e viene a ritirarla regolarmente, con grandi sorrisi, con la solita eleganza e ricchezza nel vestire, distribuisce mance agli addetti………Abitualmente restituisce la vettura e termina il contratto, il lunedi successivo all’inizio del noleggio, ma questa volta, nel giorno stabilito non ritorna. La cosa non mi allarma, perché si tratta del Dottor Ci…. Solo dopo tre giorni, mi incarico personalmente di chiamarlo in banca, per sapere quanto tempo intende tenere l’auto. Cerco del Dottor Ci………… e mi rispondono che non c’è nessun dirigente con quel nome, ma che è un usciere, al momento con dei problemi a rispondere. Il giorno seguente ricevo la comunicazione che la nostra auto, guidata dal Dottor Ci………, non più Dottore, è finita fuori strada, in seguito ad un inseguimento della Guardia di Finanza e l’auto è distrutta. Fine di un mito………………………………
Oggi ho accompagnato mio padre, 94 anni, all’ambulatorio della ASL (Azienda Sanitaria Locale). Aveva preso l’appuntamento per fare un’infiltrazione alla mano. Fatta l’infiltrazione, con 50 minuti di ritardo sull’appuntamento, il medico suggerisce di scendere subito al piano terreno per fissare un nuovo appuntamento, con l’apposito ufficio, che sta per chiudere. Ho molta difficoltà a trovare l’ufficio, per mancanza di un’adeguata segnaletica, ma dopo tre richieste ad altrettanti dipendenti, ci arrivo con un minuto di ritardo sull’orario. L’ufficio è chiuso, ma l’addetta è dentro. Busso alla porta, che è chiusa a chiave dall’interno, ma nessuno risponde. Corro dalla dipendente che mi aveva indicato l’ufficio e mi dice di bussare, perché l’incaricata è dentro. Ritorno a bussare alla porta chiusa, questa volta con molta veemenza, sapendo che dentro c’è qualcuno. Finalmente mi risponde, che l’orario è passato e di ritornare il giorno dopo. Faccio notare che sono arrivato con un minuto di ritardo, per colpa delle mancanti segnalazioni e che si tratta di un paziente di 94 anni, che sarebbe molto a disagio dover ritornare solo per fissare un appuntamento. Tralascio la risposta dell’addetta, per mio buon gusto, ma subito le auguro di tutto cuore, di trovarsi in una situazione analoga e con il bisogno per suo padre. Non domo, ritorno al bancone principale e tuonando chiedo di parlare con un dirigente. Ill dirigente invocato mi sente e si sporge fuori del suo ufficio, in fondo al corridoio, chiedendomi cosa sta succedendo. Spiego i fatti e scusandosi, con molta educazione, mi affida alla sua segretaria, che mi dà il nuovo appuntamento.
Ormai sono convinto, che per fare valere le proprie ragioni, occorra imporsi, anche se ciò sia triste. Chi non sa alzare il tono o non ha la mia voce è perduto.
……………………Un altro episodio. Una nostra auto, noleggiata due mesi prima ad una persona, poi segnalata quale contrabbandiere, non è più rientrata, dopo il periodo previsto dal contratto di noleggio. Ormai è data per persa e la sparizione è stata denunciata alla Questura. Un mio dipendente, dopo aver consegnato un’altra vettura ad un cliente, nella zona di Corso Buenos Aires a Milano, mi telefona frettolosamente, per segnalare che ha visto l’auto sparita. Raccomando di non muoversi e di tenerla d’occhio, che io parto subito per raggiungerlo e lo faccio immediatamente. Dopo qualche ricerca da parte nostra, notiamo nella zona, un bar malfamato, frequentato da gente poco raccomandabile. Il mio dipendente è con me e riconosce il cliente, avendo lui redatto di persona il contratto di noleggio. Il cliente è seduto al tavolino, con una bibita davanti e sta conversando con altri avventori del locale. Mi presento al cliente e gli impedisco di alzarsi, ponendogli una mano sulla spalla. Al mio dipendente do incarico di chiamare il Maresciallo Be……., con il quale collaboro in queste occasioni. Il maresciallo è rintracciato via radio dalla Questura ed a sirene spiegate mi raggiunge. Noi riprendiamo la nostra macchina, il contrabbandiere finisce dentro, ma il rischio corso è stato enorme. Io ed il mio dipendente eravamo disarmati, in casa loro, circondati da persone senza scrupoli. A nostro favore ha giocato la mia tempestività, che ha sorpreso tutti ed anziché aprire una rissa, ha sfoltito il bar, prima dell’arrivo delle sirene………………ma il mio non è un bel mestiere.
Altro episodio. Girando per Milano, la deformazione professionale ci fa guardare tutte le auto in sosta, per cercare di identificare le eventuali nostre sparite. Ancora una volta, un altro dipendente mi segnala una nostra macchina sparita, una FIAT 850, ricordo, di colore verde, parcheggiata in Via Fatebenefratelli a Milano. Raccomando come al solito, di non muoversi per nessuna ragione e con un’altra auto raggiungo il posto segnalatomi. Con le chiavi di riserva, apriamo l’auto ormai considerata rubata ed io chiedo al collaboratore di portarla in sede. Nel frattempo riesco, con un colpo di fortuna, ad individuare il cliente, che sta dormendo in un albergo delle vicinanze. Approfittando della sua sonnolenza, capisco che non vorrebbe restituirmi l’auto e che nell’interno di questa ci deve essere qualcosa di poco legale. Gli comunico che l’auto è già stata requisita e di farsi vivo nel nostro ufficio. Arrivato in ufficio, dopo minuzioso esame della vettura, è scoperto un doppio fondo, realizzato dal cliente, pieno di sigarette di contrabbando. Segnalo il fatto all’ormai mio amico Maresciallo, che interviene subito in borghese ad attendere l’arrivo del contrabbandiere. L’arresto è cosa facile, perché il nostro ex cliente non vuole abbandonare la sua merce e si fa intrappolare...…… ma il mio non è un bel mestiere……………………………………………….
Oggi è giovedì e Silvana, come d’abitudine, va dalla sua mamma, perché la signora che l’accudisce è di riposo. E’ giorno di riposo anche per me, perché mangio quando ne ho voglia, quello che mi pare, non rifaccio il letto, apparecchio la tavola una sola volta, senza sparecchiarla a fine pasto, non rigoverno i piatti, che infilo dentro l’acqua, nel mastello. Insomma è una “pacchia” di libertà. Telefonando a Silvana, per salutarla, io le dico, che si sente molto la sua mancanza………………. Conoscendomi e sapendo le mie abitudini, mi ha risposto di non credermi. Non si può nasconderle nulla.
……………………………………….Sono stanco di questi rischi e poi, ora io sono sposato ed ho un figlio, Massimiliano. Ne parlo con mio padre e con Lucio, mio fratello, che è ancora giovane e sbalestrato. L’unione dei miei genitori è in piena rottura, Lucio ne risente ed ha lasciato le scuole definitivamente, senza una prospettiva seria. Mio padre propone di mettersi insieme, per una nuova attività: l’imbalsamazione degli animali. Io prendo qualche giorno di ferie e vengo a Firenze, per rendermi conto delle possibilità. Faccio un giro commerciale presso le varie armerie, i vari negozi di prodotti per la caccia e la pesca di Firenze. Torno a Milano e faccio altrettanto. Commercialmente il lavoro consentirebbe una produzione tale da mantenere tutti, ma l’idea mi lascia perplesso. Nel frattempo, sul lavoro, altri episodi negativi si ripetono, con la mia presenza in prima linea, nella lotta al contrabbando, così io presento le dimissioni e torno a Firenze, con la famiglia. Incomincia da qua il periodo che io chiamo“della vergogna”.
Inizialmente io mi occupo della parte commerciale, mio padre e Lucio della produzione. Poi gradatamente anche io prendo parte alla produzione. Si tratta di imbalsamare gli animali cacciati o morti in altro modo, per conto dei clienti dei negozianti, precedentemente contattati. Gradatamente ci facciamo un certo nome in tutta l’Italia, così lavoriamo per la piazza di Milano, di Roma, di Torino, oltre alla intera Toscana. Ci commissionano animali di grosse dimensioni, da fare per conto di musei: leoni, tigri, orsi. Il museo dell’agricoltura Etrusca di Lodi, ordina due tori di razza Chinina, alti circa centoottanta centimetri, un cavallo da tiro pesante, alcune pecore, un cinghiale. Montiamo un orso polare, in piedi sulle zampe posteriori, con un’altezza di due metri e trenta centimetri, per conto di un cliente privato. Gli affari vanno discretamente, ma in mio fratello ed in me subentra lo scrupolo della coscienza. La maggior parte degli animali che imbalsamiamo, sono uccisi senza ragione. Fino a questo punto la caccia era una tradizione nazionale, tramandata da padre in figlio, ma s’incomincia a parlare della sua inutilità e delle stragi d’animali che sono fatte. Cominciamo anche noi a renderci conto dello spregio per la natura. Non siamo noi ad ammazzare gli animali, ma ci sentiamo complici di chi lo fa. Ben presto cerchiamo una possibilità di lavoro alternativa, per chiudere questo periodo di “vergogna”………………………………………………………………………..
Oggi sono passati da Firenze, diretti a Roma, mio cugino Alviero e la moglie. Sono persone simpaticissime. Con loro e Silvana, per scherzo, tocchiamo spesso il tema “donne e uomini, più intelligenti, più stupidi. Naturalmente ci divertiamo a dirne tante. Oggi a tavola ho apparecchiato, vicino al mio piatto, la frusta che avevo comprato in Turchia, così ho spiegato: ”Ormai è tanto tempo che non la uso, ma non si sa mai, la metto sul tavolo tutti i giorni, così Silvana la vede e se ne rammenta.”
Lascio immaginare la reazione delle due signore.
……………………………………...Nel frattempo ho acquistato un podere agricolo. Faccio un piano di sviluppo aziendale, acquisto un trattore, tutti i macchinari occorrenti e predispongo per la mia nuova attività.
Con l’agricoltura tradizionale si fa anche la fame ed i miei progetti non lo prevedono. Così cerco forme alternative, in maniera da entrare nel mercato, senza concorrenza. Leggo molto e m’interesso parecchio, prima di fare le mie scelte. Inizio preparando un ettaro di terreno e pianto le noci di Sorrento, che richiederanno un po’ più di tempo per entrare in produzione, ma una volta iniziata la raccolta, è di reddito sicuro. Un altro ettaro lo predispongo ed impianto noccioli tartufati. Metto a dimora piantine acquistate dall’Istituto delle piante di Torino, che sono state micorizzate, ossia predisposte per la crescita del Tartufo nero e bianco. Cinque anni dopo l’impianto, dalle piante dovrei raccogliere le nocciole e da sotto, dal terreno, dovrei raccogliere i tartufi. Un ettaro lo recingo con bandoni di lamiera zincata e reti speciali e dentro semino erbe aromatiche ed insalate varie, per l’allevamento delle chiocciole di due pregiate qualità: le Pomatia e le Aspersa, che introduco subito. Quattro ettari di olivi sono già nel terreno, ma sono da recuperare e lo faccio, in modo da farli entrare in produzione già dal secondo anno. Metto a dimora tre ettari di “abete rosso”, per la produzione di alberi di Natale, che già dal secondo anno, a rotazione possono essere venduti. Quattro ettari di castagno sono già in produzione, solo occorre pulire il sottobosco, per accedere con il trattore, il carrello e tutto quanto occorra. Ripristino le vecchie viottole, che recupero per l’uso poderale, installo le necessarie recinzioni, ristrutturo la casa colonica e gli annessi agricoli. Ho un’azienda che promette “ mari e monti “, che dovrebbe essere all’avanguardia nel settore.
E’ il primo inverno dopo la messa a dimora di tutte le colture. Ho ancora molte cose da fare, ma usualmente si rimandano alla stagione fredda. Quest’ultima non si fa attendere, anzi esagera e non poco. La temperatura scende a 22 gradi sotto lo zero. In questa campagna non si ricordano, a memoria d’uomo, temperature così basse. Tutte le tubature della casa scoppiano. Tutte le piante appena messe si afflosciano e muoiono. Gli olivi, che abitualmente sono considerati resistenti, in questa circostanza, perdono la corteccia ed appassiscono irrimediabilmente. Per tutta la Toscana è la calamità, ma io non mi dilungo, perché ciò è storia nota e registrata. Io leggo questo fatto come un segno del destino e decido di vendere tutto e di cercare un’altra occupazione. Ma cosa fare ? Mi guardo un bel po’ intorno. Mi viene da dire “casualmente”, ma anche qua, credo che il caso sia stato molto aiutato dal mio atteggiamento attento a cercare qualcosa di nuovo. Dicevo, casualmente leggo un’illustrazione di una macchina elettronica, che disegna le lettere su carta e le intaglia su appositi fogli di vinile. Vado subito a Milano per vederla, per rendermi conto di cosa sia e di cosa possa fare. Il mio è un amore a prima vista. I “computers” grafici ancora non esistono e questa macchina ne è un primo accenno. Ha un programma, una serie di caratteri, possibilità di giocare sulla composizione delle frasi abbinandole, scrivendole alla rovescia, dall’alto al basso e viceversa. Io ho una passabile capacità artistica e la cosa mi attrae fortemente. A mano libera non saprei dipingere un cartello, ma con questo sistema potrei fare il cartellonista. Compro subito la macchina infernale, acquisto il materiale necessario per farla funzionare, ossia un certo numero di rotoli di vinile, uno d’ogni colore. La clientela è tutta da formare. Vado a visitare quasi tutti i cartellonisti di Firenze. Questi sono tutti artigiani molto legati alle metodologie tradizionali. Hanno i loro pittori che dipingono i cartelli, realizzano i marchi, riportano scritte pubblicitarie sugli automezzi, sulle vetrine, sulle insegne. Bene, io porto un campione di quello che posso fare ed acquisisco tra la clientela, quasi tutti i cartellonisti della città. Lavoro per loro facendo le scritte, che loro riportano sul supporto, realizzando i cartelli, le insegne, le scritte pubblicitarie degli automezzi e delle vetrine…………………………………………………….…
Richard Lorenz è il nipote del celebre ricercatore naturalista “padre delle oche”. Anche lui è un ricercatore, ma nel campo della pediatria. In questo periodo viene regolarmente da Londra a Firenze, per i suoi studi. Casualmente, mio nipote Mattia e la mamma, sono stati scelti per una serie d’esami psicologici, sullo sviluppo del bambino. La volta scorsa, l’esperimento era impostato, sulla possibile gelosia o apatia del bambino a quattro mesi. Così avevano dato in braccio alla mamma di Mattia, un altro bambino, per vedere la reazione. Dopo pochi secondi, molto prima del previsto, Mattia era diventato furente, come Lorenz aveva previsto. Oggi un’altra mamma ha coccolato il suo bambino, con la presenza di Mattia, che è stato lasciato solo e che è rimasto indifferente al fatto, ma guardando la scena. Anche questa reazione era attesa da Lorenz, che ha trovato Mattia precoce e lo ha chiamato”la mia star”.
………………………...I cartellonisti, per tradizione montano i cartelli su telai di pesante legno, ricoperti di tela, ma io non voglio realizzarli anche per i miei clienti privati. Li reputo troppo ingombranti, quindi ricerco nuovi materiali e li trovo. Così il lavoro si allarga e dietro al mio suggerimento, anche gli altri, i veri cartellonisti, adottano le nuove scoperte. Il mio punto debole è la realizzazione dei marchi di fabbrica. Io mi arrangio sfruttando tutte le potenzialità della macchina, che nemmeno i rappresentanti di vendita conoscono per intero. Così quando mi viene proposta una tavoletta grafica che, per mezzo di coordinate, riesce a fare anche molti disegni, io porto alla dimostrazione alcuni miei lavori, lasciandoli meravigliati: non compro la loro tavoletta, perché non mi serve. Nel tempo escono nuovi modelli fino ad arrivare agli attuali “computers grafici”, che sono noti a tutti. Gradatamente, com’è naturale che avvenisse, perdo i miei clienti cartellonisti, perché anche loro decidono di acquistare la macchina diabolica, ma io nel frattempo sono un noto cartellonista di Firenze. Divento anche il rappresentante della categoria e sono spesso a discutere con le autorità comunali, per la redazione dei regolamenti. La mia ditta è ormai ben avviata e quando, per me, arriva il momento di andare in pensione, io propongo l’acquisto ad una mia dipendente molto capace, Valentina. Lei, in società con suo padre, l’acquista ed è, ancora oggi, sul mercato, con il mio nome. Padre e figlia conducono molto bene la mia creatura. Ogni volta che vado a trovarli è una festa ed io sono orgoglioso dell’amicizia nata tra noi.
Molte sono le attività da me svolte nel corso degli anni, ma è da ricordare anche la realizzazione di alcune statue, di notevoli dimensioni, in gesso ed in vetroresina. Tra queste: un toro , un busto d’uomo, una testa di cervo, un cane dormiente, tutto a grandezza naturale………………………………………………………………
Mia nuora è molto dolce e va molto d’accordo con me. Oggi mi sono permesso di dirle: ”Visto che Mattia è riuscito così bene, fatene un altro, tanto conoscete già il risultato”.
 Mi ha sorriso e detto, che deve convincere suo marito, magari con il mio aiuto.
………………………….Chiudo il capitolo delle mie attività, accennando ai numerosi concerti vocali, ai quali io partecipo sia come solista, che in veste di membro di numerosi gruppi vocali, piccoli o grandi. In questo campo le soddisfazioni per me, sono grandissime.
Rileggendo il capitolo che parla delle mie attività, ho avuto la sensazione di mettermi in mostra, per una vendita ed allora ho pensato: “Ora chi mi compra?”
Mi sono consolato pensando che tutto quanto io ho detto è realtà.
Il Ciclismo.
Ho già accennato su come sono arrivato a partecipare alle corse ciclistiche. Alla mia prima gara arrivo con una bicicletta, non da corsa, pesante quaranta chili, priva del cambio di velocità, alla quale per dare un aspetto competitivo, io tolgo i parafanghi. M’infilo un maglione rosso, fatto a maglia dalla mamma ed un pantaloncino talmente corto, che pedalando, spesso devo rimettere dentro tutte le “mie cose” fuoriuscite. Alla partenza mi danno il numero di gara, da applicare sulla schiena. Sono molto emozionato, ma così, ho la sensazione di diventare un corridore e ne vado fiero, fino a che………….. fanno il conto alla rovescia e danno il via. Per circa cento metri, tengo il passo. Subito il percorso volta a destra, gli altri girano ed io pure, ma dopo la curva………...….i veri corridori sono già avanti e molto lontani. Rallento subito e dopo qualche chilometro io sono esausto e mi ritiro dalla mia prima gara. E’ un’esperienza che m’insegna molte cose: la bici deve essere da corsa, l’abbigliamento deve essere appropriato ed in particolare ci vuole l’allenamento e tanto. Mio padre si entusiasma alle gare e mi procura una bici da corsa usata, una maglia da gare, un paio di calzoncini da ciclista, un cappellino, una borraccia, un tubolare di riserva e………… …………..un libro sul ciclismo, per imparare dove si mettono i piedi, dove le mani, come ci si siede. E’ un libro molto interessante, perché spiega tutto: sulla posizione corretta da tenere in bicicletta, sugli allenamenti, sull’alimentazione prima e durante la gara, sul comportamento in corsa. Mio padre si autonomina allenatore e visto che ha pagato per l’occorrente, è anche il mio “sponsor” e non posso oppormi. Lui ha esperienza sullo sport in generale, per averlo già praticato, così prepara le tabelle della mia marcia giornaliera, che io seguo approssimativamente. Si, perché lui è ferreo, io sono un ragazzo ed ho anche altre cose per il capo………………………………..
Scontro generazionale. Oggi ho avuto una discussione con mio figlio Massimiliano, che ha trent’otto anni. Ovviamente sull’argomento le nostre opinioni erano divergenti. La cosa mi ha rattristato, vedendolo scartare a priori che io potessi avere ragione, non per logica, ma solo perché la mia teoria era diversa dalla sua. Insomma, non ho la libertà di pensarla diversamente, ergo: io ho torto, lui ragione, senza alcun’altra possibilità. Per compiacerlo dovrei rinunciare a pensare……………….e francamente io non ne ho l’intenzione, neanche lontanamente. Deve accettarmi con le mie idee, come l’accetto con le sue: io con la mia esperienza, lui con la sua.
………………………………………………Comunque il mio allenamento è abbastanza costante e serio, al punto che alla terza gara fatta con la bici da corsa, arrivo al traguardo con il gruppo. Presto vengono i primi piazzamenti e successi. Non tardo a diventare un “guardato a vista” dai concorrenti della mia età e nel tempo, entro nella massima categoria: tra i “dilettanti”. Gli scatti di categoria vanno di pari passo con le vittorie. Tra i dilettanti, escono le mie doti di passista e di lottatore, vinco un campionato d’Alessandria, numerose gare e parto per il Cairo, dove si deve svolgere il Campionato d’Egitto.
Sono molto allenato ed in forma. La voce si è sparsa nell’ambiente delle varie città ed io sono il corridore da battere. Le squadre sono formate per città e sono tutte piuttosto forti. In particolare quella del Cairo è ben nutrita, con corridori pronti alla battaglia e corrono alle porte di casa. Non hanno un vero capo squadra, ma sono tutti considerati temibili avversari. Io sono un corridore passista, che emerge nelle corse lunghe e faticose, perciò la gara deve essere tirata fin dall’inizio. Non posso contare molto sui miei compagni di squadra, perché sono inferiori agli avversari, ma mi stimano molto e certamente faranno il possibile per darmi una mano.
La vigilia della corsa è per me un giorno di tensione. Al seguito della corsa ho l’assistenza di mio padre, dello zio e per la prima volta, anche mia madre è presente ad una gara. Teme per le mie cadute, che io possa farmi male, vorrebbe che andassi più piano.
Al mattino, due ore prima della gara, mangio: tre uova scodellate su una bistecca, un piatto di pasta, pane e marmellata a chiusura del pasto. Per la gara mi hanno preparato una borraccia di tè con il miele, una di riso con arancia strizzata dentro, tre panini, trenta zollette di zucchero, dieci banane. La gara sarà di centoottanta chilometri e l’alimentazione sarà fondamentale…………………………..
Oggi sono andato alla posta, per prelevare una certa cifra, dal mio conto corrente. Dopo venti minuti di coda, allo sportello mi comunicano, che io non posso incassare il mio assegno, per colpa delle stesse Poste, perché non è funzionante il “Tempo Reale”. La cosa si ripete ormai da molto tempo e crea un forte disagio all’utente, che non può disporre dei suoi soldi, a piacimento. Mi sono sempre lamentato, nel passato, minacciando a più riprese di scrivere alla stampa. Oggi, alla risposta degli addetti, che loro non possono farci niente per alleviare il disagio dell’utente, ho alzato la voce, tirandomi dietro la benevolenza della gente in coda ed ho fatto intervenire i “Carabinieri del 112, Pronto Intervento”. Così ho ufficializzato la situazione ed ho scritto, dandone rapporto, alla stampa ed a “MimandaRaitre”.
…………………………….Arrivo sotto lo striscione della partenza. Si firma il registro dei partecipanti, ritiro il numero di gara da mettere sulla schiena, ci s’incontra con i compagni e con gli avversari. Si cerca di scoprire qualche segreto, un volto stanco, un’indecisione, mentre sportivamente ci si stringe le mani. Ci si schiera tutti in base al numero assegnato ed al via del presidente della Federazione ciclistica egiziana, si parte. Ai miei compagni ho chiesto di scattare subito fin dalla partenza, per rendere impegnativa la gara e fedeli alle consegne, a turno danno battaglia. A questi scatti, puntualmente rispondono le altre squadre ed il gruppo rimane compatto. Dopo quindici chilometri di gara, all’altezza delle Piramidi, c’è la prima vera asperità: una salita di circa un chilometro. Non è molto lunga, ma è ripida ed è ritenuta dura, dalla maggior parte dei concorrenti. E’ chiaro che i corridori del Cairo la conoscono bene, essendo a casa loro e si aspettano l’attacco di qualcuno. Io ho visionato il percorso il giorno precedente la gara e questa salita è di mio gusto. Parto in testa ed inizio la scalata, con un passo molto deciso, come se il traguardo finale fosse in cima alla salita. Il mio impegno dà i suoi frutti ed il gruppo si fraziona. Rimaniamo in pochi: io, due corridori di Alessandria, cinque del Cairo, tre di Porto Said. Dobbiamo percorrere novanta chilometri in andata, voltare e tornare verso il traguardo, posto sul viale opposto a quello della partenza. Io ed i miei compagni, facciamo un’andatura veloce e la gara entra nel vivo. Qualcuno non regge il passo e lo perdiamo lungo il percorso. A metà della gara svoltiamo su noi stessi e siamo solo in sei: io, il mio compagno Hosny e quattro avversari del Cairo, Ashour, Peghini, De Cristofaro, Ferroli. Appena si svolta, senza dare tregua, faccio uno scatto ed aumento l’andatura, perché a mio avviso, siamo ancora in troppi, ma purtroppo si stacca solo il mio compagno Hosny. Nel senso contrario alla nostra marcia, incontriamo via via, gli altri componenti attardati del gruppo originario, che si sono staccati durante la corsa.
Da questo momento ci alterniamo alla testa del gruppetto. Al mio turno di tirare il gruppo, alzo l’andatura accelerando e quando tocca a loro tendono a rallentare, insomma ognuno fa il suo interesse, ma con sportiva collaborazione. Ormai tutti gli inseguitori sono lontani e la corsa si giocherà tra noi. Si arriva alla solita salita delle Piramidi, già fatta in senso inverso. La difficoltà è identica all’andata. E’ la mia ultima occasione per andare verso il traguardo da solo, altrimenti in volata più di uno degli avversari, mi potrebbe battere. Negli ultimi chilometri, pur continuando a mangiare le residue banane e le zollette di zucchero rimastemi, ho studiato attentamente i volti degli avversari, la loro pedalata, il modo di stare in bicicletta, il respiro, la durata dei loro cambi a tirare il gruppetto. Ne deduco che ho buone possibilità di vittoria, anche se loro sono in quattro e tutti contro me………………………………..……………………..
Oggi ho assistito ad una scena commovente. Un ragazzo di una quindicina d’anni, extra comunitario, si è fermato sotto ad un enorme cartello, che esponeva la pubblicità di un telefonino ed ha ammirato la raffigurazione dell’apparecchietto, per almeno dieci minuti. Era affascinato ed aveva lo sguardo del ragazzo, che ammira e desidera una cosa, sopra ogni altra. Mi ha tanto ricordato i tempi di quando io mi fermavo davanti alla vetrina delle biciclette in vendita, che potevo solo desiderare.
……………………………………Appena la strada s’impenna sulla salita delle Piramidi, io scatto e mantengo un’andatura decisa, molto decisa. Mi riproduco in altri due o tre scatti ed uno per volta, tutti gli avversari si staccano da me. Arrivo in cima alla salita, con un distacco tale, che unito alla stanchezza degli avversari, mi dovrebbe consentire l’arrivo isolato al traguardo. Mi preparo a buttarmi giù per la discesa e manovro la leva del cambio, per inserire il rapporto adeguato e qua succede il “patatrac”. La catena s’incastra tra il rocchetto posteriore (serie d’ingranaggi solidali con la ruota) ed i raggi. Sono bloccato e devo scendere dalla bicicletta per porre rimedio. Il tempo passa ed uno per volta, mi raggiungono i quattro avversari del Cairo, che vistomi in difficoltà si lanciano come i treni. Risalgo in bicicletta e mi accingo a ripartire, ma nella fretta, dimentico di spostare la levetta del cambio e la catena s’incastra ancora tra i raggi. Altri tre corridori, già staccati prima della salita, mi raggiungono e mi superano. Ormai per me è finita, io sono demoralizzato e non ho più fiducia. Davanti ho sette corridori avversari da raggiungere e superare. Mio padre, lo zio, la mamma, seguono con una macchina e mi urlano di sbrigarmi a ripartire a “tutta birra”, come si dice in gergo, “perché quelli davanti sono stanchi morti”, testuali parole di mio padre, che ricordo ancora. Riparto, questa volta bene, con il passo della disperazione. Ogni tattica è ormai superflua, o scoppio o li raggiungo, ma io devo mettere fuori tutto il fiato e la forza che mi rimangono. Per arrivare al traguardo ci sono da percorrere quindici chilometri ed in questi mi gioco tutta la gara. Non sento più nulla, neanche gli incitamenti di chi mi segue con l’auto. Sempre in gergo si usa dire, “macino i chilometri come una locomotiva” e credo anche di “fare fumo”, da come vado. Dopo meno di due chilometri raggiungo i primi tre, ma siccome piombo su loro molto velocemente, li supero senza neanche vedere la loro reazione. Con la coda dell’occhio capisco d’essere ancora da solo, all’inseguimento dei primi quattro. A circa sette chilometri dal traguardo, io vedo in lontananza i miei avversari e li raggiungo a poco più di cinque chilometri dal traguardo. Io li sorprendo, perché speravano di non vedermi arrivare. Mi accodo al gruppo per un chilometro, a prendere fiato dopo lo sforzo fatto. Nel frattempo mangio le ultime due zollette di zucchero e studio la nuova situazione creatasi. Ho quattro avversari, dei quali due buoni velocisti e gli altri passisti. Le mie uniche possibilità di vittoria sarebbero nel fare una lunga volata finale, partendo ad un chilometro dal traguardo, com’è mia abitudine fare. Così metterei sicuramente in difficoltà i due velocisti, ma gli altri, dopo lo sforzo sopportato da me per riprenderli, non saranno meno stanchi ? Io ho un vantaggio psicologico: ho finto d’essere ancora più stanco della realtà e credono di poter lottare per la vittoria, solo tra loro. Sanno che non sono un velocista ed ora si guardano anche tra loro. Non hanno più l’accordo necessario per battermi. A due chilometri dall’arrivo, come speravo, il passista meno stanco, Ferroli, adotta la mia tattica e scatta sorprendendo tutti, ma non me. Mi accodo subito a lui ed appena vedo che ha speso le sue energie, scatto io, andando tutto solo verso il traguardo: sono il campione d’Egitto…………………. E’ la mia più bella vittoria……………………………………………………………..
Un mio amico ha avuto un incidente con la sua auto. Una signora di una certa età, non rispettando il diritto di precedenza del mio amico, è andata con la sua auto diritta, senza neanche tentare di frenare o di scansare l’urto. Ad incidente avvenuto, la signora è scesa furente dalla sua auto ed il mio amico, con molta calma ha fatto notare che aveva lui la precedenza. La guidatrice, sempre furente ha risposto: ” Sono una signora e per questa volta la precedenza poteva darla a me”.
……………………………….Alla fine della gara i miei tifosi, il pubblico mi acclamano, ma io non vedo né mio padre, né lo zio, né la mamma. Li cerco e li trovo intenti a fare riprendere conoscenza alla mamma, la quale, appena io ho tagliato il traguardo, è svenuta.
Un’altra gara ciclistica, degna di essere ricordata è il primo Giro internazionale d’Egitto. Si parte da Louxor e percorrendo in lungo ed in largo l’intero paese, si arriva al Cairo. Partecipano i migliori ciclisti dilettanti del mondo. Ci sono le squadre: belga, francese, inglese, danese, olandese ed altre. Il vincitore finale sarà il belga Van Meenen ed il secondo sarà il suo compagno di squadra Van Cauter, che qualche mese dopo vincerà il campionato del mondo. Firmo molti autografi e conosco tanti personaggi importanti nel ciclismo che conta. Ho finalmente la possibilità di confrontarmi con il ciclismo internazionale ed io aspetto, in particolare, la tappa a cronometro. Purtroppo il mio Giro termina alla settima tappa, per una banale bronchite, che mi porta la febbre a trentanove gradi e mi costringe al ritiro………………………………………………………………...
Camminando per il centro con il mio amico Gino, ho fatto notare quante belle e procaci donne stavano passando. Mi ha risposto: “Speriamo che passi una racchia, così la mia pressione riscende ai
valori normali.
……………………………Oggi siamo nel 2002 ed in questo periodo si fa un gran parlare di droga nelle gare ciclistiche, sia professionistiche, sia dilettantistiche. Nel mio piccolo mondo, ho anch’io un ricordo in merito. Io sono ancora nella categoria degli allievi. Alla partenza di una gara incontro il nostro direttore sportivo di “club”. E’ appena tornato da un viaggio in Italia, durante il quale ha avuto contatti con varie associazioni sportive. Da loro ha avuto delle pasticche, che a suo dire, sono portentose. Si chiamano “Simpamina” e sarebbe un prodotto atto ad “integrare” le vitamine, così ci dice, distribuendole ai quattro corridori della sua squadra. Io vinco la gara ed i miei tre compagni si piazzano tutti dietro a me. Non ho mai più preso nessuna pasticca, ma qualche tempo dopo, venuto a conoscenza di cosa fosse in realtà la “Simpamina”, sono risalito a quella gara e mi sono ricordato come volavo, rispetto agli avversari. Dalle foto del dopo corsa, i visi dei primi tre arrivati, me compreso, sono palesemente di persone drogate. Siamo solo nel 1952 e questi prodotti sono d’uso corrente in Italia e certamente in Europa, sia tra i dilettanti, che tra i professionisti. Tra questi ultimi, poi nell’ambiente ho saputo, che grossi nomi famosi la usavano correntemente ed era cosa risaputa. Non sono solo chiacchiere quelle di corridori, che sono morti in seguito alla droga, o che sono finiti fuori strada, o che scendevano di bicicletta, non sapendo più dove fossero. Le foto dei grandi campioni dell’epoca all’arrivo, non parlano chiaro, con i loro sguardi allucinati ? Allora non c’era ancora il controllo ed i corridori facevano di tutto per vincere. Ecco perché tanti campioni dilettanti, dopo una o due stagioni di grandi risultati, sparivano dalla ribalta. Oggi ci si stupisce, forse perché solo ora entriamo a contatto pubblicamente con questa realtà, fino a poco tempo fa, solo nota agli addetti ai lavori. Intendiamoci, tutto ciò non era giustificabile neanche allora, ma solo ignorato dai più. Quanti miti cadrebbero dai loro altari, se si sapesse tutta la verità………………….…………………..
Oggi ho fatto la doccia e non ho asciugato il bagno, perché Silvana è entrata subito per farla lei. E’ uscita molto presto, senza asciugarlo neanche lei e dicendo, che toccava a me farlo, essendo io rimasto sotto l’acqua per più tempo. Io ho risposto, che non lo avrei fatto neanche se lei avesse “pianto in cinese”. Silvana è corsa subito a mettere un disco da noi comprato in un nostro recente viaggio: era “una piantilena cinese”………….non ho potuto fare altro che ridere, per il suo tempismo ed asciugare il bagno.
…………………………Giunto in Italia, come ho già detto, io partecipo a due gare, ma senza allenamento e senza risultati, dati gli impegni scolastici. Percorro più volte la salita del Ghisallo, per misurare le mie capacità di scalatore, che prima di così non conosceva l’esistenza delle vere salite, ma cesso l’attività agonistica, pur tenendo nel cuore il ciclismo e le sue gesta eroiche.
Le mie liti.
Volendomi etichettare, in base alle numerose cause legali da me promosse e gestite, io potrei essere definito, una persona litigiosa. In realtà, nella vita, io tento solo di non fare calpestare i miei diritti. Sono molto ligio ai miei doveri, ma anche conscio di quali siano quelli degli altri. Non accetto che si approfitti di una debolezza, di un momento di distrazione, o di bontà, per calpestarmi, o calpestare chi mi è vicino………………. In questi casi, beh, apro la battaglia e non perdono. Normalmente io, se assisto ad un litigio per strada, cerco di mettere pace negli animi, anche a rischio di prendere qualche involontario “sommommolo”. Sono uno che, anche avendo molta fretta, si ferma e scende di bicicletta, per fare attraversare un non vedente, una persona anziana, ma quando vedo qualcuno, che fa fare i bisogni al cane, sul marciapiede, facendo finta di nulla e guardando altrove………………beh, io non perdono ed attacco. Così sono io , o meglio, questo è quello che porta avanti le liti narrate nel capitolo che inizio ………………………………………………………...……………………..
La figlia di un mio amico gestisce un negozio d’abbigliamento intimo. A volte il mio amico, la sostituisce ed allora io mi diverto a metterlo in imbarazzo, davanti alle clienti. Ieri sono entrato ed ho chiesto ad alta voce: “Vendete reggiseni da uomo ?” Non voglio raccontare l’imbarazzo del mio amico.
………………………..La prima causa inizia, che io sono molto giovane. Sono sposato da poco ed abbiamo i bambini ancora piccoli. Ci siamo trasferiti a Firenze, da poco tempo. Acquistiamo un bell’appartamento all’ultimo piano, un attico. Al momento della trattativa, il costruttore mi propone l’acquisto, anche della terrazza soprastante l’appartamento. Mi suggerisce che potrei fare una piscina……….. A me la piscina non interessa, ma mi viene l’idea di mettere sulla terrazza un prato, con tante rose e fiori. Sarebbe una cosa bellissima per i bambini. Sto acquistando l’appartamento con un grosso mutuo ed aumentare il debito mi opprimerebbe un bel po’ di più. Da una parte sogno già il prato, i colori dei fiori, lo spazio vitale per i bambini, ma dall’altra devo fare molto attentamente i conti……………….”con l’oste”. Vado a rivedere la terrazza e con il costruttore, tratto il prezzo. Decido di acquistare anche la terrazza, il nostro futuro giardino pensile. Per mia tranquillità, sul Rogito accludo una postilla, che mi garantisca: la solidità della costruzione, l’impermeabilità della terrazza per la sovrapposizione del prato. Il costruttore si occupa di portare sulla terrazza la terra, io la concimo e semino il prato. I davanzali sono bassi e pericolosi per i bambini. Metto dei paletti di castagno saldamente fissati e metto a dimora una serie di piante di piccole rose rosse rampicanti, che con la fioritura danno un effetto multicolore. La terrazza non è più un arido spiazzo lastricato, ma diventa un giardino fiorito. Nelle altre aiole metto vari fiori di stagione: dai Tulipani alle Viole. Un’aiola è riservata ai pomodori ed all’orticello. Ora vengono anche gli uccellini a correre sul prato o a cinguettare tra le rose. In un angolo realizzo una capanna con tronchi di castagno e la tappezzo alle pareti con mezzi tronchi. Faccio crescere un’edera che attecchisce bene ed ombreggia tutto l’angolo. Realizzo l’irrigazione automatica e la prima sera che ospito gli amici, gli orologi fanno scattare le valvole automatiche e bagno da capo a piedi tutti, escluso me, perché io ho regolato i tempi d’apertura dell’acqua. I bambini si divertono tantissimo. Anzi, sbaglio quando parlo al singolare, perché in tutto quello che è stato il lavoro per la realizzazione del giardino, i bambini hanno avuto un ruolo importante, mi hanno aiutato moltissimo, credo divertendosi. Marco, il mio secondogenito, è piccolissimo, ma nello spazio che ha a disposizione, si dimostra un ottimo calciatore, con il suo pallone, più grande di lui………………………………………………….
Siamo in periodo di ferie. Tutti programmano i loro viaggi. Oggi ho incontrato il mio amico senegalese, venditore ambulante. Era, come di solito, sommerso da una montagna di fazzoletti, calzini, oggetti vari, accendini. Scherzosamente gli ho chiesto dove va in vacanza quest’anno. Mi ha fatto un larghissimo sorriso a 94 denti bianchi con sfondo scuro rispondendomi: “Alle Bahamas”.
…………………….A meno di un anno dalla realizzazione del giardino pensile, appaiono i primi cretti, sui muri portanti dell’appartamento.
La mia casa ha un lato intero a sbalzo, rispetto quella di sotto. La mia fuoriesce di circa un metro e mezzo, rispetto all’altra, per volontà dell’Architetto progettista. Da un punto di vista estetico, l’immobile è molto bello, ma da quello strutturale, non è fatto per sopportare il peso della terra sulla terrazza. Mi rendo subito conto, grazie alle mie nozioni tecniche, che la parte a sbalzo sta slittando tutta verso il basso, come fosse una fetta di panettone, tagliata di netto. Metto subito i “vetrini spia” (sono dei delicati vetri, murati di traverso sul cretto, in modo che se quest’ultimo si aprisse ancora, il vetro si spezzerebbe dando l’allarme di pericolo) per verificare l’andamento dei cretti e scrivo una raccomandata al costruttore. A questa prima lettera, io non ho alcuna risposta e ne scrivo una seconda, che rimane anch’essa senza. Un pomeriggio, alzandomi dal letto, inciampo in un piccolissimo gradino a terra, prima inesistente, che denota chiaramente un movimento verso la strada, di una porzione dell’appartamento. Faccio intervenire i Vigili del fuoco, che confermano le mie teorie e mi suggeriscono di fare togliere immediatamente tutta la terra esistente sulla terrazza. Il giorno dopo eseguo il suggerimento e mando un ultimatum al costruttore, che non risponde. Sono costretto a rivolgermi ad un avvocato e lo scelgo tra i migliori del Foro di Firenze, poiché il costruttore è un personaggio molto protetto dal partito al governo. Seguo personalmente la causa, preparando io stesso la relazione tecnica, corredata da numerosa documentazione fotografica, con relative didascalie e spiegazioni di quanto rappresentato, nei vari tempi e momenti dell’evoluzione del danno. Partecipo alle riunioni tecniche indette dall’Ingegnere incaricato della perizia, dal Tribunale. Non c’è alcun dubbio: è tutto come da me illustrato, solo che la controparte si appella alla prescrizione dei tempi, a loro dire da me non interrotta. E’ solo un cavillo legale, nel quale casca, io non so quanto involontariamente, il mio legale, non presentando agli atti, le lettere raccomandate, da me inviate a suo tempo. Così perdo la prima causa, ma immediatamente faccio appello alla sentenza, sostituendo il mio avvocato e presentando le raccomandate. Vinco definitivamente la causa, con vittoria di spese, danni vari e soddisfazione per avere piegato un personaggio protetto e prepotente…………………………………………………………………………
Alla radio stanno trasmettendo un duetto operistico, con i protagonisti molto concitati. Io arrivo a duetto iniziato e non riconoscendo l’opera, chiedo a Silvana delucidazioni. Lei prontamente mi risponde che non sta ascoltando per la “privacy” dei protagonisti che stanno litigando.
……………………………...Le mie successive cinque cause, sono da me condotte contro l’Intendenza di Finanza. Qua la cosa è seria, perché abitualmente, per il rispetto che si porta all’Autorità costituita, si esclude la possibilità di far valere i nostri diritti.
Nel compilare la dichiarazione dei redditi, il commercialista mi dice, che io posso detrarre gli oneri fiscali derivanti dalla mia attività artigianale, ma non per quella agricola, svolte da me entrambe contemporaneamente. Mi dice che la regola non lo prevede, l’interpretazione delle norme non lo contempla. Io impongo al Commercialista di detrarli entrambi, assumendomi la responsabilità, poiché ritengo che sia un’ingiustizia. La cosa si ripete per tre anni consecutivi, tanti quanti sono quelli nei quali io figuro, contemporaneamente: contribuente artigiano ed agricolo. Dopo qualche anno l’Ufficio di Finanza, mi richiede la tassa, sopratassa e mora, non considerando valida la detrazione per il mio primo anno di protesta. Ricorro alla Commissione Tributaria di primo grado, che mi dà ragione. L’Ufficio di Finanza mi concede poco tempo per gioire della vittoria e fa Appello alla Commissione tributaria di secondo grado, che mi dà ancora ragione. Confesso qua che alla prima udienza sono molto emozionato. Ho curato anche il mio abbigliamento, per sembrare psicologicamente dimesso, ma dignitoso e non cialtrone, però devo andare a trattare una materia che non è la mia principale. L’ambiente non mi facilita il compito. Sono tutti addetti ai lavori. I numerosi giudici sono in fondo all’aula austera, dietro ai loro banconi. Stanno più in alto di me, in piedi davanti a loro ed il mio metro e settantasette di statura me li fa guardare dal basso verso l’alto. Credo che questa posizione di inferiorità sia appositamente studiata da chi ha scelto l’arredamento. Penso però, che proprio la mia posizione di artigiano e coltivatore, in difesa autonoma dei propri diritti, pesi sui giudici a mio favore. Intendiamoci, passato il primo momento di disagio, anche le mie argomentazioni sono valide e convincenti.
Nel frattempo, l’Ufficio procede analogamente per il secondo ed il terzo anno della mia protesta. Vinco entrambi i miei ricorsi alla Commissione di primo grado e pure il successivo Appello dell’Ufficio alla seconda Commissione. Per il terzo anno, l’Ufficio sembra aver capito, che la ragione è mia e non ricorre in appello. La mia soddisfazione nasce dal fatto, che per cinque cause consecutive ho avuto ragione sui soprusi, ai quali neanche il commercialista avrebbe osato ribellarsi. Io faccio tutto da me: redazione dei Ricorsi, presentazione, discussione in aula, tre volte con la prima Commissione, due con la seconda, ormai sono dei loro.
Queste sentenze fanno testo, per le successive cause analoghe di terzi, in tutta l’Italia ed infatti la norma, l’interpretazione è cambiata…………………………………………………………………………...
Sempre nel negozio di biancheria intima del mio amico, ieri una signora, si lamentava che un costume da bagno propostole, fosse troppo scollacciato per lei, a 48 anni. Io ho obiettato, che con il suo fascino lei poteva permetterselo e che non l’avrei scambiata con due ragazze di 24 anni l’una.
…………………………….Le due cause successive sono sempre contro l’Intendenza di Finanza: una è un mio Ricorso, l’altra è il loro Appello, entrambe vinte. Ormai conosco l’ambiente. Qualche funzionario mi riconosce e saluta, ma vengo al fatto.
Ho appena aperto, da pochi mesi, l’attività di cartellonista e decoratore di automezzi, quando il Comune istituisce la “Zona Blu”, ovvero chiude il traffico alle auto. Da subito i miei clienti non possono entrare più con gli automezzi, sui quali io dovrei lavorare. Ovviamente il lavoro cessa improvvisamente ed io prendo la decisione di uscire da questa zona chiusa al traffico e trasferirmi in una di periferia. La decisione è molto sofferta, perché sono da molti anni in affitto in una zona che ormai conosco molto bene. L’affitto che pago per il mio laboratorio, è limitatamente basso, se lo paragonassi ad altri in molte zone della città. Decido di acquistare un fondo con un mutuo bancario. Faccio il trasloco e ricomincio da zero. Vado a compilare la dichiarazione dei Redditi, riferita a questo triste periodo di magra, con l’aiuto degli incaricati della Confederazione Nazionale Artigiana, alla quale sono iscritto. Gli addetti conoscono bene il disagio passato da tutti gli artigiani della zona, loro iscritti. Mi si dice, che pur essendo il mio reddito giustificatamene basso, con la regola della “Minimum Tax”, allora in vigore, io devo dichiarare molto di più, in base ai parametri stabiliti. Rifiuto categoricamente tale ingiustizia di dover dichiarare il falso a mio danno. Firmo una dichiarazione liberatoria alla CNA, assumendomi la responsabilità della mia volontà e dichiaro al Fisco quanto effettivamente guadagnato: né di più, né di meno. Dopo qualche anno l’Ufficio di Finanza, emette una cartella a mio nome, richiedendomi gli arretrati, gli interessi, la mora. Io impugno tale cartella e presento Ricorso alla prima Commissione Tributaria. Le regole del gioco qua nel frattempo sono state cambiate: non posso più difendermi da solo, devo nominare un professionista. Nomino la stessa CNA, ma siccome loro non hanno mai creduto nelle mie possibilità di ragione, preparo io la difesa, che poi loro presentano alla Commissione. Al dibattimento partecipo attivamente, com’è mio diritto e sto molto attento a preparare gli argomenti. Ciò avviene sia per il mio Ricorso, al quale la prima Commissione dà ragione, che all’Appello richiesto dall’Ufficio, al quale la seconda Commissione risponde dandomi ancora ragione. Ottengo così un’ennesima vittoria, ma avrei un altro motivo valido conseguente di attaccare qualcuno. Difatti, per ironia e beffa delle nuove regole del gioco, non ho potuto difendermi da solo, ma sono stato costretto a nominare un consulente, che pur restando a guardare ha preteso il pagamento della parcella. Ho deciso di non infierire per questa volta, anche se la scelta mi dispiace e non poco………………………...
Ieri sera Silvana era stanca e si lamentava: “Io faccio da mangiare e tu mangi. Io pulisco e tu sporchi…………..”. Conosco questo disco, così, per smitizzare, l’ho interrotta: “Scusa, ma non sei tu la regina della casa ?”
……………………………………La causa successiva è conseguente ad un mio Ricorso, contro una contravvenzione, da me ricevuta ingiustamente. Sono fornitore ufficiale dell’Ospedale di Careggi. Dentro il perimetro non si può sostare con le auto, ma io ho il permesso, che devo esporre, quando entro per lavoro. In una di queste circostanze, dimentico di esporre il permesso ed effettuato il mio lavoro, riprendendo la macchina, io trovo la contravvenzione per “divieto di sosta”. Rintraccio il vigile urbano al quale spiego, che semmai ci fosse un’infrazione, non è per divieto di sosta, ma molto meno onerosa: per “mancata esposizione del permesso”, che io posseggo. Il vigile mi risponde che ormai è redatta così e va pagata. La giornata è bella. Il lavoro è stato portato a termine positivamente, ma perché si deve sciupare tutto, solo incontrando persone poco garbate ? Cosa scelgo di fare ? Mi oppongo a quest’ingiustizia o pago e sto zitto ? In ufficio racconto il fatto e i dipendenti anziché calmarmi, mi danno la carica ad oppormi. Ovviamente ricorro al Pretore ed al Prefetto, mi presento in aula, espongo la mia tesi ed ottengo l’archiviazione della pratica, per l’insussistenza dei fatti. Nella seconda ed ultima udienza c’è un giudice donna. E’ molto carina tra l’altro, il che non guasta in un’aula di tribunale. I vigili si sono presentati solo nella prima udienza ed in questa sono assenti. Siamo solo io ed il giudice. La signora ha una brutta tosse e tra un interrogatorio ed una scrittura di verbale, suggerisco alcuni rimedi empirici ma efficaci e le offro una caramella al miele che ho in tasca. Il fatto non è né corruzione di giudice, né di minore e la signora accetta di buon grado. Il clima è sereno e disteso. La signora mi chiede il numero di telefono………… Pardon, ho sbagliato: la signora mi chiede come sono andati realmente i fatti. Espongo con calma e molti dettagli la mia versione. Sono molto convincente e tutto finisce, come si suole dire: “a tarallucci e vino”…………….……………
Recentemente abbiamo percorso la salita della Fortezza di Santa Caterina, a Favignana - Trapani – Sicilia. E’ una ripida salita che si percorre a piedi in più di un’ora. A salire è pieno di mosche che si attaccano e difficilmente si riesce a liberarsene. A scendere non ci sono mosche. Che lo facciano per salire ”a sbaffo” fino alla fortezza?
………………………………….Ho in corso un Appello alla Commissione Tributaria Centrale di Roma, per un terreno da me venduto e dall’Ufficio del Registro sopravalutato, ma proprio perché è ancora una pratica aperta, preferisco non parlarne e mi limito a citarla.
 In ordine di tempo, seguo e vinco un’altra causa, per conto della mamma di Silvana. Il caso se non fosse serio farebbe sorridere, anzi ridere, meglio sganasciare. Quest’anziana signora, che oggi ha 90 anni, affida tutti i suoi risparmi ad un parente bancario e qua è il comico. Il parente, vive nel Veneto e per diversi anni spedisce regolarmente gli interessi, ma non consegna mai ricevute o documentazione, facendo le cose un po’ alla “carlona”. Io m’insospettisco e suggerisco di chiedere il rimborso parziale del capitale, adducendo una scusa qualsiasi. Ho visto giusto: il bancario risponde, che il capitale è vincolato, anche se senza autorizzazione dell’interessata, per cinque anni e di conseguenza non è rimborsabile. Vado avanti con la mia inchiesta e scopro, che il parente, ha fatto un investimento incauto e si è mangiato tutti i risparmi di mia suocera. Che ridere. Inizio la causa, che seguo presenziando sempre, preparando gli incartamenti. Il mio avvocato è molto giovane ed avendo molta fiducia in me, si fa guidare, istruire. Prima d’ogni udienza, preparo io le memorie, le repliche, le deduzioni. Vinciamo la causa e mia suocera recupera una gran parte del suo capitale, anche se non tutto, a causa della bancarotta del sedicente parente bancario. La parentela è così bistrattata, con dolore della suocera, persona di enorme fiducia per il prossimo. Ma nel mio piccolo le suggerisco d’avere fiducia nel “prossimo”, ma di stare molo attenta del “precedente”.
Le due cause successive, le istruisco e seguo per conto di Silvana. Anche su questi eventi poco belli, a problemi risolti, abbiamo riso tanto. Sono dell’opinione che ogni fatto ha un suo lato comico.
Ecco come si svolge la vicenda. Io e lei, arriviamo a Messina, per un giro turistico della Sicilia. Siamo pieni di entusiasmo e non avendo mai visitato l’Isola, ci aspettiamo grandi cose. L’accompagnatore del gruppo ci viene incontro sorridente. Il primo impatto è bello. La città ha un traffico caotico, ma l’aspetto è festoso. Al marciapiede di fronte l’uscita della stazione, ci aspetta il bus turistico. Ci accingiamo ad attraversare la piazza, rispettando il semaforo ed il passaggio pedonale, presenti in quel punto. Scendendo dal marciapiede, Silvana mette, involontariamente, il piede dentro ad una buca, predisposta dal Comune, per la raccolta delle acque piovane. Purtroppo questa buca è realizzata contro ogni norma di sicurezza, senza seguire le regole tecniche vigenti in materia. Silvana si torce la caviglia. La nostra è una breve vacanza, iniziata tre minuti prima, è già finita…………………………………..………………………………………..
Ieri sera ho partecipato alla cena festiva per la chiusura della stagione concertistica del Coro di Settignano. Dopo tanto tempo, ho incontrato ancora Johanna. E’ una donna affascinante, ma soprattutto un direttore d’orchestra eccezionale. Siamo stati entrambi felici di quest’incontro. Abbiamo rammentato le nostre esperienze passate in comune ed è stata prodiga di complimenti sulla mia voce. Ha molto insistito per fare ancora qualche cosa di musicale insieme. Ha usato un garbo tale, una dolcezza nel proporlo, che se non fosse per le mie difficoltà visive a leggere, avrei accettato subito. Non è detta l’ultima parola: l’idea mi ha troppo solleticato.
…………………….In qualche maniera, con l’aiuto dei presenti, saliamo sul bus. Silvana abitualmente non è “ficosa”, come si dice a Firenze, ma in questo caso scoppia a piangere dal dolore. La caviglia si gonfia a dismisura. Tutti i presenti si prodigano con suggerimenti, mentre io cerco di sviare l’attenzione di Silvana indicando in lontananza l’Etna. E’ inutile ogni mio tentativo. Siamo diretti per una prima tappa ad Acireale. Chiedo all’accompagnatore di portarci all’ospedale per un consulto. E’ domenica e le macchine per fare una radiografia, non funzionano. Poco per volta alzo sempre più il volume della voce, al punto che il mio tuonare……………..mette in funzione una delle macchine. La radiografia è crudele, perché diagnostica una triplice frattura malleolare. Silvana è così immobilizzata e ricoverata all’ospedale. S’ipotizza un’operazione molto delicata. Le premesse della radiografia impossibile, i pregiudizi per le apparecchiature carenti nelle strutture del sud dell’Italia, mi fanno pensare molto. Decido di far trasferire Silvana a Firenze. Prendo accordi con il primario, cerco l’assistenza della compagnia di assicurazione, come da stipula della polizza. Purtroppo, come prevedibile, l’assicurazione rifiuta ogni assistenza, adducendo le solite scuse delle compagnie, quando devono servire a qualcosa. Organizzare il viaggio per il rientro a Firenze, non è cosa facile. Posti in aereo non ci sono. In treno ci sono solo due posti a sedere, ma Silvana deve stare distesa, a rischio di rompere tutto irrimediabilmente. Finalmente trovo un ferroviere, che non smetterò mai di ringraziare, perché con un suo sotterfugio, procura un intero scompartimento a disposizione. Organizzo il trasporto dall’ospedale al treno, con un’ambulanza, che arriva fin sotto lo scompartimento. Silvana è fatta passare con la barella dal finestrino. Nel frattempo organizzo per l’arrivo del treno a Firenze. Ci deve essere una seconda ambulanza pronta all’arrivo del treno in transito, per non fare perdere tempo. Tutto va secondo le previsioni e si arriva all’ospedale. Qua Silvana subisce due interventi chirurgici, è costretta alla riabilitazione, le spese si sommano, tutto è molto faticoso, ma nel tempo il piede riprende quasi la normalità. La Compagnia di assicurazione, con la quale era stata stipulata una polizza a copertura per l’assistenza in caso d’incidente, durante il viaggio, ha disatteso completamente ai suoi compiti. Il Comune, pur avendo una copertura assicurativa, per non creare precedenti, non vuole rispondere del danno. Così per fare valere i nostri diritti, siamo costretti ad aprire due cause parallele. Contro la Compagnia assicurativa, pur svolgendosi a Milano il processo, per eletto domicilio della interessata, è una causa facile e senza storia: è vinta facilmente. Per la causa contro il Comune, preparo le relazioni tecniche, con le relative foto, di come sono realizzati gli scarichi a Messina, di come sono predisposti in varie città d’Italia, su cosa prevedono le normative…………….. Mi faccio una cultura sugli scarichi di acque piovane. Bella specializzazione, vero ? Assisto all’udienza, a Messina, testimonio sui fatti, ritorno a Messina con Silvana, per la perizia tecnica da me chiesta al Tribunale……………… Dopo il lungo e “normale” iter burocratico, durante il quale il fascicolo è perso per quasi un anno, vinciamo la causa e con parte del ricavato, andiamo a visitare la Cina. La Sicilia sarà una nostra meta futura, perché stiamo ancora leccandoci le ferite.
In tutta questa vicenda, interessante è l’incontro con i siciliani. E’ un momento di evidente disagio per noi, ma chiunque entri al nostro contatto, ha un gesto di altruismo, si rende disponibile, si fa in quattro per aiutarci. Questo si verifica all’ospedale, sui taxi che sono costretto a prendere per la mia organizzazione, sul treno per rientrare a Firenze. Il mio, oggi non è un elogio interessato, ma in seguito avrò anche occasione di successiva conferma……………..…
Silvana ha messo in frigo la panna liquida, in un contenitore simile a quello del latte. Non siamo abituati ad avere la panna in casa, così ieri, scambiandola per il latte, me ne sono versata una tazza, circa trecento grammi ed ho fatto colazione. Silvana accorgendosene, mi ha raccomandato di stare lontano dal frigo, per evitare che il “burro delle mie vene”, si rassodi.
…………………….Io ho un’ennesima causa in corso, contro un vicino.
Sono proprietario di un fondo, con una corte in comune. Con tutti i vicini sono in ottimi rapporti. Addirittura quello col quale finirò in lite, mi chiede ed io lo concedo, di montare un ponteggio sul mio tetto, per fare dei lavori al suo fondo. Al termine dei suoi lavori, io ho delle infiltrazioni d’acqua piovana dal mio tetto, ma rimedio da me senza vantare alcun danno, per spirito di buon vicinato. Un giorno questo signore, mi chiede di aprire una porta d’emergenza a ridosso del mio fondo. Spiego che non posso concederla, perché limiterebbe la mia uscita. Chiedo di spostare l’eventuale porta, di qualche metro più in là, ancora sulla proprietà in comune tra noi, ma senza intralciare le mie uscite. Sull’argomento discutiamo molto, sempre serenamente e ci scambiamo diverse raccomandate, fino a che subentra un lungo periodo di silenzio. Sono convinto che la questione sia superata. Improvvisamente, una mattina mi telefona un altro vicino, avvertendomi che nottetempo è stata aperta una porta abusiva, di sotterfugio. Ci rimango male per lo sgarbo subito. Sembrava che tutto potesse risolversi pacificamente. Irritato, m’interesso sul da farsi, per ripristinare lo stato di fatto precedente. L’unica strada per fare valere le mie ragioni, rimane la causa ed io procedo in tale direzione. Non mi rimane altra scelta……………………
Mio nipote Mattia ha sette mesi. In genere, in autobus, punta le persone, guardandole fisso negli occhi. Oggi la scena si è ripetuta, con due belle ragazze, che non si erano accorte di lui. Alla fine una ha detto all’altra: ”Guarda come ti punta”. Al che hanno incominciato a fargli le feste. A Mattia non è parso vero, ha iniziato a fare i versini, a sorridere………….. Al che, una delle signorine ha fatto notare: “Lo hai proprio conquistato”. Io ho risposto: “Non s’illuda signorina, fa così con tutte”.
…………………………Rivedo il mio vicino in tribunale. Non osa guardarmi in faccia, ignorando le mie continue provocazioni a farlo.
Purtroppo mi aspetta un altro colpo basso di questo “essere” . Perdo la prima causa, perché la promuovo contro il mio vicino, in prima persona. Ho sempre trattato con lui, mi ha sempre risposto alle raccomandate firmando e parlando della sua proprietà. La realtà è un’altra: il vicino, la persona che si è data tanto da fare a trattare con me, è solo un procuratore e la proprietaria legale, per ragioni fiscali, è la moglie. Un cavillo legale, che gli dà ragione, con metodi “sudici”, a dir poco.
Ormai il mio vicino svela il suo carattere, l’indole. Ovviamente non dispero e riparto con una seconda causa, che chiama in giudizio entrambi: la moglie ed il marito.
Si può anche immaginare quanto io sia avvelenato e quanta vendetta stia cercando. Io non perdono nulla, batto su ogni punto, anche per creargli difficoltà alla gestione del suo capannone. Mi rivolgo, chiamandoli in causa, anche ai Vigili del Fuoco, che, pur salvo i diritti di terzi (ed io sarei un terzo), hanno rilasciato una licenza di agibilità viziata dal mancato mio benestare. Il mio obiettivo è di far revocare il loro permesso concesso, in conformità alle norme di sicurezza, assolte per la presenza della porta, che invece va chiusa.
La causa è in corso ed il consulente tecnico nominato dal giudice dopo mia richiesta, ha già presentato una sua indiscutibile relazione, nella quale sposa totalmente le mie teorie e controbatte quelle della controparte. Sto aspettando ottimisticamente la sentenza. Sicuramente non avrei cavillato, fino ad arrivare alla causa ed alla mia cattiveria, se il vicino avesse trattato le cose con me, senza prepotenza.
Interessanti e divertenti per me, sono le schermaglie tra noi due contendenti, che si ripetono con la presenza del gruppo di lavoro: avvocati, tecnici di parte e del tribunale. In modo particolare, in occasione del sopraluogo sul “posto del delitto”, il mio avversario, non avendo argomenti validi da offrire al tecnico del tribunale, per attirarsi goffamente le sue simpatie, se ne esce con la frase: “…….sa, ci vuole pazienza…………….” La reazione è molto educata, date le circostanze, ma ribadisco, riassumendo tutti i miei concetti, con il sorriso accattivante del tecnico del tribunale, che segue il mio monologo. Non rinuncio a sottolineare le bassezze dell’avversario, elencandole tutte all’uditorio. Al commiato noto la diversità nell’atteggiamento del tecnico del tribunale tra il saluto fatto a me e quello all’avversario. Sono piccole sfumature, ma predico al mio tecnico di parte una relazione ufficiale decisamente a mio favore. Peccato che non scommetto, perché poche settimane dopo, le mie previsioni sono tutte confermate…………………………………………….
La settimana scorsa eravamo a Palermo. Una delle nostre mete era il Teatro Massimo, legato ai ricordi della mia mamma. Io indossavo un paio di calzoncini corti, ripiegati ancora più corti per prendere il sole alle gambe, un paio di sandali da frate, una maglietta bianca senza maniche del tipo “Viva Cina”, un cappellaccio alla contadina, il tutto sufficientemente sgualcito. Silvana portava una maglietta color salmone, pantaloncini corti, scarpe da tennis. Al primo cancello gli addetti ci avvertono che possiamo andare solo fino all’atrio, perché c’è il Premio Italia. La gente che entra solo dietro invito, è in doppio petto, abito scuro, le signore in lungo, sono ingioiellate………. Io non mi do per vinto, voglio vedere l’interno del teatro e suggerisco a Silvana: “Facciamo i furbi. Entriamo alla chetichella, mimetizzandoci tra gli invitati. Vedrai che non se n’accorgono.”
………………………………………….Un’altra causa ha già concluso l’iter ed attende solo la sentenza.
Un nuovo amministratore del nostro condominio, riceve ufficialmente l’incarico, con dei precisi compiti, per lavori d’urgenza. Per Legge ogni amministratore deve indire un’assemblea l’anno, portando il bilancio. Il nostro nuovo amministratore, in pratica è assente per ben due anni e mezzo, durante i quali: ci lascia senza la luce condominiale, per morosità, non avendo pagato le bollette; non fa pulire le scale; inizia un importante lavoro di muratura sulle scale, senza presentare alcun preventivo ed accortosi dell’errore, lascia l’opera incompiuta e ferma, per sei mesi, con immaginabile disagio e polvere; per un lavoro di riparazione ad un tubo sulla facciata, che comporta trenta minuti di tempo, tiene montato un ponteggio per due mesi, con un costo complessivo di oltre due milioni di vecchie lire; mette in conto una vuotatura di pozzi neri, per 12 metri cubi di materiale asportato, mentre i nostri pozzi hanno una capienza di soli 8 metri cubi.
Dopo tre anni di silenzio, il falso ammnistratore chiede il saldo delle fatture ed il suo onorario di due anni. Chiaramente il condominio (io ) manda una raccomandata, contestando tutti i fatti. A questa lettera l’amministratore non risponde e cita in giudizio il condominio, solo dopo circa cinque anni dai fatti, quindi con decadenza dei termini legali. Mi rimbocco le maniche e seguo anche questa causa, con relazioni, preparazione delle prove, redazione delle memorie e così via. Ovviamente frequento le aule del tribunale, senza perdere una seduta. Ormai il giudice donna mi conosce e sorride quando deve inserire il mio nome tra i presenti alle sedute.
Attendiamo il giudizio di questa causa, che stando alle testimonianze ed all’iter seguito, dovrebbe essere vinta dal condominio, senza alcun problema; ma siccome, in più di una circostanza, emerge l’amicizia della signora Giudice, con l’avvocato difensore dell’amministratore, l’esito rimane incerto………………………………….
Ieri, alla fermata dell’autobus, una signora molto bella e provocante, mi si avvicina e mi chiede: “Che passa il 7 da qua? “ Io, dopo un attimo per pensare, rispondo subito: “ Non l’avevo in programma, ma se mi dice a che ora, vengo apposta”.
……………………..L’ultima causa in corso che io ho, sempre in attesa di sentenza, ha come avversaria una signora, vicina di casa. E’ una signora anziana, imparentata con gli avvocati di un importante studio legale. La signora possiede un piccolo appartamento al piano terra del nostro condominio. E’ un appartamento di vecchia costruzione, molto umido e poco luminoso. La signora decide di ristrutturarlo e cogliendo l’occasione, che un tubo di scarico delle acque bianche, del condominio, perde un po’, tenta di fare pagare l’intera ristrutturazione al condominio. La signora è recidiva: ha già fatto le cosiddette “furbate” negli anni ed ora ci riprova. La riparazione della perdita costerebbe circa trecentomila delle vechie lire, la signora mette in conto oltre venti milioni delle stesse lire. Nella fattura che la signora presenta al condominio, figura: l’abbattimento di un muro; il rifacimento del solaio all’intero appartamento; la messa in opera di una nuova pavimentazione, con il miglior cotto esistente; il nuovo impianto di tubazioni, per il riscaldamento, fin qua inesistente, per l’acqua fredda e calda; la sostituzione dei sanitari all’intero bagno; per finire, la rimozione dell’intonaco alle pareti, con il relativo ripristino e tinteggiatura a tutto l’appartamento. E’ evidente, anche agli occhi di un profano, che tutti i lavori elencati, nulla hanno a vedere con una modesta infiltrazione, causata da un tubo appena crettato.
Il nostro amministratore, all’epoca è un serio architetto, che a queste richieste, scoppia naturalmente a ridere. La signora, che non è di spirito, non ride e sollecitata dallo studio legale a lei imparentato, formalizza la causa contro il condominio.
A questo punto, prendo accordi con il mio solito avvocato e preparo la difesa, con prove, testimonianze, relazioni tecniche, allegati fotografici, planimetrie, che mettono al sicuro il condominio. Non solo, ma dalle indagini, il mio appartamento risulta estraneo alla causa del danno, passando gli scarichi miei, da tutt’altra parte e certamente non dall’appartamento della signora. Tutto ciò è dimostrato in una riunione tecnica da me indetta e la signora, nella persona del suo avvocato, ufficialmente dichiara la mia estraneità ai fatti.
Qua avrei esaurito la causa, ma uno degli altri condomini, tramite il suo avvocato, rifiuta lo stralcio della mia persona dalla causa, con un cavillo inconsistente. Ciò perché, avendo io sempre condotto tecnicamente la causa, ha il timore che, una volta uscitone, io li abbandoni. Morale, io sono ancora parte in causa, pur essendo estraneo. Stando così le cose, chiedo i danni: alla signora per avermi citato ingiustamente e poi averlo anche ammesso; al condomino, che pur essendo io estraneo, mi vuole ancora in causa, per un altro anno di dibattimento.
Ho torto a difendermi ? Sono io il litigioso ? ……………………..
Silvana, inchinata a raccogliere le conchiglie sulla sabbia del mare, oggi mi ha detto: “Con la testa così abbassata, mi va il sangue al cervello” ed io prontamente: ”……..e non trova nulla”.
……………………………Non ho altre cause in corso da descrivere, ma un ulteriore episodio di mia ribellione al sopruso, si.
Accompagno Silvana a Messina, per sottoporsi alla perizia legale, del processo contro il Comune. Per la prima volta ritorniamo insieme a Messina, dopo l’incidente e la triplice frattura malleolare di Silvana. C’è in noi una certa emozione, ma decidiamo di fare due giorni di vacanza e di goderla tutta. Viaggiamo in treno, con i posti prenotati, sia per l’andata, che per il ritorno.
Silvana si sottopone alla visita del tribunale, presenti tutti i tecnici, gli assicuratori, i legali, la rappresentanza del Comune……………e me. Per due giorni visitiamo Messina da turisti, gironzolando qua e là. Siamo soddisfatti della nostra visita ed andiamo alla stazione per tornare a Firenze. Arriviamo in orario per prendere il nostro treno, secondo la prenotazione. Purtroppo c’è uno sciopero in corso ed il nostro treno partirà con un’ora di ritardo, ma noi ci consideriamo in vacanza e la cosa non ci turba. Puntualmente, dopo il tempo previsto, all’altoparlante annunciano: “il treno in partenza per……, ………, Firenze, Venezia, è in arrivo al marciapiede numero …”.
Andiamo al marciapiede annunciato e troviamo una marea di ragazzi in gita scolastica, che, appena arriva il treno, in un baleno occupano interamente tutte le vetture. Avendo la prenotazione, noi non abbiamo fretta e lasciamo che i ragazzi si sistemino nei loro posti e si calmino, ma nel frattempo cerchiamo la nostra vettura numero 12. Qua inizia l’avventura. Con grande sorpresa, scopriamo che il treno ha solo dieci vetture e quindi la “numero 12”, la nostra, non c’è. Lo faccio notare ad un ferroviere di passaggio, perché dopo lo sciopero, regna la confusione più totale. Il ferroviere non sa rispondermi e suggerisce di salire ugualmente ed all’arrivo a “Villa San Giovanni”, ossia alla prima fermata passato lo stretto, chiedere. Secondo il ferroviere, probabilmente là attaccheranno le due vetture mancanti. Seguendo il consiglio, saliamo sul treno. Appena siamo su, ci viene incontro un professore, responsabile del gruppo scolastico, spiegando che non possiamo stare là, per ragioni di assicurazione, essendo l’intero treno riservato alla comitiva. Spieghiamo le nostre motivazioni e preghiamo d’avere pazienza, per il breve tratto dell’attraversamento dello stretto. Arriviamo alla stazione di “Villa San Giovanni” ed io affacciandomi dal finestrino, chiedo ad un altro ferroviere se la nostra vettura sia stata agganciata in coda. Il ferroviere mi chiede di mostrargli il biglietto, cosa che, dal finestrino, faccio. Breve lettura ed il ferroviere mi dice: “Il suo treno non è questo ed è già partito cinque minuti fa, senza passare da Messina. Scenda.” Io chiedo la restituzione del biglietto e poi dico, che non ho alcun’intenzione di scendere. Il ferroviere insiste dicendo, che io devo scendere e prendere un altro treno. Chiedo quando c’è il prossimo e dopo consultazione mi risponde: “Alle cinque e quindici di domattina”. Da notare che sono appena le 19 circa. Assoluto mio diniego a scendere e la cosa prende una piega poco scherzosa. Il ferroviere va a chiamare il capo treno e ricomincia la solita dialettica: io non intendo scendere, loro insistono perché si faccia. Incominciano le minacce nei miei confronti, adducendo che il treno è fermo per causa mia e che ogni minuto mi sarà addebitato a suon di milioni. Pane per i miei denti sani, perché rispondo subito a tono, facendo rilevare di chi sono le colpe, avendo io una prenotazione per un treno che non è mai passato da Messina ed io domattina devo aprire il negozio, quindi i milioni, sarò io a chiederli. Mi si minaccia di chiamare la polizia ferroviaria, cosa che io stesso sollecito a fare. Effettivamente arrivano due Poliziotti e mi chiedono spiegazioni, un documento d’identità, m’invitano a seguirli nel loro ufficio. Io con molto garbo, ma fermezza, chiedo se sono in arresto per aver commesso un reato, o se non sono stato identificato e se così non fosse, di restituirmi la carta d’identità, altrimenti li denuncio per abuso di potere. Mi restituiscono il mio documento e spariscono. In breve appare il Capo stazione e si ricomincia la trafila. Vista la mia fermezza dialettica, anche lui sparisce e riappare con il Comandante della Polizia Ferroviaria. E’ un signore corpulento, in alta uniforme, tutto gallonato, che crede di incutere timore con la sua presenza. Entra nello scompartimento e con il tono di chi parla con un pazzo, calmo e falsamente sorridente, con la testa un po’ ripiegata di lato, mi dice: “Signore, cosa succede ? Venga con me nel mio ufficio e ne parliamo.” Allora entro nella parte ed assumo anch’io l’aspetto ebete, perché la scenetta anziché intimorirmi, ora mi diverte e sorridendo gli rispondo: “Si sieda qui accanto a me e parliamone, perché io nel suo ufficio, a passare la notte con lei, non ci vengo. Fosse poi una bella donna…….”. Sono tutti sommersi nella tragedia e nessuno nota la mia battuta spiritosa. Quanto a ridere, solo io lo faccio, ma dentro di me, per non offenderli………………………………...
Il mio cardiologo è all’estero per un convegno. Io ne approfitto per comperarmi un proibitissimo salamino alla cacciatora, tanto lui non se ne accorge.
……………………………..A questo punto qualcuno, dal corridoio, dove si sono assiepati tutti i ferrovieri ed i poliziotti disponibili, suggerisce di alzarmi di peso e portarmi via. Allora m’infurio ancora e prendo carta e penna dicendo: “Mi dia subito le sue generalità e chi osa toccarmi, se la vedrà con i miei legali, per maltrattamento ed ogni quant’altro. Ora tutti fuori di qua, perché sono sofferente di cuore e vi ho sopportato abbastanza. Il problema è vostro e risolvetelo come credete meglio: attaccate una vettura per me, fate quello che vi pare”. Così dicendo faccio la sceneggiata di sedermi improvvisamente, toccandomi il petto. Non so se appoggio la mano sulla parte giusta del cuore o sulla sbagliata, perché al momento dei fatti, ancora non ho problemi cardiaci.
La mia fermezza deve averli convinti, perché spariscono tutti, come per incanto. Dopo pochi minuti, appare il ferroviere che per primo aveva controllato i biglietti, con i nostri cuscini, le coperte per la notte ed ammiccando mi dice: “Ha vinto lei”.
In tutto questo susseguirsi dei fatti, Silvana mi tiene mano. Così, quando i vari personaggi della storia, a turno la pregano di intervenire, di farmi ragionare, lei risponde che, per carattere, è impossibile farmi recedere da una decisione presa e si tiene in disparte dalla mischia. Analogamente, quando faccio la sceneggiata finale “del cuore”, lei si affanna su me, confessandomi poi, che la recitazione mi è riuscita perfettamente.
Sistemate le cuccette per la notte, il ferroviere si allontana, io mi alzo e mi sporgo dal finestrino per una boccata d’aria. Una folla si è radunata sul marciapiede, davanti alla nostra vettura. Al mio apparire scoppia un applauso e molti gridano: “Siamo nella sua stessa situazione, faccia qualcosa anche per noi”. Io rimango sorpreso da quest’acclamazione e come una diva, ringrazio alzando entrambe le braccia, in segno di saluto…………….. ………….mentre il treno parte per Firenze, dopo oltre mezz’ora di ritardo, a causa delle nostre discussioni.
                                          * * * * *

Rinaldo Lombardo Scultore Cieco 

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